Paolo Mastrolilli, La stampa 12/8/2009, 12 agosto 2009
IMPARATE LA STORIA SARETE VOI A FARLA"
Lo scrittore da brividi Edgar Allan Poe, il raffinato pittore James McNeill Whistler e l’astronauta Buzz Aldrin: cosa può legare tre icone americane così diverse? Solo una «lunga linea grigia», la stessa che li unisce ai presidenti Eisenhower e Grant, ai generali Schwarzkopf e Petraeus, e persino al cavallo pazzo del West George Custer, tutti orgogliosi cadetti di West Point.
La modestia non abita tra i boschi di querce, le rocce e i laghi gelati 50 miglia a Nord di New York, dove da 207 anni si tramanda l’austera tradizione dell’Accademia Militare degli Stati Uniti. I professori non scherzano quando accogliendo gli ultimi arrivati, detti «plebei» in omaggio a Roma imperiale, li avvertono: «Qui si studia la storia fatta da coloro a cui l’abbiamo insegnata». Difficile smentirli.
Tanto per cominciare, il promontorio sul fiume Hudson dove sta arroccata l’Accademia è il presidio militare occupato più a lungo negli Stati Uniti. George Washington in persona ordinò di prenderlo, il 27 gennaio 1778, perché dominava un’ansa a gomito dove era facile bloccare la navi britanniche che facevano rotta verso Nord, per attaccare le colonie ribelli. Un forte strategico così prezioso che il comandante, Benedict Arnold, pensò bene di provare a venderlo agli inglesi, passando alla storia come il più infame traditore dell’epopea americana.
Finita la Guerra d’Indipendenza un altro mito degli Stati Uniti, il presidente Jefferson, decise che quello era il posto giusto per allevare i difensori del Paese appena nato. Così il 16 marzo 1802 fondò la United States Military Academy di West Point. Motto: «Dovere, Onore, Paese».
Il primo diplomato si chiamava Joseph Gardner Swift, in una classe composta solo da lui e dal collega Simon Levy. Era un ingegnere, perché di quello aveva bisogno l’America: piantare le fondamenta. Nel 1817, però, a comandare West Point arrivò il colonnello Sylvanus Thayer, il «Padre dell’Accademia». La trasformò in una fabbrica di guerrieri, al punto che durante la Guerra Civile partirono da lì 294 generali nordisti e 151 sudisti, compresi i due comandanti supremi Ulysses Grant e Robert Lee.
Anche le pecore nere di West Point facevano la storia. Come il folle condottiero del 7° Cavalleggeri a Little Big Horn, George Custer, non a caso finito ultimo del suo corso nel 1861. Ma la «lunga linea grigia», l’infinita successione dei ragazzi che hanno indossato la divisa di cadetti, non abbandona mai nessuno sul campo: oggi Custer riposa nel cimitero dell’Accademia, carezzato dal vento che dal Canada soffia lungo l’Hudson.
Quando gli Stati Uniti hanno celebrato in Obama il primo presidente nero, West Point ha scrollato le spalle: James Webster Smith, primo cadetto di colore, era stato ammesso nel 1870. La Casa Bianca, del resto, aspetta ancora un capo donna, mentre l’Accademia aprì le porte alle prime 119 cadette nel 1976. Costruire gli Stati Uniti anticipandone il futuro, per poi scriverne la storia. Come quando West Point laureò la classe del 1915, la «classe sui cui si posarono le stelle», nel gergo degli alunni. Douglas Mac Arthur, George Patton, Omar Bradley, Dwight Eisenhower: la Seconda Guerra Mondiale, in poche parole, la vinse l’Accademia. Che poi perse il Vietnam con William Westmoreland, ma ora si è riscattata in Iraq, prima con Norman Schwarzkopf e poi con David Petraeus.
Proprio MacArthur aveva coniato il codice d’onore degli allievi: «Un cadetto non mente, non imbroglia, non ruba, e non tollera coloro che lo fanno». Ancora oggi, copiare un compito o dire una bugia basta per essere cacciati. Senza arrivare a tanto, chi sgarra viene punito dai colleghi con il «silencing»: nessuno ti parla più, se disonori la divisa. Una scuola così dura che perfino Patton, il giorno prima di laurearsi, annotò su un libro di testo: «Grazie a Dio questa è la mia ultima lezione da cadetto».
Non tutti reggono allo stress. Lo scorso 8 dicembre l’allievo Alfred Fox si è suicidato con il gas nella stanza di un motel vicino all’Accademia, e il 2 gennaio il collega Gordon Fein si è sparato mentre era in licenza. Il Pentagono ha aperto un’inchiesta, ma le lezioni sono andate avanti.
Dura, certo, ma è una grande scuola. Per quattro anni studi Sun Tzu, von Clausewitz e ti addestri con le armi, però impari anche economia, legge, ingegneria, informatica, lingue o chimica, a seconda della specializzazione. Poi, siccome un ufficiale deve capire il mondo in cui vive, tra gli oltre 450 corsi offerti ci sono pure psicologia e una classe intitolata «Giotto e i suoi seguaci».
Finito di studiare si passa allo sport, ma sempre per vincere, perché il cameratismo dei campi da gioco è la metafora di quello sui campi di battaglia. Perciò «Beat the Navy», battere la squadra della Marina a football, è un dovere scolpito nella testa di qualunque cadetto, prima ancora del rispetto per la Costituzione.
Il processo di ammissione è durissimo: ci vuole persino la presentazione da parte di un parlamentare, rigorosamente apolitica. Solo 12 domande su 100 vengono accettate, per i mille posti disponibili ogni anno. La scuola è pagata dallo Stato, ma se ce la fai ad arrivare fino in fondo prendi la laurea, diventi sottotenente, guadagni 70.000 dollari e devi prestare almeno cinque anni di servizio.
L’11 settembre del 2001 gli aerei che colpirono le Torri Gemelle volarono proprio sopra West Point. Qualche mese dopo tra i nuovi cadetti c’era anche Patrick Dowdell, figlio di uno dei 343 pompieri di New York morti nel rogo: «Mio padre mi diceva sempre che potevo riuscire in tutto, se volevo. Quando uscirò da qui, farò qualcosa di importante: glielo devo».