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 2009  agosto 10 Lunedì calendario

ATTENTE ALLA SCHIAVITU’ DELLA BELLEZZA"


Cresciuta in teatro adottata dal cinema d´autore, l´attrice che colleziona opere prime si racconta. "Amo il low profile"

ROMA
UNA PAROLA - rigore - descrive Anita Caprioli, capelli neri raccolti in un codino, ovale perfetto. Maglietta bianca, pantaloni larghi, nessuna concessione alla vanità: lunghe pause prima di rispondere, risposte che sono riflessioni a voce alta, una serenità (apparente?) «che fa parte di me, l´ho conquistata con gli anni». Cresciuta col teatro, adottata dal cinema d´autore (Santa Maradona, Onde, Uno su due, Per non dimenticarti, Denti, La guerra di Mario, Onde, Non pensarci e adesso Good morning Aman di Claudio Noce con Valerio Mastandrea, che sarà presentato nella Settimana della critica alla Mostra del cinema di Venezia), la Caprioli è «attrice per passione». «Sono nata a Vercelli. Vengo da una famiglia calabrese, meridionale dentro: mi sento una donna del Sud, calorosa, passionale».
Com´era da piccola?
«Sono cresciuta vicino a Varese, in provincia, laghi, montagne, verde, nella natura. Grande libertà. Tutto sommato ho avuto un´infanzia serena, i miei facevano parte di una filodrammatica. Mamma arrivava dal movimento, era femminista, ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia che mi ha permesso di scegliere. Ero affascinata dal palcoscenico, il teatro è stato la mia baby sitter».
Era destino.
«In un certo senso sì. Ho avuto la fortuna di lavorare a Milano con piccole compagnie, poi a Londra. Dopo anni di tournée sono arrivata a Ipotesi cinema, la scuola di Ermanno Olmi dove i ragazzi si scambiavano esperienze, una palestra. Olmi è stato una chiave per capire che c´era la possibilità di raccontare le storie, toccare le corde di una persona. Mi ha insegnato che è importante il punto di vista, anzi determinante».
Che rapporto ha con la bellezza?
«Non è un mio pensiero. Il fatto che un personaggio possa avere caratteristiche estetiche gradevoli non è determinante rispetto a quello che vai a raccontare. E poi ci sono storie interessanti perché raccontano delle persone normali».
In Onde interpretava una donna che si sentiva "diversa" per una macchia sul viso.
«La nostra società mette fuori gioco l´imperfezione, quel personaggio, non a caso, cercava l´amicizia di un non vedente. Diamo troppo importanza all´estetica. La bellezza è diventata una dittatura. Dovremmo tirare fuori le emozioni a prescindere dal giudizio. Non sentirsi sufficientemente attraenti agli occhi degli altri ci blocca, è come se rinunciassimo a una parte di noi».
Però la retorica del "belle dentro", in genere sbandierata da donne bellissime, è insopportabile.
«Non mi riferisco a quello. Penso che una ragazza che si piace può piacere, a prescindere dai canoni; che se sa comunicare le proprie emozioni sarà bella comunque, perché non finge. Ecco, la finzione mi irrita, non è mai seducente».
Lei si piace?
«Qualche giorno di più, altri di meno. Come tutti. Se mi lavo i capelli metto il balsamo, per capirci, ma mi preoccupano di più i miei neuroni che diminuiscono. Mi piace essere me stessa; la semplicità, il low profile, anche se mi suggeriscono il contrario».
In tempi di velinismo...
« dura perché siamo ancora alla fase iniziale, sono solo 50 anni che votiamo. Rispetto all´Europa siamo indietro, penso alla procreazione assistita, è come se dicessero: " già tanto quello che avete". Pensiero alimentato dalla tv e dalla religione cattolica».
Due poteri non da poco.
«La tv ha creato un meccanismo preciso, impone modelli estetici e culturali, come gli spot: bella machina, bella donna. come se diventasse una mappa culturale: "Qualsiasi cosa mi rende appariscente mi conferma che esisto". la tv che alimenta un´immagine di un certo tipo: alle donne chiede di essere sexy anche quando lavano i pavimenti ».
Che pensa della battaglia del reintegro del Fus?
«Che è sacrosanta. Ma non c´è un interesse nell´investire nella cultura in Italia, cultura significa coltivare dal latino. Da noi o si guadagna subito, o niente».
Nella sua carriera ha interpretato tante opere prime.
«Sono le più interessanti. Lo è anche Good morning Aman di Claudio Noce, la storia di un´integrazione della seconda generazione a Roma, la strana amicizia tra Aman (Said Sabrié) un giovane somalo e un ex pugile interpretato da Valerio Mastandrea, bravissimo. Due esseri umani ai margini che incrociano me. Il film è stato girato intorno alla Stazione Termini, fotografa un mondo».
Cocapop di Pozzessere affronta il tema della droga.
«Sono tre storie legate all´abuso di stupefacenti; pensiamo che la cocaina sia abbinata a una certo ambiente, a certi riti. Qui si raccontano realtà poco conosciute, per esempio che viene usata da coppie non più giovani».
Non pensarci è diventato serie tv: le piace fare gruppo sul set?
«Il gruppo dà un grande valore aggiunto, ma con ogni regista cerco un rapporto umano. Il lavoro passa, quello che ti rimane sono gli incontri».