Leonardo Coen, la Repubblica 08/08/2009, 8 agosto 2009
TRA I SOLDATI DELL’ARMATA RUSSA AI CONFINI CON LA GEORGIA
Siete pronti all´impiego? Il colonnello Alexandr Shushukin sorride e replica spavaldo: «Non c´è alcun dubbio. Questa è una cosa sacrosanta per noi. Possiamo sfasciare il muso a chiunque». Il colonnello Shushukin è un ex-paracadutista passato alla fanteria. Comanda la modernissima base russa dove si è insediata la Quarta Brigata meccanizzata della Guardia, l´ultimo avamposto di Mosca a due passi dal confine con la Georgia. E´ fiero delle caserme linde come pensioni svizzere, della mensa con schermi giganti al plasma e dell´ospedale dove i corridoi sono lucidi come specchi. Sembra il Mulino Bianco dell´esercito russo: tutto è perfetto, anche la colonna sonora da discoteca che si alterna ai tamburi d´ordinanza. In un immenso hangar ci sono un centinaio tra carri armati, autoblindo e cannoni semoventi. Metà degli effettivi russi di stanza a Tskhinvali sono professionisti.
Gli altri hanno sostenuto sei mesi di duro addestramento a Vladikavkaz, capitale dell´Ossezia del Nord, «effettuiamo due turnover l´anno», spiega il colonnello. Poi, spingendo il suo sguardo marziale verso il «fronte» sud, oltre le colline che circondano la città e sono già Georgia, risponde ad un´altra domanda: è vero che i georgiani stanno ammassando truppe al confine? «Sì», conferma, «ma non in modo così evidente come l´anno scorso». Altro non vuole dichiarare: «Se volete saperne di più, chiedete al presidente Kokojty».
Eccolo, il presidente ossetino Eduard Kokojty. L´appuntamento è per le tre del pomeriggio, davanti ai resti del palazzo che ospitava il Parlamento, in fiamme dopo i primi bombardamenti di un anno fa, 8 agosto 2008. Ci sono i notabili dell´Ossezia del Sud più qualche politico inviato dal Cremlino. Il politologo Sergej Markov, deputato di Russia Unita. Aleksandr Torshin, vicepresidente del Senato, che - in qualità di capo della commissione sulle indagini relative alla strage di Beslan - riuscì ad insabbiare l´inchiesta sugli errori dell´operazione d´assalto alla scuola occupata dai terroristi. Non c´è Medvedev. Ma c´è stato da poco: il 13 luglio, accolto da centinaia di persone come santo protettore dell´Ossezia del Sud. In suo onore la grande via Stalin che porta verso il centro è stata ribattezzata ulitsa Medvedeva. In compenso oggi dovrebbe arrivare Putin, e chissà cosa il macho Vladimir ha in serbo per Mikhail Saakashvili, il presidente georgiano, al quale aveva promesso di «impiccarlo per i coglioni» (testuale).
Pure Kokojty è nel cuore degli ossetini. E´ l´uomo che un anno fa difese col fucile il ponte sul fiume Gufta, vicino al villaggio di Giava, sulla strada che collega il capoluogo dell´Ossezia del Sud al passo Rokskij, tra montagne aspre e torrenti impetuosi. Se i georgiani l´avessero minato, la guerra forse sarebbe finita in un altro modo perché le truppe russe sarebbero rimaste bloccate a venti chilometri da Tskhinvali. Ma Kokojty tenne duro, spalleggiato dall´aviazione di Mosca. Un anno dopo, mentre a Tblisi ricordano il primo anniversario della guerra contro la Russia con fuochi d´artificio e campane, «l´eroe del ponte» rilancia le solite accuse contro i georgiani: «Il loro è stato un tentativo di sterminare il piccolo popolo ossetino, hanno commesso crimini contro la popolazione. Nessuno è finito sotto processo, nessuno arrestato. I paesi della Nato riconoscano queste responsabilità, e i loro abitanti con le loro tasse contribuiscono al riarmo della Georgia. Tutto quel denaro che viene mandato dall´Occidente alla Georgia è usato esclusivamente per il riarmo».
Sarà. Ma nella grande base russa, sono decine i marmittoni che a torso nudo smontano, ingrassano e puliscono le loro armi. I fanti, alle prese con gli inossidabili kalashnikhov. Gli artiglieri, con dei grossi mitra. Intanto, il sole sparisce, il cielo diventa nero come la pece. Il Caucaso ha un meteo bizzarro, selvaggio. Ci sono situazioni in cui si pensa al tempo che passa, ma anche al tempo che fa. Un ufficiale russo non resiste. I lampi di oggi «sono le armi di Putin» gli scappa da dire, umorismo cameratesco. I lampi e i tuoni di un anno fa, erano quelli dei cannoni. Il temporale, però, rovina le iniziative degli ossetini per celebrare la memoria delle vittime. Salta il concerto in piazza. Quasi tutti i 35mila abitanti si sono rinchiusi nelle loro case. Ad aspettare mezzanotte. Con una candela accesa in mano, sono usciti sfidando il freddo e la pioggia in una notte affollata di ricordi, di terrore, di incertezza perché la guerra delle parole che si sta combattendo in questi giorni non aiuta a dimenticare, anzi, aiuta a fomentare: rabbia, vendetta, ritorsione. Prima di arrivare a Tskhinvali la strada è una lunga teoria di case distrutte, di tetti sfondati, di muri diroccati. Non solo guerra. Ma anche pulizia etnica: gran parte di queste povere case appartenevano a contadini georgiani.