Mario Calabresi, la Stampa 09/08/2009, 9 agosto 2009
QUEL VOLO NON DOVEVA ESSERCI
Era l’ultima occasione per guardare Manhattan dal cielo, l’ultima possibilità per salire su un elicottero della Liberty Tours all’eliporto sotto Times Square e decollare verso la Statua della Libertà, volando lungo il fiume Hudson. L’ultima estate per regalarsi un’emozione costosa ma alla portata di molti turisti. La loro cancellazione era già stata decisa, proprio per motivi di sicurezza, ma le proteste delle agenzie di viaggio avevano convinto il sindaco a prorogare il servizio almeno fino alla fine dell’anno. Così ieri l’Eurocopter AS 350 era ancora in azione per regalare alle famiglie in vacanza, soprattutto italiane, spagnole e giapponesi, il sogno della Grande Mela dal cielo. Dopo l’11 settembre, ma soprattutto dopo che nel 2005 un piccolo aereo, pilotato da una stella del baseball professionistico, era entrato in un grattacielo dell’East Side, già era stato deciso di proibire i voli sulla città.
Solo elicotteri medici e governativi avevano il permesso di sorvolare Manhattan, tutti gli altri non potevano allontanarsi dallo specchio d’acqua del fiume.
Ma da maggio il numero di voli dei turisti era stato ridotto in nome della crociata verde del sindaco Michael Bloomberg, per diminuire il rumore e i danni all’ambiente. Dall’altra parte dell’isola, sull’East River, invece era tassativamente proibito perché non c’è il controllo radar dei voli.
Il tema era da tempo talmente discusso e controverso da essere entrato anche nella campagna elettorale, tanto che uno dei possibili sfidanti (poi ritirato) alla carica di sindaco, il deputato democratico Anthony Weiner, ha proposto il divieto totale di volo degli elicotteri civili sulla città, perché considerato troppo pericoloso: immaginate quale possibile choc, nella città degli attentati dell’11 settembre, potrebbe produrre uno schianto tra le case.
Per i newyorkesi da anni era un non senso veder decollare in continuazione i piccoli velivoli blu, che si aggiungevano a quelli di chi, per evitare code e ingorghi, arrivava a Manhattan con l’elicottero privato dai due grandi aeroporti, il Kennedy e lo scalo internazionale di Newark in New Jersey. Nonostante perplessità e proteste però l’industria del turismo l’aveva avuta vinta, almeno per questa ultima estate e così questi piccoli elicotteri continuavano a decollare in continuazione per il giro breve, durata tra i sei e gli otto minuti, sufficiente soltanto ad avere un colpo d’occhio mozzafiato e a girare attorno alla Statua della Libertà. Per pochi c’era anche quello superpanoramico e più costoso (per mezz’ora anche mille dollari a famiglia) che regalava tutta la vista racchiusa dai due grandi ponti: a Nord si poteva arrivare fino al Washington Bridge, sopra la Columbia University, dall’altra fino all’Atlantico, là in fondo alla Baia dove tutto si chiude con il Ponte di Verrazzano.
Un’avventura che appariva sicura, emozionante ma senza rischi, anche se gli elicotteri volavano a vista, con il solo ordine di tenersi lontani dalle rotte di aerei grandi e piccoli che passano sopra New York. D’inverno, la stagione migliore per ammirare i grattacieli dall’alto grazie all’aria tersa, non c’era mai la fila per salire, ma d’estate toccava aspettare per ore e così era stato per quel gruppo di amici italiani - padri con i figli - che ieri aveva deciso di concedersi un’esperienza da raccontare. La loro felicità si è trasformata in tragedia in pochi minuti, sotto gli occhi atterriti delle mogli che erano rimaste a terra e degli amici che viaggiavano con loro e che stavano aspettando fuori dall’hangar il loro turno per sorvolare la città.
Il 2009 è l’anno nero per i voli sul fiume, proprio quello in cui si celebra il quattrocentesimo anniversario della prima navigazione dei suoi 500 chilometri da parte di un occidentale: l’esploratore inglese Henry Hudson, l’uomo che, al servizio della Compagnia delle Indie Olandesi, lo ha risalito tutto e gli ha lasciato il nome. Prima era chiamato Muh-lui-kun-Ne-tuk, che significa «Il fiume che fluisce in entrambi i sensi», così come lo avevano battezzato le tribù indiane.
Quest’inverno, il 15 gennaio, in uno dei giorni più freddi dell’anno c’era stato il miracolo della Us Airways, quando un Airbus 320 decollato dall’aeroporto La Guardia e diretto a Charlotte in North Carolina aveva incrociato uno stormo di anatre e le aveva risucchiate nei suoi motori che si erano improvvisamente bloccati. Il disastro non era accaduto quel pomeriggio solo per la genialità e il coraggio del capitano Chesley «Sully» Suyllemberger. «Piloti così - titolò il New York Magazine - non ne nascono più». Grazie al suo amore per alianti e deltaplani era stato capace di planare con entrambi i motori in stallo ed era atterrato nel fiume sei minuti dopo il decollo, salvando la sua vita e quella di altre 154 persone. Non c’era stata nessuna vittima anche se la temperatura dell’acqua era di soli cinque gradi. Ieri invece faceva caldo e, anche se in estate la temperatura oscilla tra i 18 e i 20 gradi, questa volta il miracolo sull’Hudson non c’è stato, per colpa di un impatto mortale, prima in volo e poi con l’acqua.
A gennaio i passeggeri del volo dell’US Airways avevano avuto il tempo di accorgersi di tutto e di sentire la voce ferma del pilota che li avvisava che ci sarebbe stato un «duro atterraggio di emergenza». Avevano indossato i giubbotti di salvataggio e molti avevano cominciato a pregare. Nel silenzio però l’aereo si era posato sull’acqua in modo incredibilmente controllato e l’evacuazione era avvenuta senza panico.
Ieri invece la collisione con il piccolo aereo è stata improvvisa, non sapremo mai se hanno avuto il tempo di capire cosa stava accadendo, di pregare o di gridare.
Ora i sommozzatori dei pompieri e della Guardia costiera cercano con difficoltà i loro corpi, ma l’acqua è scura, quasi marrone, e la visibilità è inferiore ad un metro. Così il fiume della felicità estiva è diventato il fiume della tragedia e della morte.
Proprio a poche centinaia di metri dal punto dello schianto ogni anno a giugno un gruppo di novanta impavidi si tuffa per fare la maratona di nuoto, il giro completo dell’isola di Manhattan - 46 chilometri a stile libero - partendo dal piccolo molo che sta poco sotto Ground Zero. Le barche a vela cominciano ad attraccarsi alla fine di aprile alle boe sistemate lungo l’Upper West Side sopra il porticciolo della 79ª Strada, da cui ogni mattina partono giri in canoa e al tramonto prendono il vento temerari in windsurf che devono schivare i grandi traghetti turistici della Circle Line e quelli più piccoli e colorati di giallo dei pendolari che dal New Jersey arrivano in città. D’inverno il fiume ghiaccia solo sui bordi, resta navigabile nella sua parte bassa e diventa il regno delle chiatte che trasportano legname e benzina.
Adesso dal battello dei turisti si tireranno i fiori, le barche a vela per qualche giorno non passeranno di lì e gli elicotteri, finalmente, resteranno a terra per sempre.