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 2009  agosto 10 Lunedì calendario

QUEL FILM CHE MI HA CAMBIATO LA VITA


«Folgorato (con gli amici) da un campeggio di ragazze»

Il cantautore: scelsi la chitarra per senso del risparmio

Mentre il gatto Pistolicchio gli si struscia addosso e i mura­tori «mettono il sughero» ai muri della sua settecentesca casa di Pàvana, Francesco Guccini, 69 anni, professione dichiarata «contastorie», è al telefono dall’Appennino per rac­contare di un film che in un certo sen­so gli ha indirizzato la vita. Titolo? «E chi se lo ricorda. Era un filmaccio, un B-movie americano che io e i miei ami­ci andammo a vedere gratis alla fine della scuola e che ci folgorò». Perché gratis? «Pier, uno di noi, aveva il bab­bo che possedeva due cinema». Il «fil­maccio » parlava di un concorso musi­cale per giovani esordienti, una specie di cine X Factor di mezzo secolo fa.

Italia 1957: Rock around the Clock di Bill Haley e il Dottor Zivago, la 500, Carosello, Tu vuò fa l’americano, go­verno monocolore Dc. E una banda di sbarbati diciassettenni in un oscuro ci­nema di Modena: «Alla fine il gruppo dei rocker vincitori andava a suonare tutta l’estate in un campeggio di scout girls. La musica – e anche quell’ab­bondanza femminile – ci affascinaro­no parecchio. All’uscita decidemmo di diventare rochéri: ’Mettiamo su un complesso anche noi’». Chi eravate? «Pier Farri, che poi fu organizzatore dell’Equipe 84 e anche mio produtto­re. Victor Sogliani che entrò nell’Equi­pe e se non ricordo male anche Dodo Veroli, futuro produttore dei Nomadi. Eravamo amici di strada e di scuola, in un vione nuovo di Modena, vicino alla via Emilia». Gli strumenti? «Nessuno sapeva suonare. Pier, che era il più ric­co, scelse la batteria. Io, con maggior senso del risparmio e della realtà, dissi chitarra. Altri, come Victor, decisero per il sassofono, che poi mai suonaro­no. Quell’estate in montagna con le 5 mila lire di mia nonna Amabilia mi fe­ci fare una chitarra dal falegname di Porretta. Un certo Celestino. Su un qua­dernetto aveva disegnato le corde e dei pallini per indicarmi dove mettere le dita per i primi accordi. Tornai a Mo­dena che suonicchiavo già. L’autunno dopo scrissi la prima canzone: ’Anco­ra’, con il giro armonico di ’Only You’. L’anno successivo ’Bimba guar­da come il cielo sa di pianto’, fortuna­tamente caduta nell’oblio. Anche la chitarra di Celestino non so che fine abbia fatto».

Non ci fosse stato il «filmaccio» avrebbe fatto il cantautore? «Chi lo sa. Certo a me le canzoni sono sempre pia­ciute, me la cavavo già con l’armonica a bocca. Ma trovo che nella vita ci sia molto di casuale, anche nella razionali­tà del contorno». Il miraggio di un complesso rock in un campeggio di scout girl: «Più che di svolte la vita mi sembra fatta di sliding doors , porte che si aprono mentre altre in contem­poranea si richiudono».

La porta del rock resta socchiusa. Guccini ventenne fa due anni da gior­nalista, 1959-60, alla Gazzetta dell’Emi­lia , proprietà dell’Associazione Indu­striali.

Il complesso può attendere. «La­voravo come un matto, non vedevo più nessuno». Tutti i giorni dalle 15 al­le 19 e 30, e poi ancora dopocena fino alle 3 di notte. Francesco fa il giro di nera con il collega dell’ Unità , si fa por­tare tra ospedali e carabinieri con la Giardinetta, gira in tassì per le monta­gne modenesi a caccia di notizie. «Era interessante. Una scuola di scrittura». Il «poligrafo» Guccini cresce a quella scrivania (il suo ultimo libro di raccon­ti, Icaro, è uscito nel 2008 da Mondado­ri). «Alla Gazzetta ho imparato a ’pom­pare’ un pezzo, cioè allungare il brodo quando c’erano poche notizie. C’era la tipografia accanto, chiudevamo il gior­nale con il proto che componeva la pagi­na a mano». Piccole inchieste, qualche re­censione: un concer­to di Chet Baker, uno di Domenico Modugno. «Una volta an­dai a visitare un allevamento di castori­ni, che allora era una novità: una sto­ria costruita sul paragone con i trap­per del Grande Nord…».

Dal West alla Via Emilia. Il primo pezzo però è su una suora locale, ma­dre superiora con 50 anni di vocazione (si chiamava Eustachio Maria Peloso). Guccini ride: «Una volta mi hanno an­che licenziato». Cosa aveva scritto? «Nel ”58 con la legge Merlin avevano abolito le case chiuse. A Modena le ave­vano chiuse per esperimento già nel ”50 credo: ricordo le autocolonne ma­schili che partivano la domenica in di­rezione Reggio Emilia e Bologna. Io eb­bi l’idea di andare in una clinica specia­lizzata per sapere se dopo la chiusura dei bordelli ci fosse stato un incremen­to delle malattie veneree. Il direttore mi disse che l’aumento c’era stato sì, mi fece vedere le carte con i dati, però mi disse che non me li poteva dare. Quando si allontanò un attimo io co­piai tutto. Tornai al giornale, scrissi il pezzo. Già gongolavo pensando a uno scoop come nei film americani, invece scoppiò un putiferio. La clinica chia­mò il direttore che chiamò il capocro­nista. Lavate di capo a cascata. ’Gucci­ni vada via, lei è licenziato’. Il bello è che non mi avevano ancora assunto. Ero precario, 20 mila lire al mese. Me­stamente presi le mie quattro cose, ero sulla porta quando il capo mi richiamò: ’Do­ve va, torni indietro’. Ma lì capii che fare il cronista a Modena non era esattamente la stessa cosa che farlo in un film ameri­cano » .

La porta del giornalista si richiude: «Quando Alfio Cantarella, che faceva il fattorino, mi venne a dire che si era messo in un complesso da ballo e gli serviva una chitarra, diventai orche­strale da balera». La band si chiamava Marinos. Che poi Guccini fece cambia­re in Gatti. Successo. Estate ”61: due mesi alle terme di Sassuolo. La prima volta all’estero: vanno a suonare in Svizzera, con una vecchia Pantera del­la polizia, usata. Orchestrale meglio che giornalista. Più soldi, più ragazze. «Quasi come suonare il rock nel cam­peggio delle giovani esploratrici».