Francesco Verderami, Corriere della sera 1/8/2009, 1 agosto 2009
E IL PDL ORA STUDIA IL MODELLO LEGA
Fatica ancora a dominare certe pulsioni razziste, non è animata da un sentimento patriottico né ha una visione nazionale della politica, ma non c’è dubbio che «la Lega – come dice Fini – è l’unico vero partito» sulla scena, e i problemi del Pdl e del Pd stanno a dimostrarlo.
Non è per una questione anagrafica, sebbene in Parlamento il movimento di Umberto Bossi sia l’ultima forza – insieme al Pri – sopravvissuta alla prima Repubblica. Non è neppure per una questione di consensi. Se i due maggiori partiti sono costretti a studiare il modello Lega è per le difficoltà che devono fronteggiare. Il «caso Sud» ha dimostrato che nel Pdl sotto la leadership di Berlusconi non c’è (quasi) nulla, se è vero che nella crisi siciliana il premier non ha esitato a delegittimare l’intera classe dirigente isolana per mediare in prima persona, e se sta progettando una ristrutturazione del suo partito.
Chissà se alla fine deciderà di copiare la creatura di Umberto Bossi, che è fatta a immagine e somiglianza del suo fondatore, ma non ruota esclusivamente attorno al capo, ha un gruppo dirigente legittimato a prendere decisioni, «e ha veri iscritti », sottolinea Maroni: «In pochi sanno – racconta il ministro dell’Interno – che il nostro sistema di tesseramento prevede uno sbarramento iniziale. Chi decide di iscriversi alla Lega, per un anno è solo un ’sostenitore’. Terminato l’anno una commissione valuta l’attività del ’sostenitore’, la sua presenza alle manifestazioni del partito, il contributo al dibattito interno, e decide se farlo diventare un ’militante’ con diritto di voto. Perciò da noi non capitano strane cose alla vigilia dei congressi». chiaro il riferimento a quanto è accaduto nel Pd in vista del congresso. Mentre a Roma i candidati alla segreteria discutevano su primarie, partito all’americana o partito all’emiliana, in periferia si perpetuava il fenomeno dei tesseramenti gonfiati, antica forma di doping politico sempre condannata ma troppo spesso praticata. «E che quasi mai garantisce consensi nelle urne», commenta il capogruppo della Lega alla Camera, Cota. Ecco perché al Nord il Carroccio è diventato il logos della piazza. Come dice Giulio Tremonti, «i leghisti non verranno da Oxford» ma interpretano il sentire popolare, conquistano voti, e sono periodicamente corteggiati dalla sinistra: accadde un decennio fa con D’Alema a livello nazionale, si è ripetuto nei mesi scorsi con Chiamparino per un’intesa regionale. E ancora ieri Franceschini si è interrogato sui «nostri errori commessi al Nord», sull’incapacità di «parlare con la gente».
Il modello Lega è una macchina leninista gestita in modo federalista che sta conquistando pezzi di territorio sotto il Po, «ma che non scenderà nel Mezzogiorno», dice Maroni: «Ci provammo negli anni Novanta, con il progetto ’Lega Italia federale’ che venne affidato a me. Ma quando al Sud ci imbattemmo in certi tipi lasciammo perdere ». Altra allusione non casuale se viene da chi guida gli Interni e comunque coltiva per il meridione una passione custodita segretamente nel computer del ministero: un pezzo «struggente» di musica napoletana interpretato da Roberto Murolo e Mia Martini. Quanto alle pulsioni razziste, Bossi – dopo aver trasferito Salvini a Strasburgo per quel coro da curva contro i napoletani – si è infuriato con la deputata leghista Goisis e la sua idea dell’esame di dialetto per i professori nelle scuole: «Cosa sono queste storie? Non voglio problemi. Mi avete rotto le balle», ha urlato. Ovviamente in dialetto. C’è nel Carroccio una cura maniacale, Cota la definisce «particolare» nella «selezione della classe dirigente e dei meccanismi di controllo sul territorio». Ciò non significa che’ all’ombra del Senatùr – manchino gli scontri: Maroni contro Calderoli in Lombardia, il ministro Zaia contro il sindaco di Verona Tosi in Veneto. Ma il partito non subisce danni.
Perciò il modello Lega è diventato oggetto di studio nel Pdl, dove si è aperto un dibattito – non ancora pubblico – tra chi resta ancorato all’idea di partito a vocazione carismatica, e chi punta a una struttura forte sul territorio. Non è il solito scontro tra ex esponenti di Forza Italia e An, se all’ultima riunione il capogruppo Cicchitto ha sottolineato come «Berlusconi è il leader dell’unica forza politica a dimensione nazionale, che dunque necessita di un gruppo dirigente in grado di evitare dinamiche localistiche». Se il dibattito è iniziato, è perché – esaminando il voto di giugno – è stato notato che in alcune aree del Paese il Pdl alle Amministrative è andato meglio rispetto alle Europee, dove Berlusconi era candidato. Non è un dato di poco conto.
Così, sul finire dell’era nuovista, in molti guardano alla nuova via tracciata dalla Lega. Che poi è un ritorno all’antico. Ai partiti.