Micaela Cappellini, Il Sole-24 Ore 11/8/2009;, 11 agosto 2009
IL BUSINESS DEI DISSALATORI SI ALLARGA AL MEDITERRANEO
L’acqua del Mediterraneo vale 2 miliardi di dollari. Purché senza sale. questo, secondo Frost & Sullivan, il giro d’affari degli impianti di dissalazione nei paesi che si affacciano sul Mare Nostrum per il 2008. Un anno nemmeno dei migliori, complici il calo del prezzo del petrolio - quindi degli investimenti dei paesi produttori - e la bolla immobiliare. Ma gli operatori del settore già sentono aria di risalita: grazie alla ripresa degli ordinativi da parte dei clienti tradizionali. Grazie ai nuovi governi committenti che si affacciano sul mercato. E grazie a nuove tecnologie, alcune meno inquinanti, altre semplicemente meno costose.
L’oro blu, sisa, è un bene sempre più scarso. Mentre la domanda cresce di giorno in giorno con l’aumentare della popolazione e soprattutto dei bisogni: acqua per innaffiare i parchi, per riempire le piscine, per condizionare gli ambienti; non solo per bere e per irrigare. Tra il 1995 e il 2006, sostiene il Worldwatch Institute, gli impianti di dissalazione nel mondo sono raddoppiati, e dovranno raddoppiare di nuovo entro il 2016. Ciò nonostante, l’acqua strappata al mare non riesce che a coprire un misero 0,003% del fabbisogno cittadino e industriale.
«Il mercato più grosso, da 15 anni a questa parte, è e resta quello dell’area del Golfo Persico: Arabia Saudita, Emirati, Qatar, Bahrain, Kuwait», spiega Alberto Rubegni, amministratore delegato di Impregilo, che possiede il 100% di Fisia Italimpianti. La società genovese è uno dei più grandi operatori del settore: con una fetta del mercato che sfiora il 20%, se la gioca alla pari con colossi come la sudcoreana Doosan o la francese Veolia. «L’anno scorso abbiamo effettivamente attraversato un blocco delle gare – prosegue Rubegni – ma ora ci sono tutti i segnali di un’inversione di tendenza. L’Arabia Saudita, in particolare, ha preparato un grosso piano di investimenti: parliamo di impianti per 7 o 8 miliardi di euro nei prossimi cinque anni, e altrettanto verrà investito dagli Emirati».
Nuovi interlocutori sarebbero invece in arrivo dal Nord dell’Africa. Secondo gli analisti di Frost & Sullivan, i governi di Algeria, Marocco e Libia stanno mostrando un grande interesse per la dissalazione e stanno investendo capitali in questa risorsa per la produzione di acqua potabile. Rubegni di Impregilo è meno ottimista: « vero che questi paesi si stanno affacciando sul mercato, ma gli investimenti in campo sono una frazione di quelli mediorientali. Stimiamo in non più di 500 milioni di euro il budget per la dissalazione di ciascuno di questi paesi nei prossimi 4 anni». Con la nuova ondata di clienti, cambia anche il genere di impianti nel mirino: più piccoli, e quindi meno dispendiosi in termini di capitale iniziale, depurano l’acqua di mare mediante membrane. Che però hanno un costo di gestione più elevato rispetto ai grandi impianti tradizionali a vapore, come quelli realizzati da Fisia. «Senza contare – aggiunge Rubegni – che gli impianti a vapore, mentre dissalano l’acqua, producono energia elettrica. In un certo senso, costituiscono due impianti in uno».
La sfida dei dissalatori è dunque, oltre che sui mercati di sbocco, sulle tecnologie. E tra i "vecchi" sostenitori del vapore e i nuovi promotori delle membrane- la cosiddetta tecnologia a reverse osmosis, nella quale gli spagnoli stanno diventando particolarmente competitivi – spuntano anche i pionieri delle rinnovabili.
«Esistono già le soluzioni basate sull’utilizzo dell’energia eolica o di quella marina off-shore per la produzione di acqua potabile – spiega Nuno Oscar Branco, analista di Frost & sullivan – la presenza ancora una volta di società spagnole in questo settore è notevole: hanno sviluppato un grande know-how nella costruzione e operazione di grandi impianti di desalinizzazione e stanno già vincendo contratti in Algeria, India e Australia».