Stefano Bucci, Corriere della Sera 09/08/2009, 9 agosto 2009
LA GUERRA INFINITA TRA CHRISTIE’S E SOTHEBY’S
La nottata è dunque passata. Nonostante quel pericoloso vizio di «volersi fare guerra a tutti i costi» che da sempre sembra attanagliare (almeno secondo l’ Herald Tribune ) le due più grandi case d’asta del mondo. E così, «nonostante i potenziali venditori appaiano più restii di una volta a mettersi in mostra» e «nonostante non ci siano in giro tanti capolavori come accadeva nei tempi d’oro», ecco che i compratori sono tornati finalmente in crescita anche nel resto del mondo e non solo in Italia. «Soprattutto negli ultimi mesi – dicono all’unisono i due avversari Christie’s e Sotheby’s – le cose sono decisamente migliorate, il peggio l’abbiamo passato tra novembre e dicembre » .
Quella tra Christie’s e Sotheby’s è, in fondo, la storia di una passione mancata o meglio ancora di un amore che non c’è mai stato. Oltretutto, questa «pericolosa battaglia per la supremazia» (sono parole del critico Souren Melikian) non è mai stata particolarmente produttiva per le due case d’asta. Prendiamo ad esempio, gli anni Settanta quando la contrapposizione raggiunse livelli «di guardia». Con l’idea di conquistare il maggior numero di clienti (venditori o compratori che fossero) ecco che Christie’s e Sotheby’s presero alla lettera la voglia di stupire tipica dei Glamorous Seventies. Così a New York, la battaglia venne essenzialmente giocata prima di tutto sulle location: Sotheby’s senza alcuno sprezzo del pericolo (e dei costi) si accaparrò dieci piani in un raffinato palazzo sulla York Avenue, secondo molti un vero e proprio museo «capace di far risaltare al meglio ogni cosa venisse messa in vendita». Per non essere da meno, Christie’s, che non poteva comunque gareggiare con la magnificenza dell’edificio scelto dalla concorrenza, puntò essenzialmente su una collocazione «top», il Rockfeller Plaza.
Che questa guerra non fosse già allora produttiva lo dimostrerà il fatto che entrambe le illustri location saranno poi (negli anni Novanta) messe in vendita. Eppure, niente cambiò. Perché lo scontro si spostò sui cataloghi che cominciarono a diventare sempre più corposi, sempre più patinati, sempre più simili a veri e propri «coffee table book» natalizi. Anche qui poi il tempo avrebbe portato entrambe a ben più miti consigli e oggi i cataloghi appaiono certo curatissimi ma ridotti per dimensioni e per qualità della carta. Difficile, certo, pensare a una guerra conclusa. Anche perché, è qui è ancora il critico dell’ Herald Tribune a mettere il dito nella piaga, «fa parte della natura umana, gioire delle disgrazie altrui». Al di là della filosofia e guardando alla ripresa, non conviene a Christie’s gioire «perché nei primi sei mesi del 2009 si è accaparrato il 64% del mercato globale ». Conviene invece pensare, con il nemico di sempre, a una strategia comune.