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 2009  agosto 08 Sabato calendario

A MEMPHIS SPARISCE ANCHE L’ULTIMO ZAR DEL COTONE - A

Memphis sono abituati agli addii. Nella patria del blues venne ucciso Martin Luther King, in un giorno di primavera del 1968.Nella stessa città c’è Graceland, la villa in cui 25 anni fa si spense Elvis Presley. Nel 2009 sulle sponde del Mississippi si celebra il lento rito funebre del commercio del cotone. Sopravvissuto all’abolizione della schiavitù, alla Grande depressione, al boom delle fibre sintetiche, ma non agli speculatori. Un altro storico esportatore del cotone, la Dunavant Enterprise – fondata nel 1929,in piena recessione,e ancora oggi in mano all’omonima famiglia – è destinato a sparire: si fonderà con la concorrente Allenberg, finita già nel 1981 in mano al-la francese Louis Dreyfus, e il suo marchio sarà cancellato. Ma prima di Dunavant sono sparite, causa fallimento, numerose altre case commerciali che un tempo allineavano i loro uffici nella "Cotton Row" di Memphis. La colpa? Il rally anomalo che nel marzo dell’anno scorso proiettò i futures sul cotone ai massimi da dodici anni. Un exploit guidato dai fondi, che ha colto in contropiede chi usava il mercato per fini diversi dalla speculazione, infliggendogli perdite milionarie. Qualcuno non si è più ripreso • FUSIONE IN VISTA FRA I RE DEL COTONE USA - Fusione in vista per i due maggiori mercanti di cotone del mondo: la Allenberg Cotton e la Dunavant Enterprises, che insieme commerciano circa 13 milioni di tonnellate l’anno della fibra, una quantità paragonabile alle intere esportazioni degli Stati Uniti. Ad annunciarlo è stato il ceo di Allenberg, società che dal 1981 fa parte del gruppo francese Louis Dreyfus, ma che – come la Dunavant – ha conservato la sede a Memphis, nel Tennessee, città che un tempo era il cuore pulsante del commercio di cotone "made in Usa". «Stiamo lavorando all’ipotesi di una integrazione – ha detto Joseph Nicosia – e siamo ottimisti sulla possibilità di chiudere la transazione entro la fine del terzo trimestre».
Dichiarazioni confermate da William Dunavant III, ceo dell’omonima società, che venne fondata dal nonno nel 1929, l’anno della Grande recessione. Nei confronti dell’operazione Dunavant esibisce entusiasmo: «Siamo molto eccitati per quello che vediamo come un evento positivo, per i due partner e per l’intero settore. Il mondo sta cambiando e anche il business del cotone deve cambiare».
Gli esperti non condividono lo stesso entusiasmo. L’operazione potrebbe incontrare l’opposizione delle autorità antitrust (anche se non è del tutto scontato, in quanto si tratta di rivenditori e non di produttori di cotone). Ma soprattutto viene interpretata unanimemente come una mossa difensiva: nonostante le loro grandi dimensioni, le due imprese sarebbero costrette ad unire le forze, per evitare di soccombere nella attuali difficilissime condizioni di mercato.
La crisi economica e c’entra solo in parte, anche se la recessione l’anno scorso ha abbattuto del 10% i consumi mondiali di cotone. La fusione dei due giganti del commercio in realtà sembrerebbe dipendere soprattutto dalle pesanti perdite subìte nei mesi scorsi in seguito ad un rally anomalo sul mercato dei futures, che ha già fatto altre vittime illustri. La Weil Brothers & Stern, casa commerciale attiva fin dall’Ottocento, ha annunciato che chiuderà i battenti «perché il settore è diventato troppo rischioso». La tedesca Albrecht, Mueller-Pearse ha da poco dichiarato il fallimento. Lo scorso autunno era stata la Paul Reinhard, quarto esportatore Usa per volumi, a chiedere la protezione del Chapter 11, dopo aver perso 80 milioni di dollari in operazioni di trading sul mercato dei futures.
I fatti risalgono al marzo 2008, quando i fondi – senza alcuna ragione apparente – decisero di scommettere in massa su un rialzo del cotone. Le quotazioni salirono fino a 95,53 cents per libbra, il massimo da 12 anni, per poi precipitare nei mesi successivi sotto 40 USc/lb. Chi operava senza fini di speculazione venne preso in contropiede: le perdite, legate all’improvviso rialzo dei margin calls o alla frettolosa uscita dai mercati, per alcuni si sono rivelate insostenibili.