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 2009  agosto 05 Mercoledì calendario

I TALEBAN ERANO GIA’ L’INCUBO DI CHURCHILL


Nonostante siano tra le genti più povere del mondo, gli abitanti dello scosceso Nord-Ovest dell’attuale Pakistan hanno trovato il modo di terrorizzare le lontane capitali occidentali per più di un secolo. Un fatto degno di menzione nei libri dei record.
E non è finita. Non certo scommettendo sul cavallo sfavorito. Non coi titoli dei giornali americani sulle razzie dei taleban pachistani, non coi droni della Cia che colpiscono qualunque cosa si muova tra il Waziristan e il confine afghano. Questa primavera, per esempio, un esperto di antiterrorismo ha avvertito in modo stridente (e senza alcuna plausibilità) che «da uno a sei mesi potremmo assistere al collasso dello Stato pachistano» per mano dei famelici taleban, mentre il segretario di Stato Hillary Clinton definiva la situazione in Pakistan «un pericolo mortale» per la sicurezza globale.
Alla maggior parte degli osservatori sfugge che tale retorica apocalittica su questa regione in cima al mondo non è affatto nuova. E’ vecchia di almeno cent’anni. Durante le campagne alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX, i funzionari britannici, i giornalisti e gli editorialisti dicevano le stesse cose che risuonano oggi sulla bocca di strateghi, analisti e studiosi americani. Fecero dei Pashtun tribali, che abitavano le montagne del Waziristan, i nuovi Normanni. Per Londra era un pericolo mortale che minacciava di rovesciare l’impero britannico.
Nel 1898, il giovane Winston Churchill scrisse persino un libro, «The Story of Malakand Field Force», sulla campagna britannica della fine del XIX secolo in territorio Pashtun. In quel tempo Londra governava l’India britannica che comprendeva l’India, il Pakistan e il Bangladesh odierni, ma il controllo inglese sulla regione montagnosa del Nord Ovest accanto all’Afghanistan e all’Himalaya era debole. Cercando di capire, come i moderni analisti, perché i predecessori dei taleban pachistani costituissero una così grande sfida all’impero, Churchill enucleò due ragioni per spiegare il valore militare dei pashtun. La prima era l’Islam. «Questa religione – scriveva – che più di ogni altra è stata diffusa con la spada – le cui credenze e i principi sono imbevuti di una pulsione ad uccidere che in tre continenti ha prodotto generazioni di combattenti – stimola un selvaggio e crudele fanatismo».
Churchill rivela qui i suoi pregiudizi. Infatti, in generale, l’Islam si diffuse pacificamente nell’attuale Pakistan attraverso la predicazione e la poesia dei mistici sufi, e la maggior parte dei musulmani non sono stati più guerrafondai degli anglosassoni ad esempio.
Come seconda ragione Churchill pose l’ambiente in cui si supponeva che quelle tribù prosperassero. «Gli abitanti di quelle valli selvagge ma ricche – spiegava – passano continuamente da una faida all’altra». Inoltre, insisteva, la loro tecnologia militare era puntigliosamente aggiornata, le loro armi non erano così primitive come quelle di altre «razze» che l’autore definiva «al loro livello di sviluppo». «Alla ferocia degli zulu, aggiungevano l’abilità dei pellerossa e la mira dei boeri», avvertiva.
L’immagine churchilliana di primitivi fanatici e brutali, armati fino ai denti con armi ultimo modello, che individua i pashtun come uno straordinario pericolo per l’Occidente, sopravvisse all’era vittoriana e si riproduce oggi nei titoli dei nostri giornali. Bruce Riedel, un ex analista della Cia, è stato incaricato dall’amministrazione Obama di valutare le minacce alla sicurezza in Afghanistan e Pakistan. Il 17 luglio, Arnauld de Borchgrave sul Washington Times raccontava col fiato sospeso le conclusioni di Riedel: «Una vittoria jihadista in Pakistan significherebbe la conquista del Paese da parte di un movimento sunnita guidato dai taleban... potrebbe creare la più grande minaccia che gli Stati Uniti abbiano mai dovuto affrontare nella guerra al terrore... è questa una possibilità concreta nel prevedibile futuro». L’articolo, in pieno stile churchilliano, s’intitolava «Suona il campanello d’allarme di Armageddon».
Di fatto, poche previsioni di intelligence potevano avere meno possibilità di essere vere. Nelle elezioni parlamentari del 2008, i pachistani hanno votato i partiti centristi, alcuni dei quali laici, ignorando per lo più i partiti islamici fondamentalisti. Oggi in Pakistan ci sono circa 24 milioni di pashtun, un gruppo etnico che parla il pashto. Altri 13 milioni vivono lungo la «Linea Durand» tracciata dai britannici, il confine – che generalmente i Pashtun non riconoscono – tra il Pakistan e l’Afghanistan meridionale. La maggior parte dei taleban proviene da questo gruppo ma la grande maggioranza dei pashtun non sono taleban e non amano particolarmente gli islamisti radicali.
Le forze taleban, facilmente sconfitte questa primavera in una rapida campagna nella valle dello Swat dall’esercito pachistano, non superavano i 4 mila uomini. L’esercito di Islamabad conta 550 mila militari e altrettanti riservisti. Possiede carri armati, artiglieria e caccia. I taleban possono far leva soltanto sul gruppo etnico dei pashtun, il 14 per cento della popolazione, e per quel che se ne sa sono in minoranza anche al suo interno. I taleban possono compiere azioni terroristiche e destabilizzare il paese, ma non sono in grado di rovesciare il governo.
Nel 1921, vaghe minacce all’Impero britannico provenienti dal piccolo e debole principato dell’Afghanistan e dalla nascente (ma ancora reclinata su se stessa) Unione Sovietica puntellarono una visione paranoica dei pashtun. Oggi il supposto legame con Al Qaeda – o anche con l’Iran o la Russia - di questi pashtun chiamati «taleban» dai funzionari Usa e Nato, ha focalizzato un’altra volta gli sforzi militari e di intelligence di Washington e Bruxelles su questi montanari.
Pochi pashtun, anche tra i ribelli, sono in senso stretto taleban, cioè militanti provenienti dai seminari islamici. Alcuni cosiddetti taleban sono collegati con ciò che resta di Al Qaeda nella regione ma non hanno ovviamente l’appoggio della Russia o dell’Iran. Ci potranno essere dei motivi plausibili per cui gli Usa e la Nato hanno deciso di pagare un conto di sangue e denaro nel tentativo di influenzare con la forza la politica di 38 milioni di pashtun da entrambi i lati della Linea Durand. Di certo tra quei motivi non c’è il fatto che i pashtun costituiscano una spaventosa minaccia per la sicurezza del mondo nordatlantico.

Copyright Juan Cole 2009 e TomDispatch.com