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 2009  agosto 09 Domenica calendario

L’IRAN VUOLE UCCIDERE LA NUOVA MARIANNA


Jeans, maglione scuro, un foulard sulla testa, come vuole la legge islamica. Il volto pallido, segnato dalla stanchezza di giorni di prigionia, e lo sguardo abbattuto di chi senza capire bene come si è trovato invischiato in qualcosa di troppo grande. Nell’aula del tribunale di Teheran, ieri la 24enne francese Clotilde Reiss sedeva in prima fila. Tra gli accusati. E ha chiesto perdono alla giustizia iraniana, invocando la grazia.
Ammette di aver preso parte alle manifestazioni contro i risultati elettorali dello scorso 12 giugno, che hanno reincoronato presidente Mahmoud Ahmadinejad, e di aver inviato un resoconto degli avvenimenti all’ambasciata francese. «I motivi della mia partecipazione erano personali - spiega ai giudici - ma riconosco che è stato un errore, che non avrei dovuto farlo». Secondo il procuratore Abdolreza Mohabati, però, le sue colpe sono ben più gravi: spionaggio contro lo Stato iraniano, e collaborazione a «un piano, elaborato per conto degli oppositori e delle potenze straniere, per rovesciare il regime».
Clotilde, 24 anni compiuti in prigione lo scorso 31 luglio, da qualche mese lavorava all’Università di Isfahan, nel sud del Paese, come lettrice di francese. Laureata all’Istituto di studi politici di Lille con una tesi sull’insegnamento della storia nelle scuole primarie iraniane, buona conoscitrice dell’arabo e del farsi, era già stata a Teheran come collaboratrice dell’Istituto francese di ricerca (Ifri), ultimo centro accademico straniero rimasto nella capitale dello Stato islamico. Lì aveva incontrato altri ricercatori, rifugiati sotto l’ombrello dell’Ifri per sfuggire alle angherie del regime, tra passaporti confiscati, visti revocati e arresti arbitrari.
Quando, nel giugno scorso, sono proprio gli universitari a farsi protagonisti della mobilitazione a sostegno di Mir Hossein Moussavi, la giovane francese rimane suo malgrado coinvolta nel terremoto che scuote dalle fondamenta la società iraniana. «La situazione è difficile da capire - scrive nell’ ultima e-mail alla famiglia - Nei primi due giorni ci sono state forti violenze per reprimere le manifestazioni. Poi, è tornata la calma (imposta con la forza in molte città), anche se la resistenza continua, si organizza e si rafforza in modo incredibile. Tutti i giorno, oltre un milione di persone manifestano dalle 15 alle 20. La polizia li lascia fare, anche perché non può fare altro. La guerra di potere mi sembra più una guerra di palazzo, che si combatte lontano dal popolo. Difficile convincersi che questa situazione possa portare miglioramenti per il futuro prossimo del Paese».
Nello stesso messaggio, Clotilde invia anche i link ad alcuni blog che raccolgono immagini degli scontri di piazza a Isfahan. Siti che appena qualche giorno dopo saranno bloccati per ordine del regime. «Sono immagini dure - spiega - ma ci tengo a farvi vedere cos’hanno subito gli studenti che ho potuto frequentare. Le foto mostrano la contestazione all’annuncio dei risultati. Ma anche la repressione feroce: due giorni dopo il voto l’università è stata svuotata, e gli studenti rimandati a casa. successo nella maggior parte degli atenei, che hanno chiuso e rinviato tutti i corsi a settembre». Appena qualche giorno dopo, il primo luglio, la polizia bussa alla sua porta. L’accusano di aver fatto foto non autorizzate alle manifestazioni con un telefono cellulare, e di averle inviate ad alcuni amici francesi a Teheran. La arrestano, e la portano nella prigione di Evine, una trentina di kilometri a nord della capitale.
La reazione di Parigi non si fa attendere. Il ministero degli Esteri parla di accuse «che non resistono all’esame dei fatti» e chiede l’immediata liberazione della giovane. L’ambasciatore a Teheran, Bernard Poletti, chiede più volte di poterla incontrare, per sincerarsi delle sue condizioni fisiche e psicologiche. Solo una volta, il 9 luglio, il permesso gli viene accordato. Poi, unicamente contatti telefonici. «Sono in buona salute, mi trattano bene - lo rassicura Clotilde nell’ultima conversazione, datata 28 luglio - Il morale è buono, continuo ad avere coraggio e speranza. Anche se sono un po’ preoccupata per quello che mi aspetta».
Ora, il destino di Clotilde è nelle mani del tribunale di Teheran. Insieme a lei, sul banco degli imputati siedono due dipendenti locali delle ambasciate francese e inglese, oltre a una decina tra attivisti politici e giornalisti. Perseguiti per reati come turbamento dell’ordine pubblico o attentato alla sicurezza nazionale, rischiano pene detentive fino a 5 anni. Ma, sullo sfondo, resta un pericolo ben più grave: quello di essere condannati come "mohareb", nemici di dio, che può costare anche la pena di morte.