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 2009  agosto 12 Mercoledì calendario

Ora basta, dice Silvio Berlusco­ni, «voglio la riforma della pri­vacy ». Il presidente del Consiglio è fu­rioso per la violazione della sua riserva­tezza, per quegli scatti che lo hanno im­mortalato mentre aspettava la figlia Ma­rina sul pontile della sua dimora di Por­to Rotondo

Ora basta, dice Silvio Berlusco­ni, «voglio la riforma della pri­vacy ». Il presidente del Consiglio è fu­rioso per la violazione della sua riserva­tezza, per quegli scatti che lo hanno im­mortalato mentre aspettava la figlia Ma­rina sul pontile della sua dimora di Por­to Rotondo. Il suo stato d’animo è uma­namente comprensibile. Cioè la diffi­coltà che ha un uomo al potere nel non riuscire a nascondere attimi legati alla sua più intima sfera, quella familiare, in questo periodo attraversata da non poche turbolenze. Ma la «riforma della privacy», stan­do almeno all’annuncio del capo del go­verno, non è materia semplice. L’Italia si è data l’Ufficio del Garante dal mag­gio 1997, affidandolo a Stefano Rodotà, ma non per propria iniziativa. Esiste una precisa direttiva europea del 1995 che obbliga gli Stati membri a tutelare la riservatezza dei cittadini con norme precise. Non solo, ma fanno testo diver­se sentenze della Corte europea dei di­ritti dell’uomo. Le regole comuni non valgono per i personaggi pubblici. Proprio la Corte europea con una sentenza del 7 giugno 2007 ha rafforzato il ruolo della stampa persino sulla diffusione di fatti scottan­ti (incluso il diritto di critica) quando coinvolgono politici, partendo dal pre­supposto che sono interessate «perso­ne che si espongono volontariamente a un controllo sia da parte dei giornalisti che della collettività». Modificare l’attuale assetto della re­golamentazione della privacy, insom­ma, sembra sin d’ora un’impresa com­plicata. Anche perché, parametrando il lavoro dell’Ufficio del Garante della pri­vacy italiano, si scopre che le regole so­no equilibrate e corrette, applicate a ogni cittadino senza tenere conto del censo o della sua importanza sociale. Soprattutto la nostra legge tiene accura­tamente conto di molte esperienze ma­turate in particolare negli Stati Uniti e, in generale, nell’ambito anglosassone. Il punto è molto semplice: diventare un personaggio pubblico assicura ono­ri. Ma implica tanti oneri. Perdere bra­ni di libertà personale, per esempio. Non è poco: chi dice il contrario? Ma prevedibile. Paolo Conti