Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  agosto 04 Martedì calendario

A cambiargli la vita è stato questo cinquantenne sardo, basso e permalo­so, fisico asciutto e occhi di pietra

A cambiargli la vita è stato questo cinquantenne sardo, basso e permalo­so, fisico asciutto e occhi di pietra. «Per me è stato un faro. il primo uomo che mi ha trattato da adulto». Aveva sedici anni. «Penso di esser diventato grande il giorno in cui l’ho incontrato». Gli ha cambiato la vita perché ha creduto in lui, che sarebbe stato un cantante. Ma dal modo in cui Cesare Cremonini ne parla oggi, seduto sul divano del suo studio di Casalecchio di Reno, fuman­do più di una sigaretta che aveva pro­messo di non fumare, si capisce perché Walter Mameli è stato molto di più di un manager e un produttore. «La prima cosa che gli riconosco è di avermi aperto un mondo, quello degli adulti, per me fino ad allora sconosciu­to. Ricordo quando siamo andati a ce­na insieme per parlare di musica: per lui era una cosa assolutamente norma­le mangiare fuori, mentre io non solo non avevo una lira in tasca, ma non avevo mai cenato con qualcuno che non fossero i miei genitori. Con gli ami­ci andavamo in pizzeria, al pub. Con lui invece ordinai un filetto alla Roma­noff, una ricetta stracomune, ma que­sta cosa mi lasciava lo stesso a bocca aperta». Walter è il primo ad accorgersi che Cesare ha talento. E imposta subito il rapporto su regole precise e responsabi­lità da rispettare. «Gli davo del lei, ostentavo un’educazione nei suoi con­fronti che mi sembrava dovuta dall’età: aveva comunque venticinque anni più di me. Lui apprezzava, ma non aveva l’atteggiamento di chi ti considera un ragazzino. Non ridicolizzava i miei sen­timenti: quando sei molto giovane la fi­ne di un amore sembra la fine di tutto, e le canzoni che gli sottoponevo una volta alla settimana parlavano al 90 per cento di ragazzine che mi avevano mol­­lato, o che non mi filavano, o alle quali piaceva qualcun altro. Ecco, con la sua ironia mi aiutava a ridimensionare le cose. In effetti gli devo anche questo: grazie a lui ho abbandonato quell’inte­gralismo del pensiero tipico dei giova­ni, il credere che solo una cosa sia giu­sta e non possa mai cambiare». Gli dava ancora del lei, quando Wal­ter si dimostra anche un amico. «A se­dici anni combinai un guaio: mi ero fat­to il piercing al sopracciglio sinistro. Mio padre ha sempre detestato tutto ciò che è vezzo, e ora apprezzo molto la sua educazione. Ma insomma quella se­ra mio padre me ne voleva dare tante. Così scappai di casa. Ma dai miei com­pagni di classe non potevo andare, con loro c’erano comunque i genitori. Allo­ra chiamai Walter: posso dormire nel suo studio?, gli chiesi. Lui mi lasciò le chiavi e me lo affidò. La fiducia che mi dava in quel momento per me era im­mensa, nessun adulto avrebbe potuto fare lo stesso. Così dormii sul suo diva­no rosso». Quando l’onda d’urto della «50 Spe­cial » travolge la vita di Cesare e dei Lù­napop, gettandoli in un mare di concer­ti, interviste e celebrità, è ancora Wal­ter a prendersi l’incarico più ingrato. «Nei quattro anni di tournée che mi portarono via da casa, lui si prese la re­sponsabilità di farmi crescere come es­sere umano, prima che come cantante, di proteggermi, di insegnarmi i trucchi del mestiere, di avvisarmi delle buche che avrei incontrato sul cammino. In qualche modo i miei genitori mi affida­rono a lui, e lui da quel giorno mi è sta­to sempre accanto. In fondo gli ricono­sco anche questo, e lo riconosco anche a me: l’essere qui dopo più di dieci an­ni ». Dei suoi no ha perso il conto. « fis­sato con la puntualità: due minuti di ri­tardo volevano dire che se ne andava dav­vero, e tu venivi la­sciato a terra da inter­viste, concerti e ti­vù ». L’educazione ci­vica è un capitolo a parte. «Tentava di farci stare buoni co­me poteva. Noi eravamo quattro ragaz­zi bolognesi che di colpo si ritrovavano con il successo e un mucchio di fascino addosso. Avevamo il mito delle rock band inglesi che sfasciavano le stanze degli alberghi. Ecco, quello non lo ab­biamo fatto... Però ricordo le soste in Autogrill dopo un concerto, con la pa­ga della serata in tasca: allora compra­vamo di tutto e riempivamo la macchi­na di Walter di giornaletti porno, ma­gliette sudate, scarpe, bottiglie di birra e fette di limone per la Corona, riviste di camion. E quando arrivavamo a de­stinazione nessuno di noi ripuliva l’au­to ». Con le ragazze, poi, ha tentato i ru­dimenti dell’educazione sessuale. «Ha sempre preteso che nessuno mai dor­misse con una fan, perché era una co­sa estremamente pericolosa, da non fa­re assolutamente. Beh, forse qualche regola l’abbiamo sgarrata volentieri ogni tanto...». I Lùnapop si sciolgono, ma Walter Mameli resta (come Ballo, d’altronde, Nicola Balestri, l’amico bassista fidato, presenza dolce e discreta anche qui a Casalecchio). «Oggi è lui la prima per­sona che chiamo se resto fuori di casa, se mi clonano la carta di credito, se so­no uscito senza soldi e devo pagare qualcosa. Chiamerei sempre lui se mi si rompessi una gamba, se mi accades­se un incidente. l’uni­co giudice delle mie canzoni e un ’bravo’ detto da lui mi stimola a lavorare come un pazzo, al di sopra delle mie possibilità. Ora­mai abbiamo consolidato una ritualità precisa: gli faccio sentire un pezzo nuo­vo solo quando è sereno, di buon umo­re, ben disposto. Come si fa da piccoli, quando si deve chiedere una cosa im­portante ai genitori».  più di un amico, per Cesare. più di un manager e un produttore. Perché questo sardo basso e permaloso, un concentrato di determinazione e cuo­re, conosce il confine da non oltrepas­sare. «Non è mai stato un padre per me, non è mai stato una madre. Loro due sono la parte più intima di me, quella più dolce, più autentica e sempli­ce, alla quale più profondamente lega­to. Walter lo sa». Gli è grato anche di questo».