Paolo Mereghetti, Corriere della sera 10/8/2009, 10 agosto 2009
FRANCIA, 50 ANNI DOPO PROCESSO (SBAGLIATO) ALLA NOUVELLE VAGUE
Fallimento? Eppure fu una rivoluzione
MILANO – A cinquant’anni di distanza, la Francia di Sarkozy continua a fare i conti con la Nouvelle Vague e i suoi «giovani turchi», com’erano definiti Truffaut, Rivette, Rohmer, Chabrol e Godard quando scrivevano ancora sui Cahiers du Cinéma e attaccavano con tutta la veemenza dei loro vent’anni l’establishment cinematografico nazionale, il cosiddetto cinéma de papa . Ma li fa, questi conti, con le pinze, attenta a non «scottarsi» troppo e anzi cercando di prendersi qualche piccola rivincita.
Come ha fatto qualche giorno fa, per ricordare i 50 anni della Nouvelle Vague, il quotidiano francese Figaro, dichiaratamente conservatore e cinematograficamente non molto tenero con il cinema d’autore nazionale: una pagina intera per chiedersi che cosa è rimasto di quel movimento, l’analisi approfondita di «cinque capolavori imperdibili» ( I cugini di Chabrol, 1958; Hiroshima mon amour di Resnais, 1959, I quattrocento colpi di Truffaut, 1959, Fino all’ultimo respiro
di Godard, 1960 e Cleo dalle 5 alle 7 della Varda, 1962) ma complimenti veri pochi, perché l’eredità di quel movimento sarebbe «una carrettata di improbabili e inguardabili bidoni che devono ammuffire alla Cinémathèque » mentre i suoi due alfieri si sarebbero distinti per posizioni politiche azzardate (Godard viene definito «il più stupido degli svizzeri filo- maoisti» rispolverando una provocazione situazionista) e incoerenze varie (l’ultimo Truffaut sarebbe «piccolo- borghese» come i film che criticava in gioventù). Senza dimenticare che, per essersi formati sulle pagine dei Cahiers e prima ancora di Arts , i registi della Nouvelle Vague sarebbero «un gruppo di giovani tutti di destra ». Il che, visto il tono generale dell’articolo, non si capisce se debba essere preso come una riabilitazione tardiva o una definitiva condanna.
Stupisce, piuttosto, tanta superficialità nell’affrontare un movimento che ormai è entrato di diritto nel «patrimonio nazionale», oltre che naturalmente nella storia del cinema mondiale. Certo, il giusto delle battute provocatorie aveva lasciato il segno anche qui, tra i registi della Nouvelle Vague (e Godard vi è stato particolarmente incline), ma la forza con cui quei registi e quei film hanno svecchiato e reso davvero moderno il cinema non può essere messa in discussione. Abbandonando le riprese in studio per quelle in strada tra la gente, sostituendo la dipendenza letteraria dei soggetti con l’aneddoto o l’invenzione, privilegiando il racconto in prima persona alle sceneggiature impersonali, spegnendo i riflettori per dare spazio alla luce del giorno, inventando attori giovani e sconosciuti per scalzare gli usurati mostri sacri e soprattutto sottolineando che il cinema è passione più che apprendistato, quei registi hanno aperto una strada che è stata seguita e imitata in tutto il mondo.
Naturalmente non hanno inventato tutto da zero. La rivoluzione tecnologica aveva ridotto l’ingombro delle cineprese (permettendo le riprese ovunque), aveva creato pellicole più sensibili alla luce (e che quindi non avevano bisogno degli ingombranti riflettori), aveva permesso di registrare il sonoro in sincrono con le immagini (rendendo innaturale il doppiaggio) e prima di Godard e Truffaut c’erano stati Roger Leenhardt e Jean-Pierre Melville e prima ancora Renoir e Rossellini che avevano insegnato a girare in totale libertà. Di stile e di contenuto. Ma furono i «giovani turchi» parigini a trasformare quelle idee in una specie di manifesto non scritto, diventando un «movimento » (senza tessere) e una «scuola » (senza regole) capace di spingere i figli a ribellarsi contro le scelte dei padri.
Il che può spiegare perché, con l’eccezione di Bertolucci, la Nouvelle Vague in Italia non trovò un terreno particolarmente fertile. Ripensiamo alle date: nell’anno in cui Godard firma il suo film-manifesto ( Senza un attimo di tregua ), Fellini presenta La dolce vita e Antonioni L’avventura,
cioè due dei film che meglio incarnano la modernità al cinema, mentre l’anno successivo Pasolini esplode con Accattone . E anche in fatto di cinema «tradizionale», sempre limitandoci al ”60, Visconti firma Rocco e i suoi fratelli , De Sica La ciociara e Rossellini Era notte a Roma : difficile ribellarsi contro questi padri.
Chi ci prova, per forza di stile più che di temi, è il ventitreenne Bernardo Bertolucci che, formatosi alle proiezioni della Cinémathèque di Parigi, presenta nel 1964 il vero manifesto della Nouvelle Vague italiana, Prima della rivoluzione . In una commovente intervista fatta durante le riprese sostiene, con tutta l’ingenuità ma anche il rigore del suo amore cinefilo, che per parlare di cinema bisognerebbe solo usare il francese, tanta è la passione che porta per Godard e soci. E anche nel film mette in bocca al protagonista titoli di film che dovrebbero segnare il suo percorso di maturazione, non fosse che la realtà si incaricherà di smentirlo. Intuendo per amor di cinefilia quello che sarà il destino del cinema italiano, dove gli insegnamenti della Nouvelle Vague saranno spesso citati ma molto meno messi in pratica. E facendoci rimpiangere, a cinquant’anni di distanza, una rivoluzione che avrebbe potuto farci molto bene.