Massimo Gaggi 9/8/2009, 9 agosto 2009
La storia Il miracolo di 7 mesi fa non si ripete nello spazio aereo più congestionato del mondo davanti a Manhattan La maledizione dell’Hudson Il cielo come un’autostrada DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK – Il miracolo dell’Hudson non si è ripetuto
La storia Il miracolo di 7 mesi fa non si ripete nello spazio aereo più congestionato del mondo davanti a Manhattan La maledizione dell’Hudson Il cielo come un’autostrada DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK – Il miracolo dell’Hudson non si è ripetuto. E non è la prima volta che il fiume che costeggia Manhattan e l’East River, il corso d’acqua che scorre parallelo dall’altro lato dell’isola costellata di grattacieli, inghiottono le loro vittime dell’aria. Le strisce di cielo sopra i due fiumi sono, infatti, le affollatissime autostrade percorse dai velivoli che transitano nell’area col traffico aereo più congestionato del mondo. In alto i jet diretti ai tre aeroporti metropolitani – Kennedy, La Guardia e Newark – che su New York non possono scendere sotto i 5.000 piedi (1.700 metri) di quota. Più in basso, a 1.500-2.000 piedi, gli aerei privati diretti a Long Island o ai molti microaeroporti della zona come Teterboro, subito al di là del fiume, in New Jersey. Ancora più in basso gli elicotteri che non dovrebbero superare la quota di 1000 piedi, per garantire quella distanza di sicurezza che stavolta è stata azzerata dall’errore di uno dei due piloti. La partenza proprio da Teterboro che è partito, alle 11 di ieri mattina, il Piper Saratoga, un piccolo monomotore, che si è scontrato con l’elicottero dei turisti italiani. Era una splendida giornata di sole, venuta a spezzare un’estate insolitamente piovosa e fredda. A differenza del 15 gennaio scorso quando, poche centinaia di metri più a nord, l’Airbus della US Air atterrò miracolosamente intatto nell’acqua percorsa da lastre di ghiaccio del gelido inverno newyorchese, ieri la baia di New York era un trionfo di colori: quello delle barche a vela che salivano e scendevano lungo l’Hudson, dei mille battelli turistici, della gente sdraiata sui prati che costeggiano il fiume e la baia a godersi il sole tiepido. E la colonna sonora, come sempre nei weekend d’estate su questo specchio d’acqua, era quella degli elicotteri turistici che offrono lo spettacolo di New York vista dal cielo: 120 dollari e otto minuti di volo per sorvolare la baia e vedere cosa c’è sulla testa della Statua della Libertà, da 150 a 200 per i giri più lunghi, 20-25 minuti, costeggiando Manhattan e i suoi grattacieli. Gli incidenti Ieri era uno di quei giorni di traffico frenetico: un andirivieni continuo di pale rotanti che chi vive in cima ai grattacieli di appartamenti spesso guarda, perplesso, dall’alto verso il basso. Un traffico che più volte, in passato, ha causato incidenti. Ma finora di vittime, almeno sui fiumi, ce n’erano state poche: l’ultima tre anni fa, per un elicottero precipitato in acqua. Il 7 luglio del 2007 un altro elicottero era caduto nel fiume, ma tutti i nove passeggeri a bordo se l’erano cavata. Feriti gravi ma nessuna vittima anche nel 2005 quando, a quattro giorni di distanza, due elicotteri carichi di turisti inglesi e australiani caddero nell’East River. Ogni volta le autorità americane hanno cercato di aumentare i controlli, di introdurre procedure di sicurezza più severe, ma nessuno ha mai pensato seriamente di ridurre questo traffico. Per gli americani il volo, anche su mezzi privati, è un modo come un altro di viaggiare e non va penalizzato. Anche se tutto questo può costare qualche incidente grave e spettacolare. Come il B 25 Mitchell, un bombardiere della Seconda guerra mondiale, che in una mattina nebbiosa del luglio 1945 si infilò nell’Empire State Building facendo 14 morti. O come un altro monomotore, un Cirrus SR 20 pilotato dal Cory Lidle, un campione di baseball degli «Yankees», che l’11 ottobre del 2006, mentre sorvolava l’East River, sbagliò una virata, perse improvvisamente quota e si schiantò contro il Belaire, un condominio di lusso dell’Upper East Side, uccidendo sul colpo pilota e istruttore e distruggendo gli appartamenti del trentesimo piano. Anche allora, passata la paura di un attentato in stile 11 settembre, la città si rassegnò all’inevitabile: gli incidenti succedono e quell’aereo non aveva fatto, in fondo, molti più danni del taxi che negli stessi giorni, slittando sull’asfalto bagnato, era finito dentro la vetrina di un «diner » uccidendo due suoi clienti. Il caso Pan American Di rado una metropoli frenetica per la quale tutte le forme di trasporto sono vitali, ha rinunciato ad un servizio a causa di un incidente. successo, forse, solo 32 anni fa quando la Pan American (compagnia aerea nel frattempo sparita) rinunciò al servizio di elicotteri-navetta dall’aeroporto Kennedy alla sommità del grattacielo di Park Avenue (poi ribattezzato MetLife Building) dopo un incidente che, il 16 maggio del ”77, fece cinque morti: quattro passeggeri e un passante che, quattrocento metri più in basso, fu colpito da una pala del Sikorsky caduta dalla sommità del grattacielo. Ma quell’esperimento – far decollare gli elicotteri dalla sommità di una torre di una città molto ventosa – era sembrato a molti un azzardo eccessivo fin dal primo momento. Per il resto, però, l’incredibile girandola sopra i cieli di Manhattan – jet, elicotteri turistici, «shuttle» per gli aeroporti e per le località balneari sulla costa di Long Island, velivoli privati – non ha mai suscitato grandi obiezioni. E il «miracolo dell’Hudson », che ha trasformato Chesley Sullenberger, il pilota dell’Airbus planato sul fiume, non solo in un un eroe, ma anche in un simbolo di riscossa nazionale, aveva probabilmente suscitato qualche illusione di troppo. Massimo Gaggi