Maurizio Ricci, la Repubblica 08/08/2009, 8 agosto 2009
LA GUERRA DEL GAS CHE DIVIDE L’EUROPA
Adesso, la guerra dei gasdotti – o meglio, del gas – può cominciare davvero. Un mese fa il lancio del Nabucco, il gasdotto che dovrebbe portare in Europa il metano dell´Azerbaijan e del Medio Oriente.
Giovedì è arrivato il varo del South Stream, il gasdotto che porterà in Europa, attraverso le acque territoriali turche del Mar Nero e i Balcani, il metano dal sud della Russia. I due progetti, ancor più che direttamente concorrenti, si pestano vistosamente i piedi. Politicamente, in primo luogo, visto che dividono l´Europa fra amici di Putin, come Italia e Germania, e chi, Europa centrale in testa, di Putin apertamente diffida. Il South Stream (una joint venture Gazprom-Eni) è, infatti, il gemello del North Stream, già in avanzata fase di progettazione. Come il North Stream (apertamente favorito dal governo di Berlino) consente a Gazprom di far arrivare il suo gas nel Nord Europa, aggirando la Bielorussia, il South Stream realizza il piano di Putin di aggirare l´Ucraina (attraverso cui passa oggi l´80 per cento del gas russo diretto a occidente) e raggiungere direttamente i consumatori del Sud Europa. Il Nabucco, invece, fortemente voluto dalla Commissione di Bruxelles, che lo finanzia direttamente, e ben visto negli Usa, consente di aggirare Putin: il gas arriverebbe in Europa (volendo, anche in Italia) senza passare per la rete Gazprom.
I due progetti, insomma, sponsorizzati ambedue sotto la bandiera della "diversificazione" degli approvvigionamenti di metano, diversificano, in realtà, due cose diverse. South Stream, insieme a North Stream, le strade di approvvigionamento. Nabucco, la fonte. Per un continente assetato di metano, come l´Europa, può apparire, comunque, una cosa positiva: più metano c´è, e meglio è. Nabucco potrebbe soddisfare il 10 per cento del fabbisogno europeo, South Stream, probabilmente, anche di più. Il problema è che quello che i due gasdotti non diversificano è il metano: il gas, in buona sostanza, è lo stesso. Il Nabucco dovrebbe prendere, soprattutto, il suo gas dall´Azerbaijan e dai paesi oltre il Caspio, come Turkmenistan e Kazakhstan. Ma, da lì viene anche il gas di Gazprom. Da tempo, infatti, il gigante russo, incapace di ammodernare lo sfruttamento dei giacimenti siberiani, vende in Europa il metano pompato dalle riserve dell´Asia centrale, in particolare del Turkmenistan. Il braccio di ferro, in altre parole, si sposta dalla posa dei tubi ai giacimenti delle steppe transcaucasiche, dove Mosca e Bruxelles si troveranno a contendersi i contratti di fornitura dei dittatori locali. E´ una competizione in cui Putin è chiaramente favorito ed è questo il motivo per cui, nonostante il lancio del progetto, il Nabucco continua ad essere guardato con scetticismo. Ma anche Putin ha i suoi grattacapi: già oberata poco meno di 30 miliardi di euro di debiti, Gazprom si trova a gestire due progetti costosi come North Stream (13 miliardi di euro) e South Stream (20 miliardi di euro): potrebbe trovarlo difficile.
Lo scenario, peraltro, in cui i due progetti vanno in porto e trasportano il loro metano apre una serie di interrogativi, in particolare per l´Italia, sotto un titolo, francamente, inaspettato: da poco gas (oggi) a troppo gas (domani). Quando, nel 2015-2016, Nabucco e South Stream dovrebbero cominciare a funzionare, infatti, in Italia saranno entrati anche in produzione una nutrita serie di rigassificatori, in grado di mettere in rete il gas liquefatto importato via nave: a Rovigo, Livorno, Porto Empedocle, Trieste, Panigaglia. Complessivamente, se tutto andrà come previsto, l´Italia si troverà a disporre di una quantità di gas circa doppia, rispetto all´attuale. E´ quanto serve, visto che, contemporaneamente, aumenterà il fabbisogno nazionale. Tranne per un nuovo attore: il nucleare.
Se, infatti, l´Italia realizzasse le otto centrali nucleari a cui pensa il ministro Scajola, questi impianti fornirebbero, grosso modo, la stessa quantità di energia che verrebbe prodotta, nelle centrali a gas, dal maggiore quantitativo di metano disponibile. E´ una partita delicata, con attori di primo piano, visto che lo sponsor principale del nucleare è l´Enel e che il maggior importatore nazionale di gas è l´Eni. Se il nucleare risultasse più competitivo, un ventaglio di gasdotti e rigassificatori si troverebbero presto fuori mercato, privi di domanda. Se fosse l´elettricità prodotta dalle centrali a gas a risultare meno cara, sarebbero le centrali nucleari a rivelarsi antieconomiche. La politica nazionale dell´energia può rivelarsi un terreno scivoloso e accidentato e il governo potrebbe scoprire che non è facile accontentare tutti.