Francesco Grignetti, La stampa 11/8/2009, 11 agosto 2009
MA I SOMALI SI VANTANO D’AVER INCASSATO QUATTRO MILIONI «D’AIUTI UMANITARI»
ROMA
E’ stata dura, ma alla fine ci sono riusciti, i mediatori italiani, a trovare la via giusta. Mesi e mesi di trattative con capiclan locali e presunte autorità di governo che nessuno sa quanto e se governino. Mentre gli ostaggi soffrivano la fame e si deprimevano sempre più, e il gruppo di pirati si dilaniava in discussioni, gli agenti dei nostri servizi segreti più volte hanno creduto di essere arrivati al punto di svolta, epperò sono puntualmente rimasti delusi. Uno stop-and-go che è finito solo l’altra sera, quando finalmente, per stare alle parole del ministro Franco Frattini, «i pirati si sono ritirati», e un commando di incursori italiani ha potuto recuperare e mettere in sicurezza la nave «Buccaneer» e il suo equipaggio. «Non s’è pagato alcun riscatto», la parola d’ordine che il governo ha imposto a tutti i protagonisti della vicenda. Salvo che i pirati stessi vantano di avere incassato quattro milioni di euro. E c’è chi in Italia, bene al corrente di come sono andate le cose, ammicca: «Riscatto, no. Ma se li chiamiamo aiuti... Allora, forse». E a ben guardare le parole del ministro degli Esteri, anche Frattini s’è lasciato sfuggire un riferimento criptico: «Noi - ha detto alle telecamere del Tg5 - abbiamo richiamato alla Somalia in questi ultimi tre mesi il grande aiuto che l’Italia ha dato e soprattutto quello che ci impegniamo a dare».
Un film già visto. Ostaggi italiani vengono liberati dopo lunghe estenuanti trattative, e l’unica cosa che ci si affretta a spiegare è che non s’è pagato nessun riscatto. Ma sono così di buon cuore, questi pirati? Difficile. Negli ambienti dell’intelligence community, la spiegazione che circola è la seguente: gli americani stanno con il fucile puntato, non vogliono assolutamente che si paghino riscatti e pretendono fermezza da tutti. Ecco quindi la ragione per cui gli italiani, ma anche i tedeschi, hanno impiegato mesi per liberare i propri ostaggi. E ora che la cosa è andata in porto, pagando le persone giuste, e catalogando gli esborsi come aiuti umanitari, tutti sono pregati di stare zitti.
Ora, che gli Stati Uniti stiano prendendo molto sul serio la questione della pirateria in Somalia, è chiaro. Hanno adottato le maniere forti. Il segretario alla Difesa, Robert Gates, parlando due settimane fa a Chicago, all’Economic Club, s’è lasciato andare a uno sfogo: «Non avrebbe senso - ha detto Gates - mandare contro i pirati somali, che in molti casi sono teenager con il kalashnikov, i nostri aerei F-22 come raccomanda in tv un generale in pensione. E’ un lavoro che, lo sappiamo bene, verrà fatto meglio, e a un costo ben minore, da tre dei nostri Navy Seals, gli incursori di Marina».
L’ammiraglio Gary Roughead, intanto, comandante della Marina americana, sta girando il mondo per organizzare una Santa Alleanza. Qualche mese fa è stato persino in Cina a chiedere la loro cooperazione contro la pirateria. Il risultato è che al largo di Aden c’è un certo affollamento di navi militari, ci sono persino coreani e iraniani, ma le diverse missioni procedono in ordine sparso. C’è quella dell’Alleanza atlantica, quella dell’Unione europea, e quella della Quinta Flotta statunitense, che tra loro si raccordano sì e no.
A fronte di tanta confusione in mare, c’è altrettanto caos a terra. L’intelligence s’è dovuta districare in una selva di aspiranti mediatori. Così come gli armatori, la Micoperi di Ravenna, che hanno visto con sbigottimento l’affollarsi di tanti sciacalli. «La sera stessa del sequestro - ha raccontato il general manager, Silvio Bartolotti - un grosso studio legale londinese mi chiamò per offrirsi da mediatore, ma rifiutai». Secondo indiscrezioni, gli «aiuti» sono arrivati in loco in più tranche. Un primo versamento di cinquecentomila euro un mese fa; poi il resto. Per rendersi conto di quali siano stati gli interlocutori ufficiali, basta far riferimento alla nota ufficiale della Farnesina: «Il ministro Frattini ringrazia le autorità del governo di transizione somalo e in particolare il Primo Ministro della Somalia, e le autorità del Puntland». Poi ci sono stati gli «altri», i capiclan che comandano sul territorio.