Niall Ferguson, Il Sole 24 Ore 12/8/2009, 12 agosto 2009
Felix the Cat, the wonderful, wonderful cat! Whenever he gets in a fix, he reaches into his bag of tricks! (Il gatto Felix, il magnifico gatto! Quando si ficca nei guai, ha sempre un trucco pronto!) Il presidente Barack Obama mi ricorda Felix the Cat, uno dei personaggi più popolari dei cartoni animati degli anni Venti
Felix the Cat, the wonderful, wonderful cat! Whenever he gets in a fix, he reaches into his bag of tricks! (Il gatto Felix, il magnifico gatto! Quando si ficca nei guai, ha sempre un trucco pronto!) Il presidente Barack Obama mi ricorda Felix the Cat, uno dei personaggi più popolari dei cartoni animati degli anni Venti. Felix non solo era nero come lui, ma era anche estremamente fortunato, proprio come il 44° presidente degli Stati Uniti, che si sta prendendo una ben meritata pausa di relax dopo poco più di sei mesi dal momento in cui ha cominciato il lavoro più importante e difficile del mondo. Il suo pacchetto di stimoli, approvato a febbraio, ha indiscutibilmente dato un grosso contributo alla stabilizzazione dell’economia americana. La legge antiemissioni, con l’introduzione di una Borsa delle emissioni, è stata approvata dalla Camera dei rappresentanti a giugno. Obama ha dato il via a una revisione a 360 gradi della normativa finanziaria e della sanità. Considerando le proporzioni della crisi economica che ha ereditato, la sua popolarità regge bene: può contare su un tasso di approvazione (56%) molto più alto di quello su cui poteva contare Bill Clinton nello stesso periodo del suo primo mandato, e più o meno al livello di quello di George Bush figlio. L’economia ha superato il nadir della "grande recessione", e queste sono le prove: il Pil nel secondo trimestre è calato solo dell’1%, contro il tracollo del 6,4% nel primo trimestre; la caduta dei prezzi delle case si è fermata e in alcune città sta ricominciando a salire: le vendite di villette monofamiliari di nuova costruzione sono balzate in avanti (fra maggio e giugno) dell’11%, i credit spreads si sono ridotti notevolmente e le grandi banche si stanno risollevando (qualcuna addirittura sta guadagnando da restituire i fondi stanziati dallo stato per il suo salvataggio); l’indice S&P 500 è salito di quasi il 48% rispetto ai minimi toccati ai primi di marzo. Ma la notizia migliore in assoluto è che a luglio il calo dell’occupazione è stato inferiore a quanto quasi tutti gli esperti prevedevano: nell’industria e nei servizi sono andati in fumo 247mila posti di lavoro, la metà rispetto ai ritmi dei mesi primaverili e il tasso di disoccupazione è addirittura sceso leggermente, arrivando al 9,4 per cento. Diamo a Cesare quel che è di Cesare: anche se la medaglia d’oro per aver sventato la depressione va a Ben Bernanke, il presidente della Federal Reserve, e la medaglia d’argento ai dirigenti cinesi per il loro pacchetto di stimoli ancora più ambizioso, l’inquilino della Casa Bianca si merita come minimo il bronzo. Secondo Moody’s il pacchetto di misure di stimolo promulgato dall’amministrazione Obama ha salvato più di 500mila posti di lavoro. Senza questa impennata della spesa pubblica, il Pil sarebbe ancora oggi in caduta libera. Anche in politica estera questo è un presidente che si costruisce da solo la propria buona sorte. Il suo discorso del Cairo a giugno è stato un grande successo, e qualcuno gli attribuisce perfino il merito delle recenti battute d’arresto di Hezbollah in Libano e del presidente Mahmud Ahmadinejad in Iran (anche se in realtà la crisi di Teheran ha rappresentato un grave colpo alla strategia negoziale adottata dall’amministrazione Obama nei confronti del regime degli ayatollah). La stampa ha parlato in termini molto positivi della missione umanitaria lampo dell’ex presidente Clinton in Corea del Nord per assicurare il rilascio di due giornaliste americane, nonostante di fatto si sia trattato di una ricompensa al regime più folle del mondo per i suoi test missilistici. E se ancora non credete alla fortuna di quest’uomo, pensate a quei pirati somali fatti fuori ad aprile dagli incursori della marina Usa intervenuti per liberare il capitano Richard Phillips: se Jimmy Carter avesse tentato un’impresa del genere, gli incursori avrebbero colpito il capitano Phillips invece dei pirati. Felix the Prez è fortunato anche in politica interna. Dopo mesi di controversie e contestazioni, Al Franken è stato finalmente confermato senatore per il Minnesota, offrendo ai democratici un margine di vantaggio potenzialmente determinante alla Camera alta. E la dimostrazione è arrivata la scorsa settimana, quando il Senato ha confermato, per 68 voti contro 31, la candidata scelta dal presidente per la Corte suprema, Sonia Sotomayor. Alla Camera dei rappresentanti il partito di Obama ha una maggioranza di 256 deputati contro 178. E la notizia migliore è che il Partito repubblicano ha sostituito il Contratto con l’America di Newt Gingrich del 1994 con un patto suicida con se stesso: tra la sconcertante decisione di Sarah Palin di dimettersi da governatrice dell’Alaska e l’amante argentina di Mark Sanford, i repubblicani appaiono privi non solo di un leader, ma anche di una bussola. Eppure, la fortuna del presidente forse sta per finire. Perché proprio la forza del suo partito al Congresso potrebbe rivelarsi un punto debole, invece che un punto di forza. Durante la mia ultima visita a Washington non ho potuto fare a meno di rimanere colpito dal cambiamento avvenuto: dalla presidenza imperiale dell’era Bush a una sorta di governo parlamentare ora che alla Casa Bianca c’è Obama. Il presidente propone: il Congresso dispone. stato il Congresso a scrivere il pacchetto di stimoli e a farcirlo a dovere di provvedimenti elettoralistici. Sarà il Congresso a licenziare una riforma sanitaria che non avrà nessuna possibilità di autofinanziarsi. Obama recentemente ha perso le staffe rivolgendosi a un ignoto deputato Blue Dog (democratico tendente a destra): «Voi affosserete la mia presidenza». Potrebbe aver ragione. Secondo i sondaggi, il 61% degli elettori disapprova l’operato del Congresso, contro un 31% che lo approva. Non solo: se le elezioni di metà mandato si tenessero oggi, i due partiti sarebbero testa a testa. Il motivo è evidente. Se il pacchetto di misure di stimolo è motivato da concrete ragioni macroeconomiche, i crescenti squilibri strutturali fra entrate e uscite nel bilancio federale terrorizzano gli elettori. Un recente sondaggio Usa Today/Gallup ha mostrato che il 59% degli americani considera eccessivi i livelli di spesa pubblica. La gestione del deficit di bilancio federale è l’aspetto meno apprezzato della politica di Obama. Gli elettori hanno buoni motivi per disapprovare. Il deficit quest’anno probabilmente sarà di 1.800 miliardi di dollari. Il debito pubblico lordo si appresta a sfondare il limite di 12.100 miliardi di dollari fissato dal Congresso. Secondo lo scenario alternativo elaborato dall’Ufficio bilancio del Congresso, il debito pubblico potrebbe salire dal 44% del Pil dello scorso anno fino all’87% entro il 2020. Solo la spesa sanitaria potrebbe crescere dal 16 al 22% del Pil. Il divario fra uscite ed entrate in base all’ultima versione della legge licenziata dalla Camera sarebbe di 65 miliardi di dollari in poco più di un decennio. L’amministrazione non ha nessun piano di rientro: le previsioni di bilancio della stessa Casa Bianca mettono in preventivo un deficit di 1000 miliardi di dollari nel 2019. Megadeficit prolungati nel tempo sono politicamente sbagliati. Ed economicamente forse sono perfino peggio. Lo scenario da incubo è un incremento dei timori per la solvibilità statunitense, che spingerebbe al rialzo i tassi d’interesse a lungo termine, soffocando sul nascere la ripresa. D’altronde siamo ancora ben lontani dall’aver riportato la leva finanziaria a più miti consigli. In rapporto al Pil, la ricchezza netta delle famiglie è precipitata ai livelli di vent’anni fa. Ma l’indebitamento delle famiglie è ancora vicino al record, con circa il 130% del reddito disponibile. Chiunque si aspetti una ripresa dei consumi privati sta sognando: in giugno la spesa individuale reale è diminuita. E inoltre la crisi immobiliare è tutt’altro che conclusa: il numero dei prime borrowers in ritardo sul rimborso del prestito è cresciuto del 13,8% fra maggio e giugno. Il tasso d’insolvenza delle imprese è già oltre l’11% e sta marciando verso il 13 per cento. Il contributo delle misure di stimolo alla crescita (la spesa mensile in rapporto al Pil) ormai ha superato il picco e di qui a gennaio 2010 sarà pari a zero. La partnership pubblico e privato per rilevare gli asset tossici delle banche è stata un flop. Il tasso di disoccupazione ufficiale nasconde un’impennata della disoccupazione di lungo termine che non ha precedenti nel dopoguerra. Ricordiamoci che questa rimane una crisi globale: qualunque shock esterno (ad esempio una crisi bancaria in Europa) potrebbe far abortire la stabilizzazione economica, proprio come successe nel 1931 col fallimento della Creditanstalt, che regalò al mondo altri due anni di depressione. Anche la politica estera del presidente potrebbe perdere pezzi. L’Iraq probabilmente diventerà più instabile ora che gli Stati Uniti hanno ritirato una parte dei soldati. Obama si è impegnato in un’escalation militare in Afghanistan e non c’è Paese più difficile al mondo da pacificare. L’amministrazione sembra sopravvalutare la pazienza dei cinesi, profondamente preoccupati per la sorte delle loro enormi riserve in dollari. Dopo sei mesi dall’entrata in carica, Obama ha ancora tutta l’aria di un fortunato presidente da due mandati. Ma le cose potrebbero cambiare se l’impopolarità del ramo legislativo dovesse continuare a crescere fra gli elettori e se Obama fosse visto come il responsabile dell’incombente deragliamento dei conti pubblici. Lo scenario più inquietante per l’inquilino della Casa Bianca è un deficit galoppante che finirebbe per lasciarlo nella situazione più disastrosa possibile: un debito fuori controllo e una crescita stagnante. Anche Felix the Cat vide la sua fortuna risucchiata dalla Depressione. Pat Sullivan, il suo creatore, morì alcolizzato nel 1933, incapace di accettare il fatto che il pubblico ormai preferisse roditori come Topolino e Jerry. Il presidente Obama dovrebbe prender nota.