Fulvio Milone, La stampa 11/8/2009, 11 agosto 2009
PER QUATTRO MESI CON UN MITRA PUNTATO ALLA TESTA
Se è stata dura? Sì, ogni giorno in questi quattro mesi è stato terribile». E’ sera, la Buccaneer naviga in acque tranquille verso Gibuti scortata da una nave della Marina militare. Libera, finalmente. Il giorno dopo il rilascio dell’equipaggio, la voce al telefono del primo ufficiale di coperta Mario Albano tradisce la stanchezza: «Ora voglio solo dimenticare». E’ sfinito anche il comandante Mario Iarlori, che quando ha parlato con la moglie ha gridato: «Ce l’ho fatta», e poi: «Sono vivo, siamo vivi», quasi stupendosi del fatto che un giorno avrebbe pronunciato quella parola. Iarlori è fedele alla consegna, parla pochissimo: «Non ci è permesso dare informazioni - dice dalla Buccaneer -, posso solo dirle che sono felice e che l’equipaggio sta bene. A giorni dovremmo essere a casa». Ma i marinai non riescono a osservare lo stesso riserbo: «Ho vissuto nel terrore, con la canna di un mitra sempre puntata addosso - ha raccontato alla madre Giovanni Vollaro -. Credevo che sarei morto qui. Invece, l’altra sera, tutto è cambiato all’improvviso: i pirati hanno abbandonato la nave e poco dopo sono arrivati i militari italiani. Non credevo ai miei occhi...».
E’ festa nelle case dove fino alle 11 di notte di domenica ha regnato la disperazione. E, come sempre avviene, chi finalmente sa di essere uscito da un incubo vede nelle coincidenze dei segni della Provvidenza: c’è la moglie del comandante che rivela come «il mio Mario sia stato liberato nel giorno del venticinquesimo anniversario del nostro matrimonio»; ci sono i familiari del primo ufficiale che a Itri, vicino a Latina, sottolineano «il miracolo della notizia più bella della vita giunta nel giorno della festa della Madonna protettrice dei marinai». E quasi ci si dimentica, nel momento della gioia, quanta angoscia abbia scandito i quattro mesi durante i quali gli uomini della Buccaneer, dieci italiani, cinque romeni e un croato, sono rimasti prigionieri dei pirati.
La felicità è scalfita appena dai racconti che da ieri giungono via telefono. Sono quelli dei marinai in viaggio verso Gibuti, che nelle conversazioni con i loro cari lasciano trapelare la durezza del trattamento inflitto dai rapitori. Giovanni Vollaro, di Torre del Greco in provincia di Napoli, non ha trattenuto l’emozione quando a mezzanotte di domenica ha telefonato alla madre Patrizia. Il marinaio ha raccontato con poche parole i giorni più brutti della sua vita: «Ho avuto paura di non farcela, credevo mi avrebbero ucciso, è terribile vivere con un’arma puntata addosso. Cercavo di passare inosservato, mi nascondevo negli angoli più riposti della Buccaneer, dormivo sul ponte per stare lontano dai pirati. Avrei voluto essere invisibile, ma loro non mi perdevano di vista. E poi, la fame e la sete... vivevamo con un pugno di riso e mezzo litro di acqua al giorno».
E mai dimenticherà Pasquale Vollaro, il padre di Giovanni, quando ai primi di giugno ha ricevuto una chiamata dalla Buccaneer: «Al telefono non c’era mio figlio ma uno di quei delinquenti che parlava in italiano. Era strafottente, rideva mentre mi diceva: ”Ascolta, Napoli, dì a chi comanda che deve trattare con noi che siamo a bordo, e non con quelli che stanno a terra”. Capii che doveva esserci una lite fra i pirati sulla gestione del sequestro, e per la prima volta pensai che forse Giovanni non sarebbe più tornato».
C’è festa grande anche in casa del marinaio Bernardo Borrelli, a Ercolano, vicino a Torre del Greco, dove l’altra notte sono stati sparati i fuochi d’artificio come fosse stato Capodanno. Bernardo ha parlato con la sorella Barbara: «Non vedo l’ora di tornare e dimenticare tutto questo. Forse, fra tre o quattro giorni saremo in Italia, ma non abbiamo avuto nessuna conferma». Ma cosa importa, a questo punto, se gli uomini della Buccaneer riabbracceranno i loro cari un giorno prima o uno dopo? L’importante per chi li aspetta è che siano vivi, e che presto torneranno. Lo sa bene la signora Franca, moglie del secondo ufficiale di macchina Tommaso Cavuto, di Ortona: «Non credo che mio marito tornerà per mare. Resterà a casa, basta con gli imbarchi».