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 2009  agosto 01 Sabato calendario

UN SUPERTAVOLO LUNGO 2 CHILOMETRI DI IDEE E PROGETTI PER SFAMARE IL MONDO


MILANO – «Un’Expo che foca­lizzi la sua attenzione sui contenu­ti invece che sul consumo inutile di risorse da parte dell’architettu­ra tradizionale». E ancora: «Un’Expo che reagisca con intelli­gente sobrietà alle difficoltà con cui si deve confrontare il mon­do ». Non è il Piano B. Sembra, ma non lo è. Al contrario è il master­plan – il piano urbanistico – del sito Expo redatto da cinque archi­tetti di fama internazionale: l’ita­liano Stefano Boeri, l’inglese Ri­chard Burdett, lo spagnolo Joan Busquets, l’americano William McDonough e lo svizzero Jacques Herzog. Un documento datato 6 giugno che deve essere ancora li­mato e verrà presentato a settem­bre ma che avrà valore cogente. Perché sulla base di queste linee guida si prepareranno i bandi in­ternazionali di gara per gli appalti e i relativi costi delle opere.

Della torre di 200 metri non c’è traccia. Anche perché era stata la stessa Letizia Moratti, all’indoma­ni della vittoria di Expo a cancella­re con un colpo di spugna la Torre Eiffel meneghina. Ma anche gli al­tri progetti che escono ridimensio­nati dal Piano B sono già stati pre­si in seria considerazione dalla consulta architettonica. Ad esem­pio la Via d’Acqua e la Via di Terra. «A causa delle incertezze economi­che, politiche e tecniche – si leg­ge nel documento – l’attenzione principale del board dovrà sem­pre esser concentrata sul sito vero e proprio dell’Expo». Gli architetti si spingono ancora più in là e met­tono tra parentesi anche la «cintu­ra verde» dei parchi e il sistema della cascine dell’Expo.

E veniamo all’area dove sorgerà Expo. L’attrattiva principale non sarà un mausoleo, ma un tavolo lungo due chilometri e mezzo che coprirà gran parte del boulevard principale, «un lungo tavolo dove l’intero mondo potrà sedersi». Più prosaicamente il tavolo ospite­rà le colture di tutti i Paesi parteci­panti all’Expo. Sul boulevard, cir­condato dall’acqua, si affacceran­no i padiglioni. La struttura urba­nistica ricalcherà il cardus/decu­manus della città romane, con l’as­se principale rappresentato dal boulevard che si incrocia ad ango­lo retto con una serie di assi per­pendicolari che mettono in con­nessione gli elementi principali del sito: l’Auditorium, l’anfiteatro, la collina, il laghetto. Infine i padi­glioni. La proposta di riduzione dei fautori del piano alternativo è radicale. Invece di realizzare padi­glioni nuovi l’Expo dovrebbe esse­re ospitato all’interno della Fiera di Pero-Rho. Le cinque archistar hanno puntato sul modello dei Giochi Olimpici del 2012 a Lon­dra. Strutture flessibili, modulari e riutilizzabili. Anche per quanto riguarda i padiglioni tematici: l’Ac­qua e la Coltivazione, Le quattro coltivazioni principali, Coltivare la natura, Coltivare l’energia, Agri­coltura di prossimità, Cambiamen­ti climatici. Senza colate di cemen­to, in gran parte all’aperto, rico­perte da «soffitti di tessuto già te­stati e adeguati per esposizioni che hanno come tema l’agricoltu­ra ». Una flessibilità che si dovreb­be far sentire anche dopo il 2015, quando si dovrà decidere l’eredità che Expo lascerà al territorio. «La semplicità del progetto permette di avere a disposizione diversi sce­nari per il dopo-Expo offrendo una molteplicità di alternative». Con una raccomandazione: quella di evitare cattedrali nel deserto. «Il tema stesso di Expo esclude eredità su larga scala o monofun­zionali come parcheggi, musei, te­atri o l’Ortomercato». Che sia vera­mente il Piano B?