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 2009  agosto 08 Sabato calendario

SE INVESTIRE AL SUD TROPPO RISCHIOSO


Dopo la contro­versia recente sull’ipotesi d’un partito del Sud, ancora s’è riproposta la tradizionale polemica me­ridionalista. Il divario eco­nomico tra Nord e Sud, in­fatti, è persistente, malgra­do l’entità delle sovvenzio­ni statali per infrastruttu­re, lavori di bonifica e d’ir­rigazione, opere stradali e insediamenti industriali dalla metà del ”900 in poi. La questione meridiona­le risale al borbonico «re­gno senza strade», dal Ga­rigliano fino alla Sicilia. Fu a lungo discussa da eminenti e competenti studiosi come Gaetano Salvemini, Giustino Fortu­nato, Napoleone Colajan­ni, Guido Dorso, Manlio Rossi Doria. Poi venne af­frontata con la Cassa del Mezzogiorno e con dispa­rate iniziative speciali al di sotto d’una linea di con­fine che intersecava la Pontina, l’Appia, la Casili­na, l’Autostrada del Sole. In verticale, il pubblico in­tervento si estendeva in tutto il Sud fino a Taranto, la costa calabra, Gela. Per­ché, ancora oggi, la que­stione del divario econo­mico tra Nord e Sud è pressoché immutata? Si può rispondere con diver­si argomenti, secondo un ordine di priorità variabi­le.

Primo impedimento. Nessun impegno di capita­le pubblico può risultare abbastanza efficace quan­do è scarsa la mentalità imprenditoriale, fra l’altro vincolata o compromessa dai costumi del clienteli­smo e dalla tendenza baro­nale a investire il plusvalo­re agricolo sulle piazze di Londra o Parigi. Secondo impedimento, come avver­tiva Giustino Fortunato, era la «fatalità geografica meridionale». Ossia, non soltanto l’aggrovigliata o irregolare idrografia, ma un territorio di aree mon­tuose disboscate da secoli e colline a costituzione ge­ologica fragile con una percentuale di pianure pa­ri solo al 18,3 contro il 34,9 del Nord, come preci­sava Manlio Rossi Doria. Terzo impedimento è la storica e ancora crescente propagazione di mafie o camorre. Forse la crimina­lità organizzata è oggi l’ostacolo maggiore allo sviluppo del Mezzogior­no, a volte in commistio­ne con le oligarchie politi­che per interessi elettorali o affaristici, anche se in al­cuni casi per l’illusione di poter ammansire i fuori­legge.

Dietro l’accolita delle «cosche» o «famiglie» con le loro «cupole» pre­vale un codice parapoliti­co tramandato da tempi lontani, che trasferisce l’antica, spietata «et espe­dita » ragion di Stato fuori dallo Stato. un tragico circolo vizioso che la leg­ge non riesce a interrom­pere, mentre in Sicilia chiunque anche senza sa­perlo può incorrere nel contatto indiretto con la mafia rischiando l’accusa di «concorso esterno». Po­trebbe o saprebbe tentare l’impresa risanatrice un immaginario e virtuoso partito del Sud? Per ora, le condizioni meridionali non lasciano sperare in un simile prodigio.

Da metà del ”900 in poi, mafie o camorre con la lo­ro manovalanza si diffon­devano a causa della disoc­cupazione imputabile al mancato sviluppo indu­striale, oltreché a causa della crescente popolazio­ne. Ora tuttavia l’investi­mento di capitali anche stranieri nel Mezzogiorno italiano è ostacolato dalla criminalità che minaccia, ricatta, taglieggia l’impren­ditoria minore o maggio­re. Un imprenditore o un manager, come ripete chi preferisce investire nel­l’Andalusia o altrove, può rischiare il denaro, ma non la vita per un appalto.