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 2009  agosto 10 Lunedì calendario

MA LE NAVI NON BASTANO SERVE UNA LEGGE INTERNAZIONALE


Ormai sono incubo per tutti. I pirati somali, che si fanno sempre più audaci, e allargano i loro campo di azione al mare aperto fin quasi davanti alle coste delle Seychelles, rischiano d’inceppare l’economia mondiale. E in questi tempi di crisi, ci mancano solo loro, i corsari del Corno d’Africa, a rallentare i commerci, alzare i prezzi perché le assicurazioni marittime sono alle stelle, a incidere persino sul prezzo del barile perché le petroliere devono deviare dalle rotte più rapide. Così la pirateria del Terzo Millennio è finita persino al centro delle discussioni dell’ultimo G8 all’Aquila. E s’è guadagnata una citazione nella Dichiarazione finale. Il tema era stato introdotto dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, per trovare una soluzione ai problemi giuridici: quale Paese, e sulla base di quali criteri, può processare i pirati? La Russia si è detta favorevole alla creazione di un Tribunale internazionale ad hoc. Il Giappone era contrario. Dubbi da parte degli Usa. E alla fine non c’è stata alcuna decisione.
Intanto il fenomeno si sta sviluppando a velocità vorticosa. Complice il caos che regna in Somalia, i pirati sono sempre di più, meglio equipaggiati, con complicità insospettabili. Incassano riscatti milionari (dollari o euro, va tutto bene: tanto i soldi finiscono in conti cifrati in Svizzera) e preparano sempre nuove imprese. Secondo dati delle agenzie internazionali, nei primi sei mesi del 2009 si registrano nel Golfo di Aden e al largo delle coste della Somalia 115 atti di pirateria, di cui 27 coronati da successo. Quattordici le navi e duecento i marinai ancora in ostaggio dei pirati. Ma vanno sottratti gli italiani liberati ieri e un gruppo di tedeschi che hanno riacquistato la libertà qualche giorno fa.
Servirebbe una risposta corale, invece organizzazioni internazionali e Stati vanno avanti in ordine sparso. Qualche flash. Un’unità della Marina indiana è intervenuta a fine maggio in soccorso di una nave da carico nel Golfo di Aden, riuscendo a evitarne il sequestro e ingaggiando uno scontro con un gruppo di pirati somali. Due li hanno uccisi. Più recente un intervento di forze speciali della Marina turca che partecipano alla missione della Nato: catturati sette pirati mentre cercavano di dirottare un’imbarcazione. La settimana precedente, i commando turchi, appoggiati da un elicottero, avevano catturato altri cinque pirati. E’ appena rientrata in Italia la nave della Marina militare «Borsari», che è stata al largo della Somalia in azione antipirateria per qualche mese.
Sforzi encomiabili. Ma con questi interventi episodici non si va molto lontano. «E’ terribile la sottovalutazione della tragedia in atto in Somalia da parte della comunità internazionale - commentava qualche settimana fa il presidente del Copasir (comitato parlamentare per la Sicurezza della Repubblica), Francesco Rutelli -. Le parole generiche a conclusione del G8 sul crimine organizzato e la pirateria cozzano con una situazione in cui mancano le risposte fondamentali sul contrasto della violenza, sulla ricostruzione di un minimo contesto di legalità e sull’aggravarsi dell’emergenza umanitaria».
Intanto si bada al sodo. Il primo luglio è entrato in vigore un accordo sindacale tra Confitarma, l’associazione degli armatori, e i sindacati dei marittimi per cui al personale imbarcato sulle navi da carico che transitano nell’area considerata a rischio di pirateria verranno riconosciute indennità per rischio di guerra.