Cesare Peruzzi, Il Sole-24 Ore 5/8/2009;, 5 agosto 2009
LA GRANDE CRISI STRAPPA LA TELA DEGLI ARTIGIANI DI PRATO
L’azienda artigiana di Massimo Melani è uno dei mattoni del distretto di Prato che nei prossimi mesi potrebbe scomparire. «Se a fine anno il mercato non sarà ripartito, dovrò prenderne atto e chiudere l’attività iniziata cinquant’anni fa da mio padre », dice con molta amarezza. Melani, 49 anni, sposato, due figlie (una studia per diventare magi-strato, l’altra sta per iscriversi al Polimoda di Firenze), guida un piccolo gruppo formato da due società specializzate nella tessitura, una fase intermedia del processo produttivo, dopo filatura e ordinatura, a monte della rifinizione.
«Il lavoro è sparito in pochi mesi- racconta- da quattro turni di sei ore al giorno, per sette giorni alla settimana, domeniche comprese, siamo passati a solo due turni quotidiani per cinque giorni. Poi, con il portafoglio ordini praticamente vuoto, siamo stati costretti a fermare i telai e a mettere 17 dei 18 dipendenti in cassa integrazione. La flessione è iniziata a metà 2008 e ci ha fatto perdere il 30% del giro d’affari nell’ultimo esercizio. Il 2009, purtroppo, va anche peggio - continua - nei primi sei mesi abbiamo fatturato un terzo rispetto all’anno scorso. Eppure il 2007 era stato il nostro miglior bilancio di sempre, con circa 1,5 milioni di ricavi, 200mila metri di tessuto prodotto e 600mila euro di margine operativo lordo ».
La crisi scuote la filiera del tessile- abbigliamento. Come un sisma di elevata potenza nei confronti di abitazioni e palazzi, cancella pezzi del tessuto produttivo e distrugge il lavoro di generazioni. Sul distretto di Prato, ha gli stessi effetti di un terremoto in un centro abitato. L’equilibrio del modello industriale " a rete", basato su competenze e specializzazioni diffuse e collegate tra loro, rischia di saltare. Il crollo degli anelli più deboli della struttura, in questo caso le Pmi, è il segnale che si sta indebolendo l’interodistretto. La storia di Melani è emblematica della provincia produttiva italiana che, partita da zero, ha cavalcato il boom economico della metà del secolo passato. Siamo in Toscana, ma potremmo essere in Veneto o nelle Marche. La villetta dove vive la famiglia, alla periferia ovest di Prato, è stata costruita al posto del laboratorio originario dove il fondatore dell’azienda, Marcello, cominciò insieme ai fratelli negli anni Cinquanta. Casa e bottega formano un tutt’uno indivisibile. Nei terreni sul retro dell’abitazione, acquistati man mano che l’attività si sviluppava, sono sorti nel tempo i nuovi capannoni: oggi 600 metri quadrati coperti, che accolgono 33 macchine a controllo numerico.
«Abbiamo sempre lavorato per conto terzi - ricorda Massimo Melani - . I nostri committenti sono i lanifici, di Prato come di Biella, e il mercato internazionale. L’export rappresenta il 60% dei ricavi del gruppo. Abbiamo superato le crisi investendo. Quando sono entrato in azienda, alla fine degli anni 70, ho spinto subito in questa direzione. Ricordo di aver acquistato a Bergamo le prime sei macchine automatiche, che costavano 15 milioni di lire l’una. Le pagammo con un prestito bancario e l’ipoteca su casa e capannone. Ma il lavoro veniva, ce n’era sempre di più, e gli investimenti si ripagavano. Passammo a 16 e poi a 22 macchinari, reinvestendo sempre tutto nell’attività».
La tecnologia ha permesso a Melani di realizzare prodotti diversi, con una qualità sempre più elevata (le aziende del gruppo lavorano per la fascia alta del mercato), sempre migliorando la produttività. Dal cash flow arrivava la liquidità necessaria allo sviluppo. «Anche dopo l’11 settembre 2001 abbiamo reagito investendo in tecnologia, con una spesa ulteriore di più di un milione di euro, facendo assunzioni e credendo nella formazione del personale, che in poco tempo è arrivato a 18 unità, di cui 12 extracomunitari - racconta l’imprenditore -. Per buona parte degli anni 2000, la crisi del settore non ci ha toccato. Anzi, abbiamo continuato a crescere fino a tutto il 2007.Poi,d’improvviso il mondo è cambiato: gli ordini hanno cominciato a scarseggiare, oppure arrivano con il contagocce, e quasi sempre a condizioni economiche insostenibili. Senza più margini, anche adeguandoci a questi prezzi, saremmo comunque destinati a morire».
Quanti casi come quello di Melani ci sono a Prato? «Tanti, troppi - dice Anselmo Potenza, presidente della Cna provinciale -. Senza un intervento straordinario, a livello nazionale e locale, rischiamo di perdere competenze e specializzazioni indispensabili per realizzare un tessile di qualità ». Oggi il distretto pratese è formato da 7.500 imprese (il 55,5% artigiane e il 45,5% industriali), con 60mila addetti complessivi di cui 20mila nell’indotto. Il fatturato si è attestato nel 2008 a 4,5 miliardi, la metà circa grazie all’export.
Il "dimagrimento" è iniziato nel 2001: in pochi anni Prato ha perso oltre 2mila aziende, 10mila posti di lavoro e 2 miliardi di fatturato ( di cui uno sui mercati internazionali). Numeri parzialmente compensati dalla contemporanea crescita del distretto parallelo (e in buona parte fuori regola) cinese, concentrato sulla maglieria e il "pronto moda" (si veda l’altro servizio in pagina).
«La perdita di parti della filiera produttiva è l’emergenza che stiamo affrontando», dice Riccardo Marini,presidente dell’Unione industriale pratese. Allarme condiviso dal segretario della Camera del lavoro, Manuele Marigolli: «Dobbiamo lavorare per tenere insieme la filiera e ridare prospettive all’occupazione - dice - . Oggi in provincia ci sono più di mille persone che hanno perso il lavoro e anche le protezioni relative: disoccupati di lunga durata, quasi tutti cinquantenni».
Sandro Ciardi, 42 anni, è un produttore di tessuti che dipende interamente dalla filiera "a monte". Le sue aziende, Ultra e Dinamo, 25 milioni di fatturato complessivo nel 2008 (la previsione di quest’anno è di 20 milioni) e 45 dipendenti stabili, si riforniscono da piccoli produttori in conto terzi, come Melani. «Non riusciamo più a fornire il lavoro sufficiente per tenerli in vita», conferma Ciardi. Stamperie, spalmature, ritorciture, tintorie: sono almeno 15 le specializzazioni che rischiano di scomparire. «Ormai abbiamo margini risicati - aggiunge Ciardi - perché griffe e confezionisti scaricano a valle il calo dei consumi che ha colpito il settore».
La rapidità e la flessibilità, due dei punti di forza del distretto, sono già diminuite. «Ormai riusciamo ad avere la rifinizione dei tessuti solo due volte alla settimana, quando i nostri fornitori hanno la quantità di prodotto per lavorare», spiega Alessandro Benelli, presidente di Linea tessile italiana (e del consorzio Pratotrade), 10 milioni di ricavi nel 2008 in calo del 20% e la previsione di un’ulteriore flessione del 18% quest’anno. Il 65% realizzato all’estero. «Facciamo due ore di cassa integrazione al giorno per tutti i 14 dipendenti - racconta - ma purtroppo non si vede la fine del tunnel e se il distretto perde fasi di lavorazione non riuscirà a sfruttare la ripresa quando arriverà».
Chi produce abbigliamento potrebbe essere spinto a rivolgersi altrove? «Sì, il pericolo è concreto», conferma Claudio Orrea, 54 anni, presidente e amministratore delegato del gruppo Tessilform ( marchio Patrizia Pepe), 80% della produzione realizzata in Italia, 120,3 milioni di fatturato nel 2008 (+4%) in leggera crescita anche nel corso del 2009. «Il prezzo non è tutto, mentre qualità e creatività sono fattori decisivi, specie nella fascia alta del mercato: per noi, un buon fornitore vale quanto un buon cliente - dice - . Ecco perché Prato sbaglierebbe a lasciar morire le sue specializzazioni».
Il distretto è comunque destinato a cambiare. «Mi aspetto un’evoluzione del modello "a rete"», commenta Vincenzo Cangioli, 44 anni, lanificio con tessitura collegata e rifinizione che al 50% lavora in conto terzi, 120 dipendenti e 30 milioni di fatturato in flessione del 15% nel 2009. «Un dimagrimento della capacità produttiva sarà inevitabile e dobbiamo attenderci anche un accorciamento della filiera - spiega - . Non si andrà verso la fabbrica integrata, ma è prevedibile un consolidamento nei diversi comparti ». Le varie fasi di lavorazione potrebbero dunque in parte ridursi, accorciando il processo, e, soprattutto, è probabile che alla fine di questo terremoto a Prato ci saranno meno aziende, ma strutturate meglio. «La sopravvivenza di molte imprese dipenderà dai prossimi mesi - sottolinea Marini -. La mancanza di liquidità, dal momento che il lavoro è poco e i clienti non pagano, è il principale nemico. Ecco perché sarebbe auspicabile avere il rating di distretto, come strumento per tutelare anche gli anelli più deboli della filiera sul fronte del credito».
Ma la liquidità, da sola, potrebbe non bastare. Melani, l’artigiano della tessitura che rischia di chiudere a fine 2009, non ha dubbi: «Le banche non ci aiutano- dice- , però il vero guaio è la scomparsa del mercato». Una situazione che rischia di rompere la filiera produttiva. questo il terremoto di Prato.