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 2009  agosto 04 Martedì calendario

GAETANO PECORELLA, L’AVVOCATO DEL BERLUSCA CHE NON SA PERCH DON DIANA FU AMMAZZATO


Onorevole Pecorella, perché infanga don Peppe Diana?». E’ una domanda, ma anche una vera e propria requisitoria quella che Roberto Saviano rivolge all’ex principe del Foro Gaetano Pecorella. Ex principe del Foro ed ex presidente della Commissione Giustizia del Parlamento, nonché attuale presidente della Commissione d’inchiesta sui rifiuti; e da sempre-sempre Uomo di fiducia del Cav, dagli albori ad oggi.
Già, onorevole, risponda, se può. Anche solo in nome di una cosetta che si chiama onore, se può. Don Peppe Diana è il sacerdote ucciso dalla camorra il 19 marzo 1994 nella sua chiesa di Casal di Principe, mentre si accingeva a celebrare messa. L’autore di Gomorra , lui, le cose di mafia e camorra le conosce bene, non solo perché sul tema ha scritto un romanzo-verità; perciò le accuse che le muove, egregio onorevole Pecorella, sono circostanziate, chiare e ben precise. Eccole, le trascriviamo, riprendendole dalla lunga lettera inviata dallo scrittore a Repubblica . «In una intervista al giornalista Nello Trocchia per il sito Articolo 21, Pecorella dichiara: "Io dico che tra i moventi indicati, agli atti del processo, ce ne sono tra i più diversi. Nel processo qualcuno ha parlato di una vendetta per gelosia. Altri hanno riferito che sarebbe stato ucciso per deviare le indagini. E altri hanno riferito anche il fatto che conservasse le armi del clan. Nessuno ha mai detto perché è avvenuto questo omicidio. Se uno conosce le carte del processo, conosce che ci sono indicate, da diverse fonti, diversi motivi". Proprio leggendo le carte del processo si evince chiaramente che non è così, onorevole Pecorella. Perché dice questo? E’ vero esattamente il contrario. Dalle carte del processo emerge invece che è tutto chiaro. E pure la sentenza della Corte di Cassazione del 4 marzo 2004 conferma che don Peppe è stato ucciso per il suo impegno antimafia e per nessun’altra ragione. E che De Falco (di cui lei, onorevole, ha assunto la difesa), ha ordinato la uccisione di Don Peppe».
Una domanda ancora, a Pecorella, rivolge Saviano: «Considera legittimo rivestire il ruolo di presidente della Commissione Giustizia e portare avanti la difesa del boss Nunzio De Falco?». Domande...
Gaetano Pecorella, due o tre cose che so di lui.
Una volta era un bel ragazzo («interessante, era timido e introverso», lo descrive qualcuno che lo conobbe allora). Una volta scriveva (sulla rivista sessantottina Qualegiustizia ) che la giustizia «è di classe e che quella del sistema è una specie come un’altra di violenza». Una volta era il «compagno avvocato», era militante di Potere Operaio, era nel collegio giuridico del Soccorso Rosso Militante e anche nella sinistra di Democrazia Proletaria. Una volta difendeva gli studenti pestati dalla polizia, frequentava Mario Capanna e Popi Saracino, faceva le cause gratis e non guadagnava una lira. Una volta era di sinstra, molto di sinistra. Gaetano Pecorella che non è più quello di una volta.
Tanto mutato che pare un altro; come Gregor, il protagonista del famoso romanzo di Kafka, ha subito una trasformazione sostanziale (e forse irreversibile). Da difensore di Potop a "mente giuridica" di Berlusconi. Una metamorfosi avvenuta tardi, sul limitare dei quarant’anni, prova provata del detto che non è mai troppo tardi: una biografia, la sua, con due inizi e una cesura netta.
Milanese con radici meridionali, classe 1938, («mio padre, pugliese, era uno degli undici figli di un falegname e faceva il commercialista a Milano, mio nonno era anarchico e quando veniva il Re era uno di quelli che finiva in cella per tutto il tempo della visita»), laurea in giurisprudenza, il giovane Gaetano, preparatissimo, studioso, serio, assistente di Gian Domenico Pisapia - il grande vecchio della Procedura penale italiana e futuro padre del nuovo Codice - era una specie di enfant prodige . Di politica è praticamente digiuno, ma poi il Sessantotto lo coinvolge, diventa il difensore degli extraparlamentari, è nell’agguerrito e famoso "collettivo avvocati" del Movimento studentesco con Giuliano Spazzali, Francesco Piscopo, Michele Pepe e non fa mancare interventi infuocati nelle assemblee universitarie.
Ma passano gli anni, e anche gli ardori giovanili; chi lo conosce dice che verso la fine degli anni 70 smise di colpo, a freddo; si è guardato intorno e visto che gli altri hanno ottenuto cattedre e lui niente, si deve accontentare di un posticino di professore incaricato; e nemmeno in politica gli va bene (due volte si presenta alle elezioni e due volte resta il primo dei non eletti). La sua carriera è restata al palo; e allora basta con il movimento, basta con gli ideali poveri ma belli e soprattutto con quelli belli ma poveri. Svoltò. E di brutto.
Vedi caso passava dalle sue parti tal Bruno Tassan Din, correva l’anno 1982, il "compagno avvocato" svanisce. Il "compagno avvocato" ha fatto il grande salto. Lo confessa lui stesso in una intervista a Claudio Sabelli Fioretti: «Era il mio primo incarico importante, il mio mio primo imprenditore importante, e difendevo anche Angelo Rizzoli». Cribbio, ci ha preso gusto. D’un colpo era arrivato al potente che paga, «una grande attrazione per uno come me che fino a quel momento praticamente non aveva guadagnato una lira», confessa lui stesso nella medesima intervista. Prima parcella, Tassan Din, cento milioni; e da Rizzoli «presi 400 milioni». Un bel prendere.
La storia di Tassan Din, la ricordate? Tassan Din, Gelli, Il Corriere della Sera ...Per dirla in breve, Bruno Tassan Din, all’epoca amministratore delegato della Rizzoli-Corsera, aveva cercato di convincere Angelo Rizzoli a cedere per dieci milioni di dollari tutto il gruppo ad una certa società "Fincoriz" di Bruno Tassan Din & C, dove i "C" erano Gelli, Ortolani e Calvi, vale a dire la P2, alla quale appunto Tassan Din è iscritto. Con quel colpo, la Loggia si sarebbe impadronita del più grande gruppo editoriale italiano (l’avrebbe poi tentato Berlusconi col lodo Mondadori, il giro è sempre quello); ma il grande affare non va in porto, diventa roba che interessa la magistratura. Pecorella è della partita e si dà molto da fare.
Chiusa - male per lui - la clamorosa vicenda Tassan Din (l’ex amministratore delegato si becca infatti 14 anni per il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi), l’avvocato Pecorella è un professionista ormai affermato e ricercato, quando agli inizi degli anni Novanta incontra un altro iscritto alla P2, Silvio Berlusconi. E’ una irresistibile ascesa. Entra in Forza Italia, di Berlusconi diventa deputato nonché avvocato difensore, nonché presidente della commissione Giustizia della Camera. Ed è in questa veste che nell’agosto 2002 viene iscritto nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla strage di Piazza della Loggia a Brescia (1974, 8 morti e cento feriti).
L’ex avvocato rosso è accusato da un pentito di averlo indotto, previa offerta di una forte somma di denaro, a ritrattare le accuse contro Delfo Zorzi, il terrorista di Ordine Nuovo, ritenuto uno degli esecutori dell’attentato e fuggito in Giappone. E perché mai Pecorella? Semplice: l’ex avvocato rosso nel frattempo aveva anche assunto il ruolo di legale dello stragista nero, quel Delfo Zorzi accusato anche per la strage di Piazza Fontana. Proprio proprio lui, lo stesso avvocato rosso che, negli anni 70, nel primo processo per la strage, era stato uno dei legali di parte civile contro i fascisti? Sì proprio lui, se uno ha saltato il fosso, ha saltato il fosso, diamine (e del resto, di quell’iscrizione sul registro non gli importa niente, fa spallucce, «c’è già la prescrizione»).
Di Berlusconi e di Forza Italia è ora uno degli uomini di punta, il legale-principe, la "mente giuridica", il consigliori più ascoltato. L’on. dott. avv. prof., ovvio, è diventato anche ricco. L’ex ministro della Giustizia Filippo Mancuso lo chiamò "badante tuttofare". E in effetti lui si spende molto per il suo "cliente" Berlusconi, casualmente anche capo del governo. Da molte parti spunta la sua mente giuridica. «Di voi deputati-avvocati di Berlusconi, dicono che se perdete in prima istanza non andate in Appello, ma in Parlamento. Cambiate le leggi e poi vincete», gli rinfacciano. Ma lui non fa una piega, è calato nel ruolo e ci sta benissimo.
Da docente universitario insegnava agli studenti che «le leggi sono provvedimenti generali e astratti»? Chi se ne frega; lui in Parlamento corre a proporne e votarne una dozzina tagliate su misura sul suo cliente Number One. Una volta lo ammise lui stesso, tanto è calato nella parte: «E’ vero, abbiamo fatto leggi funzionali a determinati processi, per esempio il lodo Schifani poi dichiarato incostituzionale, e in effetti in qualche parte lo era; ma l’abbiamo fatto per permettere a Berlusconi di governare». Famosa la cosidetta Legge Pecorella, per l’appunto: la 4604C, quella che in pratica abrogava l’Appello; Ciampi si rifiutò di firmarla perché incostituzionale e infatti non passò. Del lodo Alfano è un convinto assertore e c’è la sua mente giuridica anche dietro la nuova legge-mannaia sulle intercettazioni. Lavora bene e molto. E per un pelo, ultimamente, non lo abbiamo trovato assiso sullo scranno di giudice costituzionale.
Però scrive anche poesie. Di te un incantesimo mi prende , si intitola così il libretto in versi, 35 liriche d’amore, che la "mente giuridica" di Berlusconi alias Gaetano Pecorella, ha dato alle stampe e dedicato alla moglie Mirella, una bella ragazza ligure, di trent’anni più giovane di lui, con la quale è sposato da dieci anni. «L’ho incontrata a Roma, dove lei abitava. E’ stato un colpo di fulmine». Ed è per amore di Mirella, dice, che è entrato in Forza Italia: «Solo la politica infatti mi offriva la possibilità di lavorare a Roma».