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 2009  agosto 03 Lunedì calendario

IL BUIO SUGLI ANNI DELLE BOMBE: 142 MORTI, SOLTANTO 5 CONDANNE


ROMA – Un anarchico individuali­sta morto anni fa (Gianfranco Berto­li), tre neofascisti che all’epoca erano poco più che studenti liceali (Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini), il cassiere della mafia (Pippo Calò) e tanti ignoti ancora a piede libero. Tutto qua il bilancio del­le condanne definitive per le sei stra­gi più gravi della storia repubblicana che, dal ”69 all’84, hanno insanguina­to l’Italia: 142 morti, centinaia di feri­ti, invalidi permanenti, famiglie di­strutte, lutti inenarrabili.

Di processi ne sono stati celebrati tanti, di condanne in primo grado ne sono piovute a grappoli ma, poi, il percorso dei dibattimenti ha quasi sempre prodotto un rimbalzo tra Cas­sazione- corte d’Appello-Cassazione con l’effetto finale di assoluzioni defi­nitive generalizzate.

I tre lustri neri che vanno dal 12 di­cembre 1969 (alla Banca dell’agricol­tura di piazza Fontana, a Milano, i morti sono 16 e moltissimi i feriti) al 23 dicembre 1984 (sul rapido «904», una bomba uccide 17 viaggiatori e ne ferisce più di 250) sono anche caratte­rizzati dall’ombra dei servizi segreti deviati che con le stragi sembrano avere dimestichezza. Fa eccezione la strage della stazione di Bologna (85 morti e 200 feriti la mattina del 2 ago­sto 1980) la cui storia processuale, ol­tre agli ergastoli inflitti ai terroristi neri dei Nar Fioravanti, Mambro e Ciavardini, produce una condanna definitiva per depistaggio in cui ri­mangono impigliati Licio Gelli (capo della P2), Francesco Pazienza e gli uf­ficiali del Sismi Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte. Perché – si chiede lo storico Giuseppe De Lutiis, già consulente della commissione Stragi presieduta dal senatore Gio­vanni Pellegrino – «non è mai stata fatta una legge secondo la quale gli agenti dei servizi, operativi dal ”69, sono esenti dal segreto per quanto ri­guarda le 7 principali stragi compre­sa quella di via Fani?». Già, perché? Per De Lutiis, il bilancio giudiziario è negativo perché «la magistratura è stata sistematicamente sabotata dalla polizia, dall’Ufficio affari riservati e da pezzi di servizi che non erano de­viati ma rispondevano ad alleanze in­ternazionali e ad ordini provenienti da catene di comando parallele».

D’Ambrosio, Fiasconaro, Alessan­drini (poi assassinato da Prima Li­nea) sono i giudici che subito indaga­no su piazza Fontana – la «strage di Stato», venne ribattezzata – alla qua­le seguono anni di processi che per­corrono una strada talmente tortuo­sa da assomigliare al circuito del giro d’Italia: Milano, Roma, Catanzaro, Ba­ri. Alla fine, tutti assolti: tra gli altri, i neri Franco Freda (che era fuggito in Costa Rica durante il processo di Ca­tanzaro) e Giovanni Ventura. La sen­tenza della Corte d’Appello di Bari di­venta definitiva nel 1987 mentre nel 1991 la corte d’Appello di Catanzaro ribadisce l’assoluzione di Massimilia­no Fachini e di Stefano Delle Chiaie. Nel ”97, infine, il giudice istruttore Guido Salvini manda a giudizio la «nuova generazione» dei terroristi neri – Delfo Zorzi, latitante in Giap­pone, e Carlo Maria Maggi di Ordine nuovo – ma anche questo processo si arena nel 2004.

Zero condanne (fatta eccezione per i comprimari De Amici e Ferrari, responsabili di trasporto abusivo di esplosivi) anche per la strage di Piaz­za della Loggia a Brescia (8 morti il 24 maggio del 1974 durante un comizio sindacale). Il primo processo si esau­risce quando, nel carcere di Novara, i «capi» dell’eversione nera Mario Tuti e Pierluigi Concutelli strangolano il camerata imputato Ermanno Buzzi perché lo ritengono un «infame». Il secondo filone (Cesare Ferri) si con­clude poi con altre assoluzioni in Cas­sazione. E ora a Manlio Milani, presi­dente dell’associazione dei famigliari delle vittime di piazza della Loggia, non rimane altro che partecipare («Vi­deofilmiamo tutte le udienze») al pro­cesso in Corte d’Assise a Brescia nato dalla quinta istruttoria del giudice Giampaolo Zorzi: tra gli imputati, ci sono di nuovo il latitante Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tremon­te, il generale Francesco Delfino (cara­binieri) e l’anziano Pino Rauti che, ol­tre ad essere uno dei fondatori del Msi, è il genero del sindaco di Roma Gianni Alemanno. Zero condanne per la strage dell’Italicus (12 morti sull’espresso Roma-Brennero il 4 ago­sto 1974): i giudici non sono riusciti a provare la colpevolezza della destra aretina e di Mario Tuti. Mentre per il rapido «904», esploso in galleria tra Bologna e Firenze la sera dell’Antivi­gilia di Natale del 1984, è stato con­dannato Pippo Calò (il cassiere di Co­sa nostra) e per la strage alla Questu­ra di Milano (4 morti il 17 maggio del 1973, durante la manifestazione per l’anniversario dell’omicidio del com­missario Luigi Calabresi) è stato con­dannato l’anarchico Bertoli. Tutto qua. Ma con le carte processuali si sta sbiadendo anche la memoria: già nel 2005, un’indagine tra gli studenti pro­mossa da Cedost, Censis e Landis fe­ce emergere che solo un intervistato su 10 sapeva cosa di terribile avven­ne il 2 agosto 1980 alle ore 10.25 alla stazione di Bologna.