Natalia Aspesi, la Repubblica 11/8/2009, 11 agosto 2009
APPLAUSI, FISCHI E SPOGLIARELLI PER LA ZELMINA SCACCIA-CRISI
Dissensi alla regia di Giorgio Barberio Corsetti, forse ritenuta troppo moderna
Sul podio Roberto Abbado, nel cast il tenore Juan Diego Florez, massima star del belcanto
Si è aperta a Pesaro la trentesima edizione del festival lirico dedicato al grande compositore
PESARO
Per festeggiare degnamente i trent´anni del glorioso festival che ogni estate celebra le meraviglie dell´illustre e generoso (lasciò alla città le sue grandi ricchezze, poi male amministrate e quasi del tutto perdute) concittadino Gioacchino Rossini, si voleva mettere in scena Sigismondo: l´ultima delle sue opere di cui esiste l´autografo, non ancora rappresentata, né qui né altrove, nell´edizione critica della dotta Fondazione Rossini. E non importa se, data a Venezia nel 1814, lo stesso compositore allora ventiduenne constatò che la storia del re pazzo di Polonia era di una noia mortale, anni dopo addirittura incitando il pubblico, che per eleganza si astenne, a fischiare. Per questo festival di massima filologia e mondiale popolarità, sarebbe stata una degna novità; invece si è dovuto rinunciare, spostandola alla prossima stagione: e non perché come scrissero allora, il libretto del Foppa «era il parto infelice di uno scrittore che oggi ci somministra la centesima prova della sua imperizia», ma perché troppo ricca e costosa.
Però già dall´inaugurazione di questa trentesima edizione, con l´apparente opulenza di una Zelmira diretta in tutta la sua solennità leggiadra da Roberto Abbado, la meraviglia e il successo sono stati clamorosi. Cast fiammeggiante, attorno alla massima star belcantista, il famoso cubano-pesarese Juan Diego Flòrez dagli occhi di velluto, che sempre porge la sua voce di seta con le mani a coppa: tutti bravissimi, sfiorando in un paio di casi anche l´imperiosità fisica, tanto che gli applausi a scena aperta, anche pestando i piedi, non finivano mai. I buu, come capita ormai spesso quando sul palcoscenico non compaiono pepli, alabarde e magari tigri, li hanno riservati alla regia di Giorgio Barberio Corsetti e a scene e costumi. Contrarie soprattutto le spettatrici italiane, in alta haute couture francese quindi costosissima, perché, trattandosi di uno scontro tra eserciti, gli sembrava antipatico che i personaggi fossero in divisa mimetica e no, molto Afghanistan.
Del resto il libretto del famigerato anche ai suoi tempi, Andrea Leone Tottola, è del tutto demente, trattandosi forse di una principessa che sballotta un fantolino e viene accusata ingiustamente di aver ucciso il babbo re di Lesbo e il marito in divisa estiva da carabiniere torna vittorioso e la ripudia: seguono molti tentativi di ammazzarsi tutti tra loro, con il povero re sbattuto continuamente a terra (avrà un extra per i lividi?) e ovviamente un lieto fine. Specchi che riflettono invisibili sotterranei e raddoppiano i personaggi, filmati che si sovrappongono sulle bocche spalancate nel canto, enormi statue poppute che girano per aria, tutti contenti quando lo sfondo a specchio riflette l´orchestra sovrastata dal suo affascinante direttore.
Roberto Abbado dice che «in Zelmira la musica è talmente bella nella sua solennità da far dimenticare le lacune e le assurdità del libretto». Lo aveva già capito un critico di allora, l´abate Capani, che scrisse, «la musica farà vivere lunga pezza questo drammatico aborto, strappato a forza dall´utero francese, a dispetto della ragione e del buon gusto». Rossini, ricorda Abbado, la compose a trent´anni, congedandosi dalla sua stagione napoletana, e immaginandola come un passaporto per l´Europa che era deciso a conquistare, cominciando, prima di Parigi, da Vienna, dove in quell´anno Zelmira ebbe ben 21 repliche mentre in altri teatri viennesi si davano altre sue nove opere. «Si tratta di una gigantesca scatola delle meraviglie da cui ho cercato di estrarre emozionanti tensioni nascoste, quelle "divine lunghezze" di cui parla Schumann».
E anche qui, a questo festival a cui accorrono da tutto il mondo insaziabili rossiniani, come ovunque in Italia si manifesti quell´inutile perditempo che è la cultura (di cui si disinteressa gentilmente anche l´apposito ministro), di soldi pubblici ce ne è sempre meno, l´accattonaggio tra i privati con la scusa della crisi dà frutti limitati, insomma impera l´indigenza. Ma niente paura, né lamenti, il sovrintendente Gianfranco Mariotti racconta: «Al posto di Sigismondo abbiamo prodotto la farsa comica in un atto La scala di seta, molto meno onerosa, abbiamo ridotto a uno i due teatri dell´arena, autoridotto gli stipendi, studiato per La scala di seta e per Le comte Ory scenografie facilmente smontabili, per riunirle a giorni alterni in un solo teatro. Abbiamo ridotto le rappresentazioni di ogni opera a quattro, contando su un teatro di 1400 posti e uno di 900. Peccato, perché mai come quest´anno avevamo avuto richieste di biglietti, soprattutto dall´estero, e con dispiacere abbiamo dovuto dire migliaia di no».
Non poteva mancare qualche ammiccamento sexy, addirittura un vero e proprio spogliarello dentro una scenografia di appartamento arredato Ikea con cucina Scavolini (opulento sponsor del festival). Nel nuovo allestimento di La scala di seta composta da un Rossini ventenne, solita storia della pupilla che disubbidisce ai voleri del tutore che la vuole maritare con uno mentre lei è già maritata con un altro: un solo atto con belle cantanti in sottoveste e uomini in mutande, direttore d´orchestra Claudio Scimone, regia del qui molto amato Damiano Michieletto. Poi in 250, con tutti gli artisti, per una cena strepitosa e tutta casalinga nel parco di Rolando Tittarelli e di sua moglie Paola, presidente dei tanti sostenitori del Festival e vicepresidente del nuovo gruppo "Tanti affetti" che lo sostiene anche economicamente dagli Stati Uniti.