Matteo Perniconi Riders n. 18 Aprile 2009, 13 agosto 2009
Beppe Grillo
Beppe Grillo più di un comico, è un comunicatore ben informato sulla questione di ambiente e mobilità. Per la rivista economica americana Forbes, grazie al suo blog (beppegrillo.it), è al settimo posto tra le personalità più note della rete. Nel 93 viaggiava con un’auto a idrogeno che si produceva nel giardino di casa ed è anche un motociclista, quasi ex, «perché è una giungla, ci sono troppi pericoli, le infrastrutture delle città sono progettate per le auto, non per le moto». E consiglia un libro, quello di Marco Guidarini (motociclisti-incolumi.com) Una guida per chi guida. A Riders spiega perché sulla mobilità siamo ancora... immobili. Perché chi produce auto e moto non investe per adeguarsi alle energie alternative? «Basta vedere quali sono le 15 multinazionali più forti del mondo. Le prime cinque sono nel petrolio, le seconde cinque nelle automobili, dalla decima alla quindicesima sono banche. Le banche finanziano il debito per comprare un’auto o una moto che consumano petrolio. E il ciclo si chiude. Questa è sempre stata l’unica volontà, ma la tecnologia alternativa c’è da 20 anni, io nel 93 giravo con un’auto a idrogeno, negli anni Ottanta avevano già prodotto una macchina che consumava un litro e mezzo per percorrere cento chilometri: la Renault Vesta 2. Oggi è nel museo dell’auto, la macchina del futuro è in un museo!». La moto elettrica? «Ci sono moto con potenze esagerate, oggi siamo abituati alla ricerca delle prestazioni. Dobbiamo scontrarci con l’emotività: secondo uno studio la mancanza di rumore è uno dei motivi principali per cui l’elettrico non sta andando in porto, le sensazioni emotive, in parte, bloccano le nuove tecnologie». Il futuro del settore motoristico. «La crisi ci porterà a decidere. Le aziende devono rendersi conto che sono arrivate alla fine. Un’auto che pesa più di una tonnellata per portare cento chili non ha più senso. Spendiamo 2.600 ore all’anno per prenderla e posteggiarla. Su un totale di diecimila chilometri, la velocità media viene sette km/h, la stessa di un masai a piedi nel deserto. Il 95 per cento del carburante se ne va in calore, abbiamo costruito stufe fino a oggi! Se l’auto o la moto avessero seguito una tecnologia come quella del computer o del cellulare, oggi avremmo motori leggeri che consumano una goccia di carburante». Colpa di industriali e dirigenti? «Anche. Abbiamo bisogno di gente che abbia 30 anni invece di 70, un trentenne di oggi è diverso da un trentenne degli anni Sessanta. All’inizio c’erano industriali che concepivano una macchina per tutti, erano spinti da altri ideali. Ford produsse la prima auto ecologica, la T fatta di canapa che andava a etanolo. Forse adesso ci rendiamo conto che avere delle grandi auto pesanti che consumano molto è da stupidi». Ma riusciremo a imparare qualcosa dagli errori del passato? «Noi forse sì, magari gli indiani o i cinesi no. Mirano ad avere auto come abbiamo avuto noi in tutti questi anni. Se ogni cinese si comprasse un’auto il mondo finirebbe in un mese. Oggi abbiamo circa settecento milioni di auto nel mondo, se solo i cinesi e gli indiani ne comprassero una ogni due abitanti saremmo rovinati». Chi c’è dietro la produzione di nuove fonti energetiche? «Oggi quelli che hanno devastato il pianeta sono in prima linea per proteggerlo. Chi fa pannelli solari è la Shell, l’Enel propone il fotovoltaico mentre compra centrali nucleari degli anni Settanta in Slovacchia. Carlo De Benedetti vuol produrre energia verde quando ha le centrali a carbone in Italia. Il presidente della Sampdoria Riccardo Garrone fa impianti eolici e poi guida la Erg, la più grande raffineria del mondo. Massimo Moratti che opera nel settore della raffinazione del petrolio vuole produrre energia con il geotermico. Tutti in prima linea con pubblicità fasulle: il loro core business rimane il petrolio e gli inceneritori». Insomma, come ci sposteremo in futuro? «La mobilità del futuro sarà quella di muoversi il meno possibile, creando sinergie. Tram, auto, treno, bus, moto, biciclette, telelavoro. Internet sarà la futura mobilità, dobbiamo investire in reti telematiche, non in strade e asfalto. E dobbiamo rimettere in discussione il concetto di trasporto. Son tutti lì a fare tangenziali e strade e nessuno guarda che cosa trasportiamo. Se apriamo un container rimaniamo sconcertati: pigiami che vanno in Portogallo a fare le asole e poi tornano in Svizzera a mettere i bottoni. Uno yogurt fa mediamente settemila chilometri su un camion. Ma siamo così scemi? Io sono di Genova, il 70 per cento della produzione di basilico per il pesto, che è un prodotto tipico ligure, arriva dal Vietnam, l’aglio dalla Cina. Ma siamo coglioni?».