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 2009  agosto 12 Mercoledì calendario

POSIZIONE DI SINDACALISTI SULLE GABBIE SALARIALI


BONANI DELLA CISL (PAOLO GRISERI, REPUBBLICA 12/8/2009)
ROMA - L´introduzione delle gabbie salariali «farebbe inevitabilmente saltare gli accordi sul nuovo modello contrattuale» perché «abolirebbe il ruolo di sindacati e imprese». Piuttosto «sarebbe utile cancellare totalmente la tassazione sulla contrattazione integrativa, quella che premia la produttività, territoriale o aziendale che sia». Il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, reagisce alle proposte leghiste sul salario differenziato tra Nord e Sud.
Bonanni, quali sono, a suo parere, i motivi di questa offensiva sui salari diffenziati tra Nord e Sud?
«La proposta sembra motivata dall´idea di alimentare l´invidia sociale di un gruppo di lavoratori contro altri individuando, sulla base di luoghi comuni e chiacchiere da bar, categorie di presunti privilegiati da colpire».
Luoghi comuni? Non è vero che la vita costa di più a Milano che a Napoli?
«Siamo seri. Se vogliamo stilare una classifica dobbiamo tenere conto che a Sud i servizi sono meno efficienti, che le banche costano di più, che è quasi assente il tempo pieno nelle scuole e che, per il basso livello dei servizi sanitari, spesso le persone sono costrette ai pellegrinaggi nel Nord per farsi curare. Qualcuno è in grado di calcolare questi costi?».
Una boutade estiva?
«Una deriva pericolosa che c´è da sperare il governo non voglia seguire».
I contratti territoriali che voi, a differenza della Cgil, proponete di rafforzare, non finirebbero per ottenere lo stesso risultato? Territorio ricco, salario ricco e viceversa?
«Noi proponiamo di pagare a livello territoriale o aziendale la produttività dei lavoratori. Lo proponiamo oggi come lo abbiamo proposto negli anni scorsi insieme a tutti i sindacati, compresa la Cgil. La riduzione dei contributi nei contratti di secondo livello è stata decisa dal governo Prodi con l´accordo della gran parte dei partiti del centrosinistra. Il governo Berlusconi ha proseguito sulla stessa strada abolendo una prima quota di tasse. Non si capisce perché un sindacato non dovrebbe essere d´accordo. Noi chiediamo di più: proponiamo di abolire completamente la tassazione sugli aumenti salariali legati alla produttività. Così si estende davvero quella contrattazione di secondo livello che è più vicina alle esigenze dei territori».
Quale area sarebbe favorita da una misura del genere?
«Visto che la maggior parte dei lavoratori dipendenti sta al Nord, faccia lei».
In questo modo non verrebbe ridotto al lumicino il contratto nazionale che tutela tutti, anche chi non ha il sindacato in fabbrica?
«Guardi, il sindacato e la tv sono stati i due fattori che hanno realizzato davvero l´unità del paese. Un ruolo importante lo ha svolto proprio il contratto nazionale che garantisce uno stipendio di base uguale ai lavoratori italiani. Non saremo certo noi a metterlo in discussione o a muoverci in direzione contraria».

EPIFANI DELLA CGIL (LUISA GRION, REPUBBLICA 6/8/2009)
ROMA - E´ vero: il costo della vita al Sud è più basso rispetto che al Nord. Ma pensare che le diseguaglianze si risolvano tagliando le buste paga di chi vive nelle regioni meridionali è pura demagogia. Per Guglielmo Epifani, leader della Cgil, l´impostazione va rovesciata: il vero problema - assicura - è che in Italia i salari sono bassi dappertutto. E le differenze di stipendio - o gabbie salariali - ci sono già: fra Nord e Sud, ma non solo. Aumentare i divari sarebbe un fatto «inaccettabile» che renderebbe ancora più dura la capacità di tenuta delle famiglie davanti alla crisi, di cui il sindacato non vede affatto la fine.
Cosa si aspetta la Cgil dalla riapertura delle fabbriche a settembre? Il peggio non è passato?
«Purtroppo temiamo che in autunno possa realizzarsi un pericoloso paradosso dovuto all´eccezionale durata della fase critica, che ormai va avanti da un anno. Forse la produzione interromperà la discesa, ma la disoccupazione rischia di aumentare. I segnali che anche in agosto arrivano dalle fabbriche non sono buoni: le imprese, consumati i periodi di cassa integrazione, ora possono chiudere e mettere i dipendenti fuori dall´azienda. Sono d´accordo con la Marcegaglia: ci saranno altri mesi duri».
Abi e piccole imprese hanno appena siglato un accordo sul credito, avrà effetti sulla capacità di resistenza delle imprese?
«Me lo auguro, ma l´applicazione dell´accordo non è obbligatoria, si basa su adesioni volontarie. La moral suasion può non essere sufficiente».
Parliamo di Sud e dei dati della Banca d´Italia: vivere nel Meridione costa il 17 per cento in meno. La Cgil è contraria a recuperare questo divario sugli stipendi?
«La Cgil è contraria alle differenze salariali per chi fa lo stesso lavoro con la stessa professionalità. Le paghe sono già più basse al Sud rispetto al Nord del 15-20 per cento. Come sono inferiori quelle dei giovani rispetto ai meno giovani, delle donne rispetto agli uomini e dei lavoratori migranti rispetto agli italiani. Differenze che per me vanno superate, non ampliate. Né si può accettare che ci sia una compensazione automatica fra salari bassi al Sud e prezzi alti al Nord, troppo facile risolvere la questione così».
Ma visto che il differenziale di prezzi c´è e che per un metalmeccanico di Varese la vita è più cara rispetto a quella di un collega siciliano, cosa pensa si possa fare?
«Non si può semplificare il tutto parlando di Meridione e Settentrione. A Palermo ci sono voci di spesa alimentare alte quanto a Trieste. Nel Sud i servizi sono di qualità inferiore e le famiglie, quando devono curare i cari, si trasferiscono al Nord spendendo un sacco di soldi. La differenza di costo c´è, ma si concentra in realtà su una sola voce: la casa. E´ li che dobbiamo agire».
Come?
«Sviluppando accanto alla contrattazione nazionale e a quella di secondo livello basata sulla produttività un terzo canale: la contrattazione territoriale sociale. Imprese, sindacato ed enti locali dovrebbero accordarsi per trovare delle soluzioni al maggior costo abitativo. Un po´ come oggi già si fa sulle tariffe. Il meccanismo permetterebbe di non toccare i salari, ma di offrire compensazioni attraverso politiche vantaggiose per le case e i servizi. Una sorta di salario sociale da aggiungere a quello aziendale e nazionale».
Con quali risorse regioni, province e comuni dovrebbero quindi sostenere il costo di tale iniziativa?
«Forme di contrattazione sociale già esistono, ma vanno rafforzate. Per questo bisogna rivedere il patto di stabilità interno».
Quindi la Cgil non vuole che la soluzione passi attraverso le buste paga. Come mai allora fu proprio il suo sindacato a siglare nel dopoguerra l´accordo sulle gabbie salariali con la Confindustria. Perché allora sì e ora no?
«Il contesto era completamente diverso. Le differenze allora furono accettate perché le varie zone dell´Italia erano state liberate in tempi diversi e bisognava trovare un meccanismo che permettesse un riequilibrio. Un po´ come è successo fra Germania dell´Est e dell´Ovest al momento della riunificazione. Ma il fine ultimo non è differenziale, è parificare. Per questo ora tornare alle gabbie salariali vorrebbe dire fare un passo indietro. Calderoli invece di lanciare messaggi del genere farebbe bene ad occuparsi di fabbriche del Nord sull´orlo dello smantellamento, come l´Innse».


SUSANNA CAMUSSO, CGIL (PAOLO GRISERI, REPUBBLICA 12/8/2009)
ROMA - La strada delle gabbie salariali «non solo è sbagliata ma non è neppure realistica». Susanna Camusso, segretaria nazionale della Cgil, respinge la proposta del governo e nega che si possa ulteriormente detassare la contrattazione nei territori: «Sarebbe un modo per estendere il privilegio dei lavoratori garantiti a danno di tutti gli altri».
Camusso, perché non considera realistica l´idea delle gabbie salariali?
«Perché aprirebbe conflitti non solo tra Nord e Sud ma anche all´interno degli stessi territori».
Può farci un esempio?
«Il ministro Brunetta dice di essere favorevole a gabbie salariali su base regionale. Nell´area a cavallo tra Lombardia ed Emilia c´è il polo della zootecnia italiana. Qualcuno dovrebbe spiegare perché il mungitore pakistano di Mantova deve guadagnare di più del suo collega di Reggio Emilia. O per quale motivo i molti pendolari che arrivano a Milano dai centri della provincia, dove la vita costa molto di meno, dovrebbero avere degli stipendi parametrati sui prezzi dei bar di piazza San Babila».
Non basterebbe creare macroaree senza arrivare a distinzioni così capillari sul territorio?
«Anche in quel modo sarebbe un sistema ingiusto. Negli ultimi anni è ripreso il fenomeno dei ragazzi del Sud in trasferta al Nord per ragioni di studio. Sono studenti mantenuti dalle famiglie del Mezzogiorno. In questo modo si favorisce una considerevole migrazione di Pil, fatto di affitti spesso esorbitanti nelle città universitarie. Nessuno è in grado di tenere conto di questi fenomeni in un sistema di gabbie salariali».
Una strada potrebbe essere quella della contrattazione territoriale dove è possibile mettere d´accordo buste paga e costo della vita. Sareste d´accordo a detassare gli aumenti dei contratti integrativi?
«Sarei molto cauta su questo punto. Credo che sia sempre da evitare l´abolizione totale delle tasse su specifici capitoli».
Perché?
«Perché se le tasse non arrivano dalle buste paga, arrivano comunque in modo indiretto tassando i consumi. E i lavoratori a basso reddito sono i più colpiti dalle tasse indirette».
Perché allora la Cgil ha accettato in passato forme di detassazione sui contratti di secondo livello?
«Perché un conto è incentivare quei contratti con sgravi fiscali, un altro è abolire totalmente le tasse. Senza dimenticare che così facendo si aumentano i privilegi per chi ha il contratto integrativo a scapito dei tanti dipendenti delle piccole aziende che non ce l´hanno. Accadrebbe così che un bancario di Milano avrebbe gli aumenti detassati e un operaio di una fabbrichetta di Monza no. Oltretutto questo favorirebbe il Nord-Ovest, dove predomina la grande industria, a scapito del Nord-Est dove prevalgono le piccole aziende senza contratto aziendale. Come si vede anche in questo caso si finirebbe per aumentare diseguaglianze che sarebbe invece opportuno lavorare per superare».
(p.g.)

EPIFANI DELLA CGIL ALL’ASCA IL 12/8/2009
GABBIE SALARIALI: EPIFANI, PRONTI ALLO SCIOPERO GENERALE.
BERLUSCONI, MAI DETTO SI’
’’Vedo che la Lega non demorde, se andasse avanti sarebbe un’iniziativa puramente ideologica e disgregante. Ci opporremo con tutte le nostre forze’’. In un’intervista a ’La Stampa’, il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, conferma la contrarieta’ del suo sindacato al ripristino delle gabbie salariali, non escludendo contro di esse anche il ricorso ad uno sciopero generale.
’’In Italia - sottolinea Epifani - quel che ci vorrebbe non sono le gabbie salariali, ma il salario europeo. Non conoscere i dialetti, ma l’inglese, il tedesco, il cinese.
Dobbiamo guardare avanti, non indietro’’. Evocando le gabbie, ad avviso del leader della Cgil, la Lega e Berlusconi ’’suggeriscono al lavoratore del Nord che potrebbe guadagnare di piu’, invece di dire la verita’, e cioe’ che c’e’ un salario basso al Nord e basso al Sud e che occorre, semmai, alleggerire il carico fiscale sui lavoratori’’.
Al riguardo, Epifani sottolinea che, ’’come conferma la Banca d’Italia, la pressione sul lavoro dipendente e’ troppo forte, e bisogna intervenire. E se si vuole operare sugli svantaggi territoriali del Mezzogiorno - osserva - si puo’ operare con la fiscalita’ di vantaggio, o con la fiscalizzazione parziale di oneri contributivi’’.
Il leader della Cgil confessa infine una sua precisa idea: ’’In realta’ - spiega - quando Berlusconi parla di gabbie salariali, il primo effetto implicito e’ decretare la fine dell’accordo firmato da Cisl e Uil senza di noi. Perche’ se bisogna legare i salari al territorio si va in direzione opposta alla contrattazione di due livelli, nazionale e aziendale. Il che mi conferma che quell’accordo aveva come obiettivo quello di dividere il sindacato’’.

NICOLETTA ROCCHI DELLA CGIL (ENRICO MARRO SUL CORRIERE DELLA SERA DEL 12/8/2009: ATTENZIONE LA PIù IMPORTANTE DI TUTTE)
ROMA – Il dibattito sulle gabbie salariali, l’invi­to di Piero Fassino (Pd) a «riaprire un confronto sen­za pregiudiziali» non lasciano indifferente la Cgil. Al di là di uno scontato no alle gabbie in quanto tali, il sindacato sa che c’è una questione salariale, innanzi­tutto al Nord, dove gli argomenti della Lega fanno breccia nelle fabbriche. E nella Cgil, che è già nella fase precongressuale (quello della prossima primave­ra sarà l’ultimo congresso per Guglielmo Epifani da segretario generale), c’è chi come il segretario confe­derale Nicoletta Rocchi rompe gli schemi e propone una «svolta strategica» all’insegna della contrattazio­ne decentrata. Una posizione minoritaria e antitetica a quella ufficiale, ma che dà il senso di come siano agitate le acque in Cgil in vista di una gara alla succes­sione dove quasi tutti i membri della segreteria si sen­tono in corsa.

Fassino vi chiede di riaprire il confronto.

«Lo stiamo già facendo. Nonostante la Cgil non ab­bia firmato l’accordo sulle nuove regole della contrat­tazione, in alcune categorie si sta cercando di proce­dere unitariamente con Cisl e Uil, in altre sarà più dif­ficile. Alla fine avremo una stagione di luci e ombre, con molti contratti separati e dovremo tutti immagi­nare un aggiustamento delle regole».

Solo allora la Cgil rientrerà in gioco?

«I fatti si incaricheranno di dimostrare che della Cgil non si può fare a meno e che Cgil, Cisl e Uil sono ’condannate’ a stare insieme. La crisi spingerà in questo senso. Gli altri dovranno riconoscere le pec­che del nuovo sistema, la Cgil dovrà proporre una svolta».

Quale?

«Bisognerà dire con chiarezza la nostra proposta. Io credo che si debba immaginare un sistema dove, al termine di un processo di aggregazione dei contratti di categoria, si arrivi a 3 macroaree: industria, servizi e pubblico impiego. Qui il contratto nazionale dovrà essere leggero, indicare i di­ritti di base e il minimo sala­riale garantito a tutti, com­presi precari e lavoratori a progetto da stabilizzare col contratto unico. Tutto il re­sto dovrà passare alla con­trattazione decentrata, aziendale o territoriale».

Una rivoluzione per la Cgil che ha sempre punta­to tutto sul contratto nazio­nale.

«Credo sia arrivato il momento di una discussione profonda che porti a una svolta strategica e so che molti in Cgil la pensano così. Non si può vivere gior­no per giorno, bisogna indicare un nuovo orizzonte e proporlo a Cisl e Uil per riprendere rapporti unitari più forti».

La riforma dei contratti che non avete firmato punta proprio sui contratti aziendali.

«Dubito che possa funzionare. Presenta troppi vin­coli al suo interno. Si preoccupa di evitare che la con­trattazione aziendale prenda il largo, mentre serve il contrario. Non è con i limitati incentivi fiscali previ­sti che i contratti di secondo livello possono decolla­re ».

E come?

«Riducendo il ruolo del contratto nazionale a con­tratto di garanzia inderogabile e delegando alla con­trattazione decentrata importanti materie. A quel punto essa diventa davvero esigibile. Questa svolta sarebbe conveniente per le aziende che redistribui­rebbero la produttività effettiva e rappresenterebbe un’occasione di rilancio per il sindacato».

Perché?

«Noi dobbiamo uscire da certa burocratizzazione e recuperare credibilità. Ripartendo dai luoghi di lavo­ro e misurandoci. Perché, sia chiaro, il nuovo sistema tiene solo se si fa una legge sulla rappresentanza sin­dacale ».

Lei disegna uno scenario futuro, la Lega chiede intanto il ritorno alle «gabbie».

«Tutti sanno che non si può tornare a differenze di salario tra Nord e Sud, che peraltro già ci sono, prede­terminate rigidamente. La contrattazione aziendale sarebbe la migliore risposta concreta a questo dibatti­to astratto».