Alberto Ronchey, Corriere della Sera 07//08/2009, 8 agosto 2009
SE INVESTIRE AL SUD TROPPO RISCHIOSO
Dopo la controversia recente sull’ipotesi d’un partito del Sud, ancora s’è riproposta la tradizionale polemica meridionalista. Il divario economico tra Nord e Sud, infatti, è persistente, malgrado l’entità delle sovvenzioni statali per infrastrutture, lavori di bonifica e d’irrigazione, opere stradali e insediamenti industriali dalla metà del ”900 in poi. La questione meridionale risale al borbonico «regno senza strade», dal Garigliano fino alla Sicilia. Fu a lungo discussa da eminenti e competenti studiosi come Gaetano Salvemini, Giustino Fortunato, Napoleone Colajanni, Guido Dorso, Manlio Rossi Doria. Poi venne affrontata con la Cassa del Mezzogiorno e con disparate iniziative speciali al di sotto d’una linea di confine che intersecava la Pontina, l’Appia, la Casilina, l’Autostrada del Sole. In verticale, il pubblico intervento si estendeva in tutto il Sud fino a Taranto, la costa calabra, Gela. Perché, ancora oggi, la questione del divario economico tra Nord e Sud è pressoché immutata? Si può rispondere con diversi argomenti, secondo un ordine di priorità variabile.
Primo impedimento. Nessun impegno di capitale pubblico può risultare abbastanza efficace quando è scarsa la mentalità imprenditoriale, fra l’altro vincolata o compromessa dai costumi del clientelismo e dalla tendenza baronale a investire il plusvalore agricolo sulle piazze di Londra o Parigi. Secondo impedimento, come avvertiva Giustino Fortunato, era la «fatalità geografica meridionale». Ossia, non soltanto l’aggrovigliata o irregolare idrografia, ma un territorio di aree montuose disboscate da secoli e colline a costituzione geologica fragile con una percentuale di pianure pari solo al 18,3 contro il 34,9 del Nord, come precisava Manlio Rossi Doria. Terzo impedimento è la storica e ancora crescente propagazione di mafie o camorre. Forse la criminalità organizzata è oggi l’ostacolo maggiore allo sviluppo del Mezzogiorno, a volte in commistione con le oligarchie politiche per interessi elettorali o affaristici, anche se in alcuni casi per l’illusione di poter ammansire i fuorilegge.
Dietro l’accolita delle «cosche» o «famiglie» con le loro «cupole» prevale un codice parapolitico tramandato da tempi lontani, che trasferisce l’antica, spietata «et espedita » ragion di Stato fuori dallo Stato. un tragico circolo vizioso che la legge non riesce a interrompere, mentre in Sicilia chiunque anche senza saperlo può incorrere nel contatto indiretto con la mafia rischiando l’accusa di «concorso esterno». Potrebbe o saprebbe tentare l’impresa risanatrice un immaginario e virtuoso partito del Sud? Per ora, le condizioni meridionali non lasciano sperare in un simile prodigio.
Da metà del ”900 in poi, mafie o camorre con la loro manovalanza si diffondevano a causa della disoccupazione imputabile al mancato sviluppo industriale, oltreché a causa della crescente popolazione. Ora tuttavia l’investimento di capitali anche stranieri nel Mezzogiorno italiano è ostacolato dalla criminalità che minaccia, ricatta, taglieggia l’imprenditoria minore o maggiore. Un imprenditore o un manager, come ripete chi preferisce investire nell’Andalusia o altrove, può rischiare il denaro, ma non la vita per un appalto.