Angelo Aquaro, la Repubblica 3/8/2009, 3 agosto 2009
SETTE COLORI PER SETTE NOTE COSI’ S’IMPARA AD AVERE ORECCHIE
"Il vero segreto è la ripetizione degli esercizi. Piccole prove ma reiterate nel tempo"
Nella giungla dei suoni di New York, la città occidentale più rumorosa del mondo, soltanto un esploratore della mente come Oliver Sacks poteva imbattersi nel signor Gordon B, un violinista dall´udito così perfetto che quando l´orecchio cominciò a ronzargli riconobbe perfino quel suono maledetto: «Ma sì, è lui, è un Sol, pieno e naturale: non mi sbaglio». Non sbagliava, Gordon B. Non sbagliano mai quelli come lui, quelli dall´orecchio perfetto, l´absolute pitch, l´intonazione assoluta, capaci di riconoscere un suono e una nota come i comuni mortali riconoscono che il rosso è rosso e il verde è verde: non per niente sono soltanto uno su diecimila in tutto il mondo. Un dono, certo: l´hanno dimostrato gli studi di Diana Deutsch, psicologa dell´università di San Diego, che ha scoperto quell´attitudine lei stessa, a 4 anni, e da allora ha speso la vita a studiare l´incrocio misterioso tra musica, genetica e linguaggio.
Ma adesso dal Giappone arriva negli Usa una tecnica che riapre l´eterno contenzioso tra innato e appreso, tra natura e cultura, tra nature e nurture, come si diceva già ai tempi della contesa tra Charles Darwin e il cuginetto Francis Dalton. D´accordo la natura, ma imparare si può, sostiene Kazuko Eguchi, che negli ultimi quarant´anni ha sviluppato il metodo che ora sta conquistando adepti anche in America. Il sistema è semplicissimo e sviluppato in età precoce (bambini di 3 e 4 anni) permette appunto di formarsi quell´orecchio perfetto finora geneticamente riservato a pochi eletti. Come funziona? Ogni nota viene identificata con un colore (per esempio il do è giallo, il re è verde, il blu è arancione) e a ogni colore corrisponde una bandierina che viene consegnata ai bambini. Il maestro suona la nota al pianoforte, il bambino deve indovinarla alzando la bandierina colorata. Quando l´apprendimento avanza, si passa dalle note agli accordi (tre note di un accordo, tre bandierine sollevate insieme). Detta così fa un po´ sorridere ma il metodo Eguchi è insegnato da oltre 800 maestri in Giappone. E la percentuale di successo sbandierata, è proprio il caso di dirlo, è del cento per cento.
Si dirà: vabbè, parliamo di giapponesi, che in quanto a costanza e disciplina nell´apprendimento danno lezioni a tutti. La pensano un po´ così anche gli americani, che pure, dice il Washington Post, hanno innalzato il metodo Eguchi agli onori di una conferenza nazionale sulla musica all´università del New Jersey. Dice Eugene Pridoff, che del metodo si è innamorato durante una full immersion all´Ichionkai Music School di Tokyo: «Il segreto è la ripetizione degli esercizi anche a casa. Piccoli ma reiterati nel tempo. Però negli Stati Uniti pochi bambini potrebbero cominciare a studiare musica in così tenera età, per di più seguiti congiuntamente da maestri e genitori, che magari lavorano entrambi».
L´obiezione ci sta tutta ma conferma la regola: l´orecchio perfetto si può imparare. Il che, naturalmente, non deve portare a pensare che tutti possono diventare Mozart. O, viceversa, che senza quello non vai da nessuna parte. Quando studiava jazz alla Julliard di New York, un giovane e squattrinato trombettista dell´Illinois si faceva aiutare dagli amici più bravi per trascrivere i suoni degli "effetti speciali" (dai clacson ai canti degli uccelli) che rivendeva alle agenzie a caccia di copyright. Poi, di quei bravi studenti così dotati d´orecchio la storia ha dimenticato il nome. Di quel musicista squattrinato no. Si chiamava Miles Davis.