Andrea Galli e Cesare Giuzzi, Corriere della Sera 06/08/2009, 6 agosto 2009
OMERTA’ IN MILLE PROTEGGONO I TRAFFICANTI
Nelle case, nel ghetto, nel fortino, hanno radio sintonizzate sulle frequenze della polizia. Gli agenti, a ogni operazione, o anche a ogni semplice controllo, entrano nel cortile e devono avanzare in silenzio, spegnendo i contatti con la centrale e i colleghi. Si tendono le orecchie, qui. Ma più che altro bisogna alzare gli occhi: dalle finestre piovono cessi, frigoriferi, televisioni, ferri da stiro, acquari, tutta roba, per carità, vecchia, da rottamare, che anziché buttare si tiene in casa, e viene usata come difesa. I lanci sono introdotti e solitamente chiusi da una pioggia di bottiglie d’acqua da un litro e mezzo riempite di piscio.
Nella scala di uno dei sei palazzi popolari tra viale Fulvio Testi e viale Sarca abitano quindici pregiudicati. Più di uno per piano, che sono nove. Le forze dell’ordine non sono ben viste. E infatti nessuno le cerca. Nessuno. Dal primo di gennaio 2007 a ieri, il migliaio di inquilini che abita nel ghetto – un’enorme scritta campeggia in una cantina, «the ghetto of Milan» – non ha presentato una denuncia. Zero. Nonostante nel fortino giri cocaina, la più pura e cara della città (principio attivo all’84%, 100 euro al grammo il costo), nonostante i ragazzini di malavita chiedano il pizzo perfino ai sudamericani che puliscono le scale, nonostante pestaggi, avvertimenti, regolamenti di conti spesso firmati da bande di tre-quattro picchiatori convocati da fuori, non c’è mai stata una denuncia. Nemmeno telefonate alla polizia, se è per questo. Anzi, no. Una ci fu. Un investigatore se la ricorda bene: «Usciva fumo da un appartamento. Ci telefonò quello del piano di sopra. Aveva paura che le fiamme gli danneggiassero la casa».
Il ghetto sta in mezzo a viale Fulvio Testi e viale Sarca; siamo nella periferia nord di Milano, a un passo da Sesto San Giovanni e dall’hinterland. In vecchie intercettazioni telefoniche si parlava di mitra e pistole murate nel soggiorno di bilocali e trilocali. Certi ascensori non hanno più le porte. Meglio così. Quando c’erano, e ci entrava uno sconosciuto, che poteva benissimo essere un postino o un tecnico del gas, per timore che fosse uno spione le sentinelle (tra loro anche bambini di otto, nove anni) staccavano la corrente e lo sconosciuto rimaneva prigioniero. Lo lasciavano lì per mezz’ora, un’ora, più di un’ora. L’hanno fatto anche con i poliziotti.
Le case sono il luogo di vita e potere di famiglie comparse in numerose inchieste (i calabresi Porcino, e i nomadi Braidic e Hudorovich). Ma non ci sono solo le case. Nel quartiere, scendendo fino a viale Zara, all’Isola e alla movida di corso Como, ci sono bar, pizzerie, agenzie immobiliari, tavole fredde e calde che hanno agganci, sono in odore, offrono copertura ai traffici sporchi. Si parla di una bocciofila che, la sera e fino all’alba, ospita festini a rigorosa base di cocaina. E rigorosa è la selezione all’ingresso. Entrano soltanto gli italiani.
Gli stranieri, in fondo, con la deriva criminale delle case non c’entrano. Ci sono africani e asiatici tra gli inquilini, «che non danno fastidio»; e poi ci sono albanesi che battono la zona ma questa è un’altra storia. Gli albanesi controllano le prostitute, molte minorenni, «di sedici anni», romene e moldave, che stazionano su viale Sarca, uno stradone che attraversa la Bicocca, un tempo quartiere di operai e adesso di uffici di multinazionali e di case con terrazzi squadrati. Gli albanesi e i boss delle case vanno d’accordo, non si pestano i piedi. Non conviene. Questione di marketing delinquenziale. Ognuno ha il suo. E medesimi clienti. Suv, camicie aperte e naso arrossato. Droga di qualità e sesso con le minorenni in pochi metri.
Due anni fa, sotto Natale, si presentò il prete. Il parroco della chiesa del Divin Lavoratore doveva benedire. Lo bloccarono in cortile, non volevano che salisse; non era il caso, non serviva. L’Aler, l’azienda di edilizia residenziale proprietaria dei caseggiati, a volte libera e mette a disposizione gli alloggi occupati. Sforzo inutile. Quando i funzionari dell’istituto mostrano la casa ai futuri inquilini, saltano fuori mille scuse. Troppo piccola, troppo grande, troppo lontana. Forse nemmeno la guardano. Hanno già visto abbastanza guardandosi attorno. I funzionari escono e trovano le gomme dell’auto a terra. Tutte e quattro tagliate.