Giorgio Pogliotti, Il Sole-24 Ore 11/8/2009;, 11 agosto 2009
CONTA LA PRODUTTIVIT. NELLA RIFORMA NON C’ L’INFLAZIONE REGIONALE
Il ripristino delle gabbie salariali sembra ormai una proposta superata. Prova ne sia che dalla reintroduzione del meccanismo con cui dal dopoguerra fino al 1969 le parti sociali si accordarono per dividere rigidamente l’Italia in macroaree territoriali con differenti retribuzioni ha preso le distanze anche il ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, esponente di spicco della Lega.
Il premier Silvio Berlusconi è tornato sull’argomento dichiarando domenica a " Il Mattino" che legare «i salari ai diversi livelli del costo della vita fra Sud e Nord risponde a criteri di razionalità economica e di giustizia». Tuttavia nell’accordo quadro sul nuovo modello contrattuale firmato il 22 gennaio a Palazzo Chigi dal governo con le parti sociali (esclusa la Cgil), non c’è alcun esplicito riferimento ad un’articolazione dei salari che segua l’andamento del costo della vita per aree geografiche. L’accordo prevede un potenziamento della contrattazione decentrata ( aziendale o territoriale) per collegare gli aumenti salariali al «raggiungimento di obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza, efficacia ed altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività», nonchè «ai risultati legati all’andamento economico delle imprese concordato dalle parti». In sostanza se in un’azienda del Sud si realizza un forte incremento di produttività, attraverso la contrattazione aziendale i lavoratori avranno un beneficio economico, indipendentemente da dove è localizzata l’impresa. Mentre nel contratto nazionale ”sempre secondo l’intesa tra governo e parti sociali – gli incrementi seguono l’andamento dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) depurato della dinamica dei beni energetici importati, che è lo stesso per tutto il territorio. Un altro elemento di diversificazione delle retribuzioni è rappresentato dalle deroghe: «in situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale», aziende e sindacati possono accordarsi per «modificare «in tutto o in parte, anche in via sperimentale e temporanea singoli istituti economici o normativi» dei contratti nazionali. L’accordo applicativo siglato tra Cisl, Uil e Confindustria lo scorso 15 aprile individua quando si possono apportare le modifiche: «sulla base di parametri oggettivi individuati nel contratto nazionale », come «l’andamento del mercato del lavoro, i livelli di competenze e professionalità disponibili, il tasso di produttività, il tasso di avvio e di cessazione delle iniziative produttive, la necessità di determinare condizioni di attrattività per nuovi investimenti ». Qui si apre qualche spazio per diversificazioni territoriali, anche se è fissatoun paletto preciso per le deroghe: «Le intese per essere efficaci devono essere preventivamente approvate dalle parti stipulanti i contratti nazionali della categoria interessata ». Tra le categorie c’è il precedente dei chimici che – prima ancora della riforma contrattuale,con un’intesa siglata anche dalla Cgil – hanno previsto la deroghe alle parti normative e salariali (esclusi i minimi retributivi) per sostenere la competitività, a condizione vi sia il sì unanime dei sindacati.
«La riforma firmata con il governo non prevede differenziali salariali legati al costo della vita - sottolinea Giorgio Santini (Cisl) ”. Del resto sarebbe assai difficile fissarli, considerando che anche in una stessa regione come la Lombardia, a Milano e Sondrio il costo della vita è differente. La scommessa è legare i salari alla produttività, questa è la variabile. I politici dicano pure quello che pensano, ricordino però che l’applicazione di questi temi va lasciata alla contrattazione tra le parti».