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 2009  agosto 13 Giovedì calendario

Antonio Cassano. La Parabola di Peter Pan. Se trascorri 17 anni da morto di fame e poi diventi milionario, hai voglia di pareggiare i conti

Antonio Cassano. La Parabola di Peter Pan. Se trascorri 17 anni da morto di fame e poi diventi milionario, hai voglia di pareggiare i conti. Lo ha scritto lui, Antonio Cassano da Bari vecchia, classe 1982, fantasista della Sampdoria, uno dei calciatori più estrosi e discussi e Riders del nostro calcio moderno. Una frenesia da recupero potremmo definirla, che aiuta parzialmente a inquadrare un personaggio altrimenti inafferrabile. Peter Pan Tutto o quasi comincia in uno stadio simbolo, il San Nicola di Bari, contro una squadra simbolo, l’Inter. Dicembre 1991. Lui, il piccolo ragazzino talentuoso che viene messo in campo: la serie A, la partita che conta contro la grande Inter, l’azione che fa la differenza: colpo di tacco, fuga veloce, gol sotto la curva dei tifosi baresi. Antonio Cassano ha solo 17 anni, appunto. I grossi club si accorgono di lui, Bari diventa piccola, il presidente Matarrese sa che quel ragazzo potrà essere il grande affare per la sua società: cresciuto nel vivaio, sarà venduto bene, molto bene. L’ombra ritrovata E infatti trascorrono solo pochi mesi e la Roma del presidente Franco Sensi si lascia tentare. Dicono che Francesco Totti e Fabio Capello, protagonisti della stagione del terzo scudetto, rimasero affascinati nel loro quartier generale, Trigoria, quando il Bari delle giovanili giocò contro i pari quota romanisti. Giocate, fantasia, gol: ma quello è un fenomeno, dissero campione e allenatore. L’accoppiata convinse Sensi, che staccò, nel 2001, un assegno pesantissimo, 60 miliardi di lire, poco più di 30 milioni di euro. Peter Pan aveva ritrovato la sua ombra. Partiva per Roma con la mamma, con i cugini, con quel mondo che cominciava davvero a emanciparsi dalla povertà. Capitan Uncino Ma dentro questa bramosia, questa voglia di fare, questo istinto geniale in fatto di pallone, anche un nemico. Un Capitano uncinato dentro la propria anima, spesso divisa in due, tra le cose giuste da fare e quel senso innato di ribellione, di irrequietezza. A Roma c’è la Ferrari nel garage della villa vicino al mare. Ma non c’è pace. Ci sono le mance da cento euro ai camerieri dei ristoranti dell’Eur. Ma non quella generosità sul campo che i tifosi attendevano. Morde il freno, il ragazzo che deve crescere. E non sa come fare. Procede per eccessi, per colpi di timone, per iperboli. Fabio Capello Lallenatore che gli vuole bene usa bastone e carota. Ma Cassano Antonio da Bari vecchia diventa famoso per le sue bizze. Cassanate, le ribattezzerà il saggio e scorbutico allenatore friulano. Definizione perfetta che diventa l’alter ego di Antonio. Non più talento, ma calciatore milionario a cui recapitare il tapiro d’oro di Striscia per l’ennesima esagerazione. Eccesso di velocità, allenamento disertato, notti esagerate in giro per la città, liti con i compagni, l’isolamento di chi non si sente compreso. I pirati in questo clima che l’esperienza romana, mai troppo prodiga di soddisfazioni, si accinge a concludersi. Litiga con Totti, rompe con l’ambiente. La parentesi azzurra voluta fortemente da Trapattoni naufraga in un Europeo portoghese che ci vede eliminati per la beffa di un accordo tra Danimarca e Svezia. Cassano va, segna, gioca, ma è tutto inutile. Come se dei pirati maligni gli avessero rubato l’anima. E così, nel tentativo di trovare l’isola della pace e della tranquillità, quella dove non si deve crescere, ma vivere come ti pare, ecco Madrid, il Real. Real Madrid Sembra un assurdo: fallisce in Italia, trova spazio nel club più famoso di Spagna, uno dei più grandi al mondo. una fiammata. Subito dopo il Natale del 2005 il trasferimento, i titoloni dei giornali, la fama che torna quella di un tempo. Per poco. Pochissimo. Anche a Madrid, come a Roma, Cassano non si trova. Si perde nei meandri di un mondo che, a lui, sembra estraneo, ostile. Non gioca, ingrassa, diventa il bersaglio della perfida satira iberica. Patatine e stravizi culinari lo appesantiscono sotto l’impietosa camiseta blanca, che certo non sfina. Carrugi e lanterne a questo punto, mesi amari all’ombra di Plaza Mayor, in uno stadio, il Santiago Bernabeu, che non riesce ad amarlo davvero, che Antonio Cassano ritrova la strada. Il direttore sportivo della Sampdoria immagina che una città di mare come Genova e un ambiente tranquillo come quello della società blucerchiata potrebbero rigenerare questo discolo campione. La scommessa è giocata, gli altri, critici, presidenti, tifosi, non ci credono. Ma il gran capo della Samp, il petroliere Garrone, dice che si può fare. L’isola che non c’è A Genova Cassano trova l’isola che non c’è. Meglio, la ritrova. Il mare come a Bari, la tranquillità di una piazza che ama il calcio ma non lo esaspera, il tempo a disposizione per scavare via dai fianchi l’adipe iberico, la forma che torna, l’ispirazione che riaffiora intatta, per nulla corrosa, dopo anni di eccessi ed errori. Due stagioni da vertice. Gol, giocate, e le cassanate che diminuiscono fino a scomparire del tutto. Antonio s’è fatto grande. Ma resta Peter Pan dentro. Settecento amanti Trova il tempo per un libro, Dico tutto (Rizzoli, 187 pp., 16 euro), dove racconta se stesso e gli eccessi di una volta. Comprese le settecento donne possedute non si sa bene se con il fascino della sua simpatia o i soldi sempre copiosi nelle tasche. Non importa. Anche quello è passato. Ora c’è anche una ragazza, una giovane giocatrice di pallanuoto della Diavolina Nervi, Carolina Marcialis. E ci sono il campionato, che parte il 17 agosto, e la Nazionale da riconquistare. Con Cassano anche il Sudafrica dei prossimi Mondiali potrebbe diventare un’isola che non c’è.