Gigi Padovani, La Stampa 12/8/209, 12 agosto 2009
Chef Emanuele Scarello vs Chef Ciccio Sultano - La prima sorpresa che arriva dai due chef che abbiamo interpellato per offrire i loro «piatti del cuore», per una sfida culinaria a base di ricette, arriva dal costo: per convenienza, infatti, vince la Padania
Chef Emanuele Scarello vs Chef Ciccio Sultano - La prima sorpresa che arriva dai due chef che abbiamo interpellato per offrire i loro «piatti del cuore», per una sfida culinaria a base di ricette, arriva dal costo: per convenienza, infatti, vince la Padania. Lo chef friulano Emanuele Scarello, presidente nazionale da pochi mesi della sezione italiana dei Jeunes Restaurateurs d’Europe, propone un menu completo per quattro persone a 55 euro, contro i 68 del siciliano Ciccio Sultano, la cui materia prima, il pesce, è sicuramente più cara. Come consigliava Pellegrino Artusi nella sua «Scienza in cucina» - raccolse soprattutto piatti settentrionali, lui che era di Forlimpopoli -, Scarello offre proposte leggere, perché «nel pranzo si può scialare, ma più durante l’inverno che nell’estate, perché nel caldo si richiedono alimenti leggieri e facili a digerirsi». Ecco allora, dal Friuli, gli gnocchi di ricotta - formaggio delle Alpi, ovviamente - e un filetto appena scottato dalle carni rosee, con un’eterea crema di lattuga. Un tempo la «linea gotica» tra la cucina nordica e quella sudista era tracciata dal condimento: fino alla Toscana esclusa, si usava il burro, più in basso l’olio. Ora le abitudini gastronomiche si sono rimescolate, in un salutare «melting pot» del gusto. Così a Udine usano l’olio del Carso. D’altra parte Scarello è convinto che tutti i suoi soci del club dei Jre (69 effettivi e 18 onorari, in gran parte nel Nord e nel Centro) siano interessati in primo luogo alla materia prima: «Quando cucino un agnello voglio sapere dove ha pascolato, poi l’interpretazione è personale, ogni chef ne fornisce una propria». IL MENU DELLO CHEF EMANUELE SCARELLO - Ristorante AGLI AMICI DI UDINE - Cubo tiepido di lingua salmistrata con patate novelle di Godia, agro di «picecui» ed erbe aromatiche (8 euro) - Gnocco di ricotta con brodo freddo alla melissa (5 euro) - Filetto di manzetta bollito con crema alla lattuga, sale di Pirano e olio del Carso (28 euro) - Zuppa fredda di ribes, gelato fiordilatte e pinoli tostati (10 euro) SUD - Tra tutte le cucine del Sud, quella siciliana è la più complessa: Ci hanno pensato gli arabi, i normanni, poi i «monsù» (i cuochi francesi delle case nobiliari) a modificarne e mescolarne le radici. Però il sole, il pesce, le verdure, la mediterraneità sono elementi inconfondibili e anzi hanno ormai un po’ contaminato l’intera Nuova Cucina Italiana di questa generazione di giovani chef. Melanzane fritte, pomodoro, ricotta salata e basilico costituiscono gli ingredienti di base della più famosa pasta catanese, i maccheroni alla Norma. Pare che un cuoco l’abbia voluta paragonare alla sublime opera di Vincenzo Bellini, tanto era buona: «Ma questa è una Norma...». Lo chef Ciccio Sultano (anche lui fa parte dei Jre) da Ragusa Ibla dedica la sua spatola, pesce povero per eccellenza, proprio al componimento belliniano; vi ha poi aggiunto alcuni piatti classici e immancabili nella tavola meridionale, come la pasta al pomodoro fresco e la frittura di gamberi. Per secoli la discriminante con la Padania delle nebbie è stato il primo: zuppe al Nord, maccheroni al Sud, dove arrivarono già nel XIII secolo, sotto forma di «Vermicelli, cibo di farina in forma di fili» realizzati in un villaggio vicino a Palermo. «La nostra è una cucina di mare, fresca, semplice, mediterranea», dice con orgoglio Ciccio Sultano, che in realtà è nato «per caso a Torino» - come dice - in quanto figlio di immigrati siciliani che vi arrivarono alla ricerca di un lavoro negli Anni Settanta. Ma si fermarono poco e così nel 1975 erano già tornati in Trinacria, quando aveva cinque anni. Dunque niente richiami torinesi nei suoi piatti, giura lo chef del Duomo. A conferma che le contaminazioni hanno cambiato le tavole nordiche, più che quelle sudiste. E infatti a Palermo non si mangia la polenta, mentre a Milano gli spaghetti sono di casa. Esiste però una «italianità» della creatività, secondo Sultano, che come Scarello partecipa spesso a festival dell’alta cucina all’estero: va oltre alle radici meridionali o padane. «La nostra tradizione è di piatti regionali - aggiunge lo chef di Ragusa - e questa è una grande ricchezza alla quale non vogliamo rinunciare. Un’identità precisa che nel Sud sentiamo particolarmente. Del resto neppure l’alta cucina francese è solo nazionale: fu codificata quella della ”hotellerie”, dei grandi alberghi, in particolare per le salse». Una «chocroutte» alsaziana e una «bouillabaisse» provenzale sembrano provenire da due Paesi diversi. E il risotto alla milanese con l’ossobuco non ha molto a che spartire con il «pane d’a meusa» dei vicoli palermitani. Quanto alla crisi, una città turistica come Ragusa Ibla sembra non soffrirne molto: «Del resto noi al Sud siamo abituati alle difficoltà, per cui la recessione non ci spaventa. Per fortuna i tavoli del mio locale sono sempre pieni, gli italiani in agosto non rinunciano a trattarsi bene. Per settembre e ottobre aspettiamo gli stranieri. Per loro, la mia cucina non è siciliana, è semplicemente italiana. E questo sinceramente mi basta». IL MENU DELLO CHEF CICCIO SULTANTO - DUOMO DI RAGUSA IBLA - Frittura di gambero bianco Con gamberi marinati in limone, aglio, Prezzemolo e peperoncino rosso (25 euro) - Pa sta al pomodoro fresco e menta - Spatola alla Norma e salsa di gambero rosso (25 euro) - Gelato di ricotta con cannella e cannoli siciliani (8 euro)