Emanuela Audisio, la Repubblica, 12/8/09, 12 agosto 2009
LA LUCE DI OWENS SU BERLINO. I MONDIALI NELLA CULLA DEL MITO
Lo sport non va mai avanti, senza tornare indietro. Anche perché usa lo stesso cielo. Owens era un lampo, Bolt è un fulmine. L´atletica viaggia nel futuro, ma non dimentica la sua culla. Qui nel ´36 nacque il mito dell´atletica, del campione moderno e di cosa significhi essere rivali, ma non nemici. Owens, americano, nero, Long, tedesco, bianco, stessa gara, salto in lungo. E Hitler in mezzo con la sua arianità. Owens sbaglia rincorsa, fa due nulli, è a un passo dall´eliminazione, Long gli suggerisce il rimedio: stacca più indietro. Owens è già una stella. Un anno prima, in un solo pomeriggio, ha stabilito quattro record del mondo, anche quello del salto in lungo che sarebbe durato per 25 anni e 79 giorni. I due non si conoscono, ma fanno amicizia, pure se non dovrebbero: il primo è il nipote di uno schiavo cresciuto in una piantagione di cotone, il secondo è alto, biondo, occhi azzurri, ufficialmente nazista. Jesse Owens cambia la rincorsa ed è oro con 8.06 metri, Luz Long è argento, con 7.87. La superiorità ariana è sconfitta, il razzismo no. Hitler quel giorno non si congratula con nessun vincitore, ma nemmeno Franklin D. Roosevelt, presidente dell´America, rende onore a Owens.
Dal deserto africano Long, divenuto ufficiale della Lutwaffe, scrive al suo amico: «Ho la sensazione che questa sarà la mia ultima lettera, per questo quando un giorno andrai in Germania, a guerra finita, trova mio figlio e digli chi era suo padre, ti prego, Jesse, raccontagli di come due uomini su questa terra possono essere amici». La lettera arriva nel ´43. Carl Ludwig «Luz» Long muore a 30 anni, nel ´43, in un ospedale da campo inglese, a seguito di ferite da combattimento, e viene seppellito nel cimitero militare germanico di Motta S. Anastasia, a Catania, nella fossa comune 2 piastra E. Owens manterrà la promessa, incontrerà il figlio, parteciperà alle sue nozze, senza mai perdere il contatto fino alla sua morte, nell´80, per un tumore ai polmoni.
Settantatre anni dopo quel legame resta ancora. Berlino, quello stadio, quello schiaffo al regime. E soprattutto quella carezza all´amicizia. Per questo Marlene Dortch, nipote di Jesse, si incontrerà con Kai, figlio di Long. A riprova che lo sport spesso sconfina e non si accontenta della geografia. Spiega Dortch: «Per me era solo un nonno, di Berlino aveva parlato così tante volte che con noi evitava, però chiamava campioni tutti i ragazzi. E´ buffo, perché io non sono mai stata in Germania, ma mia zia Gina mi ha detto che lì tutti ci conoscono, come se fossimo gente di famiglia». Gloria, sua madre, è la prima figlia di Jesse, e lavora come avvocato a Washington. Così Owens torna ad essere l´orgoglio a stelle e strisce da lucidare, in un momento in cui gli Usa si presentano ai mondiali di atletica senza più leadership nello sprint e nei salti. Ormai il giamaicano Bolt corre più veloce e il panamense Saladino atterra più in là. Dice Tyson Gay, campione mondiale dei 100 metri: «Owens è un mio mito, per tanti motivi. E correre nel suo stadio sarà molto speciale». Tutta la squadra avrà cucite sulla tuta le iniziali di Jesse Owens, in memoria dell´uomo nero che spaventò Hitler e fece scrivere a Joseph Goebbels: «La razza bianca dovrebbe vergognarsi». La razza umana, come diceva Einstein, invece ringrazia.