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 2009  agosto 01 Sabato calendario

E IL PDL ORA STUDIA IL MODELLO LEGA


Fatica ancora a dominare certe pulsioni razziste, non è animata da un sentimento patriottico né ha una visione nazionale della politica, ma non c’è dubbio che «la Lega – come dice Fini – è l’unico vero partito» sulla scena, e i problemi del Pdl e del Pd stanno a dimostrarlo.
Non è per una questione anagra­fica, sebbene in Parlamento il movi­mento di Umberto Bossi sia l’ulti­ma forza – insieme al Pri – so­pravvissuta alla prima Repubblica. Non è neppure per una questione di consensi. Se i due maggiori parti­ti sono costretti a studiare il model­lo Lega è per le difficoltà che devo­no fronteggiare. Il «caso Sud» ha di­mostrato che nel Pdl sotto la leader­ship di Berlusconi non c’è (quasi) nulla, se è vero che nella crisi sicilia­na il premier non ha esitato a dele­gittimare l’intera classe dirigente isolana per mediare in prima perso­na, e se sta progettando una ristrut­turazione del suo partito.

Chissà se alla fine deciderà di co­piare la creatura di Umberto Bossi, che è fatta a immagine e somiglian­za del suo fondatore, ma non ruota esclusivamente attorno al capo, ha un gruppo dirigente legittimato a prendere decisioni, «e ha veri iscrit­ti », sottolinea Maroni: «In pochi sanno – racconta il ministro del­l’Interno – che il nostro sistema di tesseramento prevede uno sbarra­mento iniziale. Chi decide di iscri­versi alla Lega, per un anno è solo un ’sostenitore’. Terminato l’anno una commissione valuta l’attività del ’sostenitore’, la sua presenza al­le manifestazioni del partito, il con­tributo al dibattito interno, e deci­de se farlo diventare un ’militante’ con diritto di voto. Perciò da noi non capitano strane cose alla vigilia dei congressi». chiaro il riferimen­to a quanto è accaduto nel Pd in vi­sta del congresso. Mentre a Roma i candidati alla segreteria discuteva­no su primarie, partito all’america­na o partito all’emiliana, in perife­ria si perpetuava il fenomeno dei tesseramenti gonfiati, antica forma di doping politico sempre condan­nata ma troppo spesso praticata. «E che quasi mai garantisce consensi nelle urne», commenta il capogrup­po della Lega alla Camera, Cota. Ec­co perché al Nord il Carroccio è di­ventato il logos della piazza. Come dice Giulio Tremonti, «i leghisti non verranno da Oxford» ma inter­pretano il sentire popolare, conqui­stano voti, e sono periodicamente corteggiati dalla sinistra: accadde un decennio fa con D’Alema a livel­lo nazionale, si è ripetuto nei mesi scorsi con Chiamparino per un’inte­sa regionale. E ancora ieri France­schini si è interrogato sui «nostri er­rori commessi al Nord», sull’incapa­cità di «parlare con la gente».

Il modello Lega è una macchina leninista gestita in modo federali­sta che sta conquistando pezzi di territorio sotto il Po, «ma che non scenderà nel Mezzogiorno», dice Maroni: «Ci provammo negli anni Novanta, con il progetto ’Lega Ita­lia federale’ che venne affidato a me. Ma quando al Sud ci imbattem­mo in certi tipi lasciammo perde­re ». Altra allusione non casuale se viene da chi guida gli Interni e co­munque coltiva per il meridione una passione custodita segretamen­te nel computer del ministero: un pezzo «struggente» di musica napo­letana interpretato da Roberto Mu­rolo e Mia Martini. Quanto alle pulsioni razziste, Bossi – dopo aver trasferito Salvi­ni a Strasburgo per quel coro da cur­va contro i napoletani – si è infu­riato con la deputata leghista Goi­sis e la sua idea dell’esame di dialet­to per i professori nelle scuole: «Co­sa sono queste storie? Non voglio problemi. Mi avete rotto le balle», ha urlato. Ovviamente in dialetto. C’è nel Carroccio una cura maniaca­le, Cota la definisce «particolare» nella «selezione della classe dirigen­te e dei meccanismi di controllo sul territorio». Ciò non significa che’ all’ombra del Senatùr – manchino gli scontri: Maroni contro Calderoli in Lombardia, il ministro Zaia con­tro il sindaco di Verona Tosi in Ve­neto. Ma il partito non subisce dan­ni.

Perciò il modello Lega è diventa­to oggetto di studio nel Pdl, dove si è aperto un dibattito – non ancora pubblico – tra chi resta ancorato al­l’idea di partito a vocazione cari­smatica, e chi punta a una struttura forte sul territorio. Non è il solito scontro tra ex esponenti di Forza Italia e An, se all’ultima riunione il capogruppo Cicchitto ha sottolinea­to come «Berlusconi è il leader del­l’unica forza politica a dimensione nazionale, che dunque necessita di un gruppo dirigente in grado di evi­tare dinamiche localistiche». Se il dibattito è iniziato, è perché – esa­minando il voto di giugno – è sta­to notato che in alcune aree del Pae­se il Pdl alle Amministrative è anda­to meglio rispetto alle Europee, do­ve Berlusconi era candidato. Non è un dato di poco conto.

Così, sul finire dell’era nuovista, in molti guardano alla nuova via tracciata dalla Lega. Che poi è un ri­torno all’antico. Ai partiti.