Alessandra Muglia, Corriere della sera 3/8/2009, 3 agosto 2009
L’INDIA PAGA PER CONTENERE LE NASCITE
Soldi alle famiglie che accettano di ritardare la maternità E la Russia, altra potenza emergente, invece si spopola
Le coppie indiane che decideranno di rinviare di almeno due anni la nascita del primo figlio riceveranno soldi. L’elefante sta crescendo troppo e New Delhi tenta di correre ai ripari. Dall’indipendenza, nel 1947, la popolazione indiana è triplicata arrivando a quota un miliardo e 200 milioni, con un aumento medio di 18 milioni di abitanti all’anno: se va avanti così, entro il 2028 supererà la Cina, strappandole il primato di nazione più popolosa del mondo, prevedono i demografi.
Così mentre Pechino, spaventata dal crescente invecchiamento della sua popolazione, sta allentando la sua rigida politica del figlio unico (lanciata nel 1979), New Delhi cerca una via per limitare le famiglie numerose, preoccupata che vadano ad ingrossare l’esercito di poveri del subcontinente.
L’idea di premiare con dei bonus il rinvio della maternità nasce da un progetto pilota avviato nel distretto di Satara, nello Stato del Maharashtra: le autorità hanno dato una ricompensa di 5 mila rupie (poco più di 72 euro) alle donne che rinviano la gravidanza di due anni. Se poi si prolunga l’attesa di ulteriori 12 mesi, arrivano altre 2.500 rupie. Un incentivo allettante se si tiene conto che nelle aree rurali una buona paga giornaliera sfiora a malapena le a 70 rupie (1 euro). Tant’è che anche in una regione dove si celebrano 25 mila matrimoni l’anno e l’80 per cento degli sposi ha un figlio a 12 mesi dalle nozze, le adesioni sono state numerose: 977 coppie subito, poi il numero è cresciuto a 2.366.
I primi assegni saranno staccati il prossimo 15 agosto, con le autorità cautamente ottimiste sull’inversione di tendenza del tasso di natalità: salito da un 16,5 (nascite su mille persone) nel 2005 a 17 nel 2007, oggi è sceso a 16,1. L’operazione è stata giudicata un successo e ora altri stati, inclusi quello di Delhi e di Assam, vogliono seguirne l’esempio.
Un’altra proposta è arrivata dal ministro del Welfare, Ghulam Nabi Azad: contro l’alta natalità servono più programmi televisivi notturni. E quindi, per poterli vedere occorre portare l’elettricità in tutti i villaggi, che oggi ne sono per lo più sprovvisti. «Dove non c’è elettricità, non c’è altro da fare che procreare – ha osservato il ministro ”. Se portiamo la corrente elettrica in ogni villaggio, la gente guarderà la tv fino a tarda notte e poi si addormenterà». Un rimedio non propriamente politico, ma che dà la misura di come sia sentito il problema.
Il primo programma di pianificazione familiare in India risale al 1952. Visti gli scarsi risultati nel 1976 Sanjay Gandhi (figlio dell’allora premier Indira) lanciò una campagna di sterilizzazione di massa. Il governo mise in atto delle misure che favorivano la vasectomia e i centri medici pubblici si videro attribuire delle quote di sterilizzazioni molto elevate. Nel giro di due anni più di otto milioni di indiani furono sterilizzati spesso a loro insaputa, a volte in cambio di compensi. Questa politica ha colpito soprattutto i più poveri e ha lasciato un segno tra la gente rendendo impopolare la pianificazione familiare in un Paese dove molti continuano a vedere i figli come un investimento per la vecchiaia. «Chiedere alle persone di fare meno bambini in India è come chiedere loro di cambiare religione» dice Neeraj Singh, a capo di un’associazione che educa le giovani coppie alla pianificazione familiare.
Gli indiani hanno tradizionalmente famiglie numerose in parte per compensare gli effetti dell’alta mortalità infantile. E in parte a causa della ricerca del figlio maschio, preferito. Per contrastare la tradizione c’è chi azzarda la linea dura: il ministro della Sanità dello Stato del Karnataka, 64 milioni di abitanti, nella giornata mondiale della popolazione ha proposto di mettere in prigione le coppie con più di due figli. L’India sembra rimasta l’unica dei quattro Paesi del Bric – acronimo per Brasile, Russia, India, Cina, gli stati emergenti destinati a dominare l’economia mondiale nel prossimo mezzo secolo – a fronteggiare l’emergenza demografica soltanto in termini di contenimento. In Cina le municipalità di Pechino (nel 2008) e Shanghai (la scorsa settimana) hanno incoraggiato le coppie con figli unici a sfruttare la possibilità di fare il bis: nel 2026 quasi un cinese su tre avrà più di 65 anni, previsione che inizia a preoccupare il dragone.
Anche in Brasile, dove per anni è stata perseguita una politica di contraccezione basata sulla sterilizzazione, la discesa della natalità è stata più rapida del previsto (secondo un’indagine dell’Ibge – l’ente della statistica ufficiale brasiliana – la fecondità brasiliana è crollata a meno di due figli per donna dagli oltre cinque della generazione precedente) e ora stanno emergendo preoccupazioni sulla sostenibilità del declino. In particolare si comincia a temere che l’invecchiamento possa pesare su un sistema pensionistico già sotto stress (la proporzione degli ultrasessantenni è oggi in Brasile pari al 10,5 per cento contro il 25 per cento dell’Italia).
Infine la Russia, che si ritrova pur’essa nel «Secondo mondo» – nonostante la grinta di Putin, le risorse energetiche, le armi atomiche – anche per via del drammatico crollo demografico, tallone d’Achille del suo apparato produttivo. Un tracollo iniziato con la caduta dell’Unione Sovietica e la transizione dal comunismo al capitalismo. Da allora l’età media dei maschi russi si è fermata a 55-56 anni: fasce di popolazione tagliate fuori dai benefici del nuovo corso che annegano le loro vite nella vodka.
In concomitanza sono calate le nascite. « stata la risposta della popolazione al venir meno di servizi di assistenza garantiti e alla comparsa della disoccupazione» osserva Gian Carlo Blangiardo, docente di demografia all’università Bicocca di Milano. Un evento traumatico che ha forzato la «dinamica demografica» di questo Paese, come ha fatto la legge sul figlio unico in Cina.
«In India e Brasile si sta assistendo a uno sviluppo più naturale di questo percorso di transizione che porta da una situazione di alta natalità e mortalità a una situazione di bassa natalità e mortalità _ spiega Blangiardo ”. Tutti i Paesi sviluppati hanno completato il processo, quelli in via di sviluppo lo stanno completando ora, sono molto indietro i Paesi dell’Africa subsahariana».