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 2009  agosto 13 Giovedì calendario

Giancarlo Falappa. Nel camper ha la gigantografia di una sua foto del 1997. Sorride, ma un’auto è passata sopra al ritratto e all’altezza del suo sorriso adesso ci sono dei graffi

Giancarlo Falappa. Nel camper ha la gigantografia di una sua foto del 1997. Sorride, ma un’auto è passata sopra al ritratto e all’altezza del suo sorriso adesso ci sono dei graffi. A ben pensarci questa sembra la metafora della vita di Giancarlo Falappa, l’italiano più vincente in Superbike, 108 gare disputate, 17 vittorie: un sorriso sfregiato. Se fosse un film, sugli schermi apparirebbe la scritta: questa è una storia vera. Se chiedi ai piloti dei suoi tempi chi non avrebbero mai voluto dietro all’ultimo giro, senti ripetere sempre lo stesso cognome: Falappa. Giancarlo Falappa, il Leone di Jesi, un miracolato che ha fatto dell’azzardo il suo stile di guida: dove gli altri chiudevano il gas lui lo lasciava aperto. Un uomo che ha sfidato e battuto anche la morte. Pagandone, però, le conseguenze: 44 fratture e 56 giorni di coma. Porta i segni del passato negli occhi e nelle parole, ha lo sguardo assente e la voce sembra uscirgli al rallentatore. Eppure è ancora lucido. Ricorda date, nomi, circostanze. E a quasi tutte le gare di Superbike lui c’è. Ci arriva guidando il suo motorhome, un piccolo camper Mercedes 316 DI rosso Ducati. Racconta: «Mi porta in giro da ottobre 2005, ha fatto 352mila chilometri. Qui dentro passo 350 giorni l’anno, più o meno». Due di questi li ha passati con noi. Raccontando la sua storia dall’inizio. Un milione in contanti, dieci in cambiali . Comincia a Filottrano, nelle Marche. Dice: «Sono nato lì ma i miei genitori mi hanno portato subito a Jesi, 20 chilometri di distanza. Ero un ragazzo screanzato. Mio padre non andava in moto, ma mi portava a vedere la coppa 1.000 dollari di cross. Avevo 10 anni. A 14 mi compra un Malaguti 50 Ronco 21. Io smetto di andare a scuola e comincio a fare il meccanico. A 16 anni prendo un 125, faccio la mia prima gara e la vinco. il 78. Nell’80 mi iscrivo al campionato regionale. Vinto. Ma soldi non c’erano, mio padre vendeva macchine agricole, mia madre era casalinga, e smetto. Continuo a lavorare e appena posso prendo i miei pochi risparmi e compro un Suzuki 1100: un milione in contanti e dieci in cambiali». Il salto in superbike Falappa guida il camper tranquillamente, velocità da crociera. Il camper è marchiato Ducati. Il suo nome è scritto sulla carrozzeria. Ogni tanto una macchina lo sorpassa, l’automobilista lo riconosce e suona il clacson. Lui risponde al saluto e continua la sua storia. «Il 13 settembre 1987 esordisco nella serie Sport Production. Vinco subito. Nell’88 la Bimota mi offre di fare le ultime tre gare promettendomi di iscrivermi al mondiale Superbike se avessi vinto il titolo italiano. Manco a dirlo, vinco. Nell’88-89 il pilota Bimota è Fabio Bigliotti. Mi dicono: porta casco e guanti a Donington, ti facciamo provare e vediamo se vai bene. Il venerdì è il giorno delle prove libere. Biliotti mi fa: ”Vieni dietro a me che così impari le traiettorie”. Ok. Il sabato ci sono le ufficiali. Giriamo un’ora e alla fine escono i tempi: Biliotti ventiquattresimo, Falappa pole position. Vado da lui e gli do una pacca sulle spalle: ”Grazie mille, sei stato un ottimo maestro”. Prima manche: vinta. Nella seconda vado fuori pista per doppiare un islandese, riparto 13esimo, recupero fino alla sesta posizione». Nella seconda gara, in Francia, succede una cosa unica nel mondo del motociclismo. Racconta: «La Bimota, per alleggerire il peso della moto, faceva dei manubri in titanio e per me che staccavo tardissimo facendo molta pressione, erano troppo sottili. Ero primo e a un giro dalla fine il manubrio sinistro si spezza. Termino la corsa con una mano attaccata alla forcella. I meccanici all’arrivo rimangono a bocca aperta: ”Ma come hai fatto?”. E io: ”Riparatela prima di portarla sul podio se no mi squalificano”. Fantastico». Quel primo anno di SBK Falappa arriva sesto («La Bimota non poteva permettersi di correre in tutte le gare»). Oltre la soglia di saggezza Il suo camper è pieno di roba. C’è di tutto: Giancarlo colleziona i pass per i paddock, gli adesivi, i premi che gli danno i fan club Ducati che lo invitano, le coppe, i giubbotti, i biglietti da visita e alcuni articoli che parlano di lui. Uno di questi lo ha scritto un americano. Rende bene l’idea di chi era Giancarlo Falappa. Eccone uno stralcio: «La sua presenza fu la principale chiacchiera di quel weekend. Portava la Bimota oltre alla soglia di saggezza. Dopo una derapata in cambio di direzione la gente vide una cosa che non aveva mai visto prima: un’impennata in piedi». Diventò la sua firma. «L’impennata in piedi faceva impazzire il pubblico e io correvo per il pubblico. Godevo a farlo godere». La svolta in autostrada Il 12 dicembre 1989 collaudava la Bimota YB6 tra Cesena e Forlì. «Riconosco l’auto di Marco Lucchinelli, team manager Ducati in SBK. L’affianco mentre viaggiava a più di cento chilometri all’ora, apro lo sportello di dietro e riparto impennando in piedi. Il colpo d’aria lo fa sbandare, lui urla, mi fa segno di fermarmi nella piazzola di sosta. Credevo che fosse incazzato, invece era folgorato. Urla: ”Sei un matto! Un pazzo! Tu devi assolutamente entrare nella mia squadra! Che fai il prossimo anno? Io sto andando alla Ducati, vieni con me”. Sono entrato nella sede, dove lo aspettava Castiglioni. Che mi guarda e dice: ”Tu sei un uomo nostro”. Dopo neanche un’ora avevo firmato un contratto da cento milioni di lire. Tornato a casa, i miei genitori si misero a piangere». Non ha più lasciato la Ducati. Adesso ne è un uomo immagine. I ducatisti lo adorano. E lui per ripagarli macina chilometri di statali in su e giù per l’Europa, sempre da solo e solo per loro. «Io l’autostrada non la prendo. In un anno risparmio 1.350 euro». Il viaggio più lungo? «Da Oslo ad Atene». Per stare con i suoi fan ed essere presente a tutte le tappe della Superbike, Giancarlo non si cura gli acciacchi. La spalla sinistra è praticamente immobile, l’anca destra e il ginocchio sinistro sono distrutti e ha un’ernia alla schiena che, quando torna nella sua villa a Jesi dove vive con i genitori, lo costringe a letto: «Però stare in coma era peggio, te lo posso assicurare». In faccia alla morte Dopo l’incontro con Lucchinelli la sua carriera sembra decollare. Ma nel 1990 arriva il primo incidente. A Zeltweg, cinque minuti prima della fine delle prove, cade e si procura 27 delle sue 44 fratture in una volta sola. il 30 giugno, il suo compleanno. I giornali erano già pronti a scrivere: nato e morto lo stesso giorno. Va in coma. E ci resta 18 giorni. Quando si riprende chiede: «Posso tornare in moto?». Lucchinelli in quel periodo lo ospita a casa sua per la riabilitazione. Racconta: «Mi sentivo un po’ responsabile dell’incidente, visto che ero stato io a presentarlo in Ducati. Un giorno si alza dalla sedia a rotelle e comincia a urlare: ”Sono in piedi, sono in piedi!”. Ricade subito all’indietro. Sembrava morto. Per un attimo ho pensato di sotterrarlo in giardino. Per fortuna si è ripreso». Dice Falappa: «Quell’incidente ha condizionato tutta la mia carriera. Dopo, correvo al 65 per cento delle possibilità. Nei cambi di direzione perdevo millesimi preziosi perché non avevo la forza necessaria per buttare giù la moto velocemente, così per recuperare ero costretto a staccare tardi o a non chiudere il gas dove gli altri lo chiudevano. Per questo dicevano che ero pericoloso». La foto d’apertura del servizio è scattata alla curva del Tramonto, circuito di Misano. Non a caso. «Qui staccavo a 297 all’ora, dopo gli altri. Ne sorpassavo tre-quattro alla volta. Era uno spettacolo». Nel 1992 andava benissimo. «Poi Raymond Roche, team manager Ducati, mi chiama e mi gela: «Giancarlo, devi aiutare Carl Fogarty». Ma come, rispondo, io sono primo, Fogarty quarto... Era un ordine della Shark, uno sponsor che passava molti soldi alla Ducati». Nel 1994 è primo. Sembrava finalmente il suo anno. Ma nei test ad Albacete il destino se la riprende con lui. «Ero lì a provare il nuovo cambio elettronico. Sento il rumore della rottura sul rettilineo. Poi non ricordo più niente». Andava a 290. Vola all’indietro e atterra di testa. Massimo Corbascio, medico della clinica mobile SBK, lo porta in Italia. Resterà in coma per 38 giorni. Durante la convalescenza gli fanno ascoltare le telecronache delle sue gare più belle; il telecronista Giovanni Di Pillo lo va a trovare e gli urla: «Giancarlo, stanno arrivando Fogarty e gli altri, se non ti svegli ti sorpassano». Chissà se queste cose hanno influito, è bello pensare di sì, fatto sta che Falappa si risveglia. Per molti mesi resta senza memoria. Non riconosce nemmeno i suoi genitori. E siccome la ragione di vita è più forte della vita stessa dopo tre anni torna in pista. Ne doveva aspettare almeno cinque, ma i medici si fanno convincere dalla sua insistenza. Al quarto giro di prova scivola.  in coma ancora una volta. Dopo otto minuti si risveglia. I miracoli esistono. Già il fatto che riesca ancora a guidare ne è una prova. «Ho dato l’esame a Monte Carlo con un pullman. stata l’ultima cosa che ho fatto a Monte Carlo, poi sono tornato a vivere stabilmente in Italia». Marlboro rosse e nostalgia E adesso? Ha 45 anni, fuma («Le Marlboro rosse mi fanno compagnia alla guida e alleviano la mia incazzatura per aver smesso di correre obbligato dalle circostanze»), beve litri di Redbull (« la mia droga. Mi aiuta a stare sveglio. Sai, io dormo se ho tempo») e quando si ferma risponde alle mail che arrivano sul suo sito (giancarlofalappa.com) e ai messaggi su Facebook. Lo Stato lo aveva giudicato invalido al 44 per cento: «Ho rifiutato la pensione. Mi mantengo grazie ai fan club che mi ospitano e mi ripagano le spese di viaggio. Poi mi aiuta la Ducati e altri sponsor personali». Donne? «Avevo trovato quella della vita, Paola. Ma nel 95 le ho detto: sei giovane, vai via, non è giusto che resti con uno che potrebbe stare tutta la vita sulla sedia a rotelle. Abbiamo sofferto molto ma è stato giusto così. Ci sentiamo spesso. Adesso lavora per l’hospitality della Renault in Formula Uno». Sesso? «L’ultima volta qualche giorno fa. Niente Viagra. Quello mi funziona ancora bene». Nei viaggi ascolta musica country e quando si ferma guarda qualche film western. Dopo quello che ti è successo credi in Dio? «Sì. Ma non vado in chiesa e prego a modo mio. Se sono in vita lo devo anche a lui, penso». E dopo tutto quello che ti è successo come vorresti morire? «Non mi interessa. Sono solo. Se avessi dei figli me ne preoccuperei». Sei incazzato col destino? Si accende una Marlboro. Per alleviare l’incazzatura: «Ho avuto due incidenti gravi, ho passato 56 giorni in coma, eppure guido ancora. Insomma, considerando l’alternativa, e cioè la morte, poteva andarmi peggio». E sorride, come nella foto che ha nel camper: con un sorriso sfregiato. Dalla vita. Massimo Corbascio su Falappa «Il giorno prima di una gara, nell’89, mi dicono che c’è un giovane pilota con l a febbre alta. Io vado e lo curo. Il giorno dopo questo pilota vince, torna da me e mi dice: ”Lei mi ha portato fortuna, d’ora in poi deve seguirmi”. Era Giancarlo Falappa e io feci l’errore di dirgli di sì». Scherza il dottor Massimo Corbascio, perché in realtà a Falappa vuole un mondo di bene. « come un figlio». Dal 1989 Corbascio è responsabile della clinica mobile Superbike. «Quando riaprì gli occhi dopo il coma la prima cosa che mi chiese fu: ”Quando posso tornare in moto?”. Non credevo ce la facesse, invece i test lo valutarono idoneo. Ricordo soprattutto una prova: all’interno di un cilindro il dottore faceva cadere una monetina. Falappa doveva pigiare un pulsante per fermarne la caduta. Serviva a misurare i riflessi. Ecco, lui, praticamente, non la faceva nemmeno partire». Continua: «La cosa importante, dopo un incidente del genere, è il recupero dei nervi che danno gli impulsi ai muscoli. Le fratture ossee sono secondarie, si curano». Dopo il secondo incidente, questa volta 38 giorni di coma, non ci fu niente da fare. Ma mi stressò talmente tanto che dopo tre anni rifacemmo quei test. Positivo, anche se non con gli stessi risultati della volta precedente. Lui riprese la moto, al quarto giro scivolò e tornò in coma: otto minuti. Il sistema nervoso non reggeva più lo sforzo per il tempo di una gara. Non ho mai avuto paura come in quel momento. Se fosse rimasto a terra mi sarei sentito colpevole». Era il caso di dire basta. i NUMERI di FALAPPA 108 gare 17 vittorie 45 anni 44 fratture 56 giorni di coma (più altri otto minuti nel 1997) 352mila chilometri fatti col suo camper da ottobre 2005 350 circa, i giorni che passa in un anno nel suo camper 100 milioni di lire, l’ingaggio del primo contratto Ducati 297 chilometri orari: la velocità con cui staccava alla curva del Tramonto di Misano 290 chilometri orari: la velocità a cui viaggiava quando è caduto nel 1994 89 amici su Facebook (dato aggiornato a metà gennaio 2009) 3.367 chilometri: il viaggio più lungo fatto in una sola tappa