Luigi Grassia, La stampa 4/8/2009, 4 agosto 2009
MA POI RECUPERIAMO CON GLI STRAORDINARI"
Lavoriamo poco? Macché, in Italia i contratti di lavoro dicono una cosa ma la realtà ne racconta tutta un’altra», dice Domenico De Masi, massimo esperto italiano di sociologia del lavoro.
Perché, in base alla sua esperienza che cosa succede?
«Succede che nel Nord Europa e in America se il contratto dice che alle 17 si chiude l’ufficio, alle 17,01 sono tutti fuori, e invece nei Paesi del Sud, quelli considerati più lazzaroni, cioè in Spagna, in Grecia e soprattutto in Italia, non c’è manager che non stia in ufficio 2 o 3 ore dopo la chiusura teorica, e molti lavoratori imitano i capi, a volte segnandosi gli straordinari ma a volte senza nemmeno segnarseli, solo perché è l’aspettativa generale è che le cose vadano così».
Lei come spiega questa stranezza?
«Forse, in prima battuta può esserci un semplice fatto climatico e di luce: nel Nord Europa fa buio presto, si cena presto e allora si esce dal lavoro presto, da noi fa buio più tardi e si esce dopo. Ma una volta che l’abitudine si è inveterata, tirare sempre più tardi diventa un circolo vizioso».
Tutto questo, ovviamente, non vale per i lavori manuali. Per la fabbrica.
«No certo, chi fa lavori usuranti va via appena scatta l’ora, e fa bene. E anche dagli uffici le donne tendono a uscire prima degli uomini, perché corrono a casa a cucinare. E anche loro fanno bene. Fesso chi resta».
Allora lei non pensa che dalle classifiche internazionali emerga un’Italia meno produttiva perché lavora meno ore?
«Tutto il contrario. Quando vengo consultato da un’azienda per farne aumentare la produttività, la prima cosa che dico è che tutti devono andare a casa alle 17. Perché se l’orario si prolunga la gente è meno produttiva, al mattino sul posto di lavoro fa poco o niente, sapendo che alla sera dovrà tirare tardi».
Non crede che una lunga presenza in ufficio sia resa necessaria dall’interazione con i colleghi e con i capi?
«Ma quale interazione! Le riunioni sono quasi sempre perdite di tempo. Si va lì, ci si rompe le scatole e basta».
Quanto alle ferie, ne facciamo troppe?
«Le ferie sono un contributo indispensabile ai lavori creativi. Si viaggia, si vedono spettacoli, si leggono libri. Meno male che ne facciamo un paio di giorni più degli altri Paesi».