Alessandro Penati, la Repubblica 1/8/2009, 1 agosto 2009
CONVERTENDO? NO GRAZIE
Sorprende l´utilizzo di questo prestito per Risanamento: appare una ingiustificata concessione a Zunino
Nei testi di finanza si trova la "convertibile", un´obbligazione che concede all´investitore il diritto di convertire il prestito in capitale. Ma non c´è traccia del "convertendo", che invece obbliga alla conversione. Da un punto di vista finanziario, infatti, il convertendo ha poca ragione di essere. Mentre una convertibile permette al creditore di beneficiare di sviluppi futuri positivi della società, senza assumersi il rischio di quelli negativi, il convertendo equivale a un prestito più un acquisto di azioni a termine, che espone il creditore completamente al rischio azionario. Tanto vale quindi comprare azioni subito. Ecco perché nelle ristrutturazioni finanziarie che richiedono la ricapitalizzazione del debitore, si usa quasi sempre un aumento di capitale sottoscritto dai creditori, o uno swap dei debiti in azioni; quasi mai un convertendo.
In Italia, il convertendo ha fatto la sua prima apparizione con la ristrutturazione Fiat. In quel caso la società aveva anche l´opzione di restituire il prestito alla scadenza, in alternativa al diritto di chiederne la conversione in azioni. Così, le banche, oltre al prestito e all´acquisto a termine di azioni, vendevano implicitamente a Fiat anche un´opzione call sui suoi titoli. Pertanto, col convertendo, le banche si assumevano il rischio di diventare azioniste di una società in ristrutturazione, ma rinunciavano ai benefici del rilancio nel caso l´azienda si fosse risollevata prima della scadenza del prestito.
Un convertendo "tipo Fiat" si spiega solo con la volontà dei creditori di minimizzare la diluizione dei vecchi azionisti di controllo e la loro influenza sulla gestione. E con la preferenza delle banche per uno strumento equivalente a un derivato su azioni, ma che può essere contabilizzato al suo costo storico, come una normale obbligazione o prestito. Sorprende dunque che un convertendo sia il piatto forte del salvataggio di Risanamento: appare come un´ ingiustificata concessione a Zunino, e un espediente contabile per le banche creditrici.
Le cattive idee fanno scuola: per ricapitalizzarsi, Bpm ha scelto un convertendo (con l´aggiunta di un warrant per ogni obbligazione). Un flop: ha collocato solo il 34% dell´emissione. Colpa delle condizioni offerte: tenuto conto del 27% di tassazione (il convertendo è un titolo atipico), dai dati del prospetto si ricava che il titolo Bpm deve salire di almeno il 25% perchè il convertendo possa offrire ai risparmiatori il rendimento netto di un Btp (privo di rischio, però). Ma mi domando che senso abbia emettere un convertendo, che per l´investitore equivale alla sottoscrizione di un´obbligazione (completamente illiquida), più il contemporaneo acquisto di un call e di un warrant, e la vendita di un put su azioni Bpm? Non era più ragionevole (e digeribile per la Borsa) un semplice aumento di capitale, o una convertibile?
Il convertendo è un´inutile complicazione che occulta costi e rischi per i risparmiatori, nella migliore tradizione degli strutturati che le banche italiane collocano da anni. Spulciando le 209 pagine del prospetto (finalmente imposto anche alle obbligazioni bancarie) si scopre che il collocamento Bpm era gravato da una commissione di ben 2,2%, e che la vendita del put alla banca era la componente di maggior valore dello strutturato (32,5 euro ogni 100 di nominale). Ora, la vendita di un put espone a perdite potenzialmente infinite a fronte dell´incasso di un premio fisso (equivale a vendere una polizza assicurativa): è così rischiosa da essere vietata persino ai fondi di investimento. Perché permetterla (anche se implicitamente) ai privati? Questo è il punto: bisognerebbe sapere quanti dei sottoscrittori del bond Bpm sono individui risparmiatori; e se sì, quanti sono stati correttamente e realmente informati. Altrimenti, per quanto meritorio, non serve a nulla imporre corposi prospetti.