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 2009  agosto 06 Giovedì calendario

OMERTA’ IN MILLE PROTEGGONO I TRAFFICANTI


Nelle case, nel ghetto, nel fortino, hanno radio sintonizzate sulle frequenze della polizia. Gli agen­ti, a ogni operazione, o anche a ogni semplice controllo, entrano nel cortile e devono avanzare in silenzio, spe­gnendo i contatti con la centrale e i colleghi. Si tendono le orecchie, qui. Ma più che altro bisogna alzare gli oc­chi: dalle finestre piovono cessi, frigo­riferi, televisioni, ferri da stiro, acqua­ri, tutta roba, per carità, vecchia, da rottamare, che anziché buttare si tiene in casa, e viene usata come difesa. I lanci sono introdotti e solitamente chiusi da una pioggia di bottiglie d’ac­qua da un litro e mezzo riempite di pi­scio.

Nella scala di uno dei sei palazzi po­polari tra viale Fulvio Testi e viale Sar­ca abitano quindici pregiudicati. Più di uno per piano, che sono nove. Le forze dell’ordine non sono ben viste. E infatti nessuno le cerca. Nessuno. Dal primo di gennaio 2007 a ieri, il miglia­io di inquilini che abita nel ghetto – un’enorme scritta campeggia in una cantina, «the ghetto of Milan» – non ha presentato una denuncia. Zero. No­nostante nel fortino giri cocaina, la più pura e cara della città (principio at­tivo all’84%, 100 euro al grammo il co­sto), nonostante i ragazzini di malavi­ta chiedano il pizzo perfino ai sudame­ricani che puliscono le scale, nono­stante pestaggi, avvertimenti, regola­menti di conti spesso firmati da ban­de di tre-quattro picchiatori convocati da fuori, non c’è mai stata una denun­cia. Nemmeno telefonate alla polizia, se è per questo. Anzi, no. Una ci fu. Un investigatore se la ricorda bene: «Usci­va fumo da un appartamento. Ci tele­fonò quello del piano di sopra. Aveva paura che le fiamme gli danneggiasse­ro la casa».

Il ghetto sta in mezzo a viale Fulvio Testi e viale Sarca; siamo nella perife­ria nord di Milano, a un passo da Se­sto San Giovanni e dall’hinterland. In vecchie intercettazioni telefoniche si parlava di mitra e pistole murate nel soggiorno di bilocali e trilocali. Certi ascensori non hanno più le porte. Me­glio così. Quando c’erano, e ci entrava uno sconosciuto, che poteva benissi­mo essere un postino o un tecnico del gas, per timore che fosse uno spione le sentinelle (tra loro anche bambini di otto, nove anni) staccavano la cor­rente e lo sconosciuto rimaneva pri­gioniero. Lo lasciavano lì per mez­z’ora, un’ora, più di un’ora. L’hanno fatto anche con i poliziotti.

Le case sono il luogo di vita e potere di famiglie comparse in numerose in­chieste (i calabresi Porcino, e i noma­di Braidic e Hudorovich). Ma non ci sono solo le case. Nel quartiere, scen­dendo fino a viale Zara, all’Isola e alla movida di corso Como, ci sono bar, pizzerie, agenzie immobiliari, tavole fredde e calde che hanno agganci, so­no in odore, offrono copertura ai traffi­ci sporchi. Si parla di una bocciofila che, la sera e fino all’alba, ospita festi­ni a rigorosa base di cocaina. E rigoro­sa è la selezione all’ingresso. Entrano soltanto gli italiani.

Gli stranieri, in fondo, con la deriva criminale delle case non c’entrano. Ci sono africani e asiatici tra gli inquilini, «che non danno fastidio»; e poi ci so­no albanesi che battono la zona ma questa è un’altra storia. Gli albanesi controllano le prostitute, molte mino­renni, «di sedici anni», romene e mol­dave, che stazionano su viale Sarca, uno stradone che attraversa la Bicoc­ca, un tempo quartiere di operai e adesso di uffici di multinazionali e di case con terrazzi squadrati. Gli albane­si e i boss delle case vanno d’accordo, non si pestano i piedi. Non conviene. Questione di marketing delinquenzia­le. Ognuno ha il suo. E medesimi clien­ti. Suv, camicie aperte e naso arrossa­to. Droga di qualità e sesso con le mi­norenni in pochi metri.

Due anni fa, sotto Natale, si presen­tò il prete. Il parroco della chiesa del Divin Lavoratore doveva benedire. Lo bloccarono in cortile, non volevano che salisse; non era il caso, non servi­va. L’Aler, l’azienda di edilizia residen­ziale proprietaria dei caseggiati, a vol­te libera e mette a disposizione gli al­loggi occupati. Sforzo inutile. Quando i funzionari dell’istituto mostrano la casa ai futuri inquilini, saltano fuori mille scuse. Troppo piccola, troppo grande, troppo lontana. Forse nemme­no la guardano. Hanno già visto abba­stanza guardandosi attorno. I funzio­nari escono e trovano le gomme del­l’auto a terra. Tutte e quattro tagliate.