Elvira Serra, Corriere della Sera 04/08/2009, 4 agosto 2009
A cambiargli la vita è stato questo cinquantenne sardo, basso e permaloso, fisico asciutto e occhi di pietra
A cambiargli la vita è stato questo cinquantenne sardo, basso e permaloso, fisico asciutto e occhi di pietra. «Per me è stato un faro. il primo uomo che mi ha trattato da adulto». Aveva sedici anni. «Penso di esser diventato grande il giorno in cui l’ho incontrato». Gli ha cambiato la vita perché ha creduto in lui, che sarebbe stato un cantante. Ma dal modo in cui Cesare Cremonini ne parla oggi, seduto sul divano del suo studio di Casalecchio di Reno, fumando più di una sigaretta che aveva promesso di non fumare, si capisce perché Walter Mameli è stato molto di più di un manager e un produttore. «La prima cosa che gli riconosco è di avermi aperto un mondo, quello degli adulti, per me fino ad allora sconosciuto. Ricordo quando siamo andati a cena insieme per parlare di musica: per lui era una cosa assolutamente normale mangiare fuori, mentre io non solo non avevo una lira in tasca, ma non avevo mai cenato con qualcuno che non fossero i miei genitori. Con gli amici andavamo in pizzeria, al pub. Con lui invece ordinai un filetto alla Romanoff, una ricetta stracomune, ma questa cosa mi lasciava lo stesso a bocca aperta». Walter è il primo ad accorgersi che Cesare ha talento. E imposta subito il rapporto su regole precise e responsabilità da rispettare. «Gli davo del lei, ostentavo un’educazione nei suoi confronti che mi sembrava dovuta dall’età: aveva comunque venticinque anni più di me. Lui apprezzava, ma non aveva l’atteggiamento di chi ti considera un ragazzino. Non ridicolizzava i miei sentimenti: quando sei molto giovane la fine di un amore sembra la fine di tutto, e le canzoni che gli sottoponevo una volta alla settimana parlavano al 90 per cento di ragazzine che mi avevano mollato, o che non mi filavano, o alle quali piaceva qualcun altro. Ecco, con la sua ironia mi aiutava a ridimensionare le cose. In effetti gli devo anche questo: grazie a lui ho abbandonato quell’integralismo del pensiero tipico dei giovani, il credere che solo una cosa sia giusta e non possa mai cambiare». Gli dava ancora del lei, quando Walter si dimostra anche un amico. «A sedici anni combinai un guaio: mi ero fatto il piercing al sopracciglio sinistro. Mio padre ha sempre detestato tutto ciò che è vezzo, e ora apprezzo molto la sua educazione. Ma insomma quella sera mio padre me ne voleva dare tante. Così scappai di casa. Ma dai miei compagni di classe non potevo andare, con loro c’erano comunque i genitori. Allora chiamai Walter: posso dormire nel suo studio?, gli chiesi. Lui mi lasciò le chiavi e me lo affidò. La fiducia che mi dava in quel momento per me era immensa, nessun adulto avrebbe potuto fare lo stesso. Così dormii sul suo divano rosso». Quando l’onda d’urto della «50 Special » travolge la vita di Cesare e dei Lùnapop, gettandoli in un mare di concerti, interviste e celebrità, è ancora Walter a prendersi l’incarico più ingrato. «Nei quattro anni di tournée che mi portarono via da casa, lui si prese la responsabilità di farmi crescere come essere umano, prima che come cantante, di proteggermi, di insegnarmi i trucchi del mestiere, di avvisarmi delle buche che avrei incontrato sul cammino. In qualche modo i miei genitori mi affidarono a lui, e lui da quel giorno mi è stato sempre accanto. In fondo gli riconosco anche questo, e lo riconosco anche a me: l’essere qui dopo più di dieci anni ». Dei suoi no ha perso il conto. « fissato con la puntualità: due minuti di ritardo volevano dire che se ne andava davvero, e tu venivi lasciato a terra da interviste, concerti e tivù ». L’educazione civica è un capitolo a parte. «Tentava di farci stare buoni come poteva. Noi eravamo quattro ragazzi bolognesi che di colpo si ritrovavano con il successo e un mucchio di fascino addosso. Avevamo il mito delle rock band inglesi che sfasciavano le stanze degli alberghi. Ecco, quello non lo abbiamo fatto... Però ricordo le soste in Autogrill dopo un concerto, con la paga della serata in tasca: allora compravamo di tutto e riempivamo la macchina di Walter di giornaletti porno, magliette sudate, scarpe, bottiglie di birra e fette di limone per la Corona, riviste di camion. E quando arrivavamo a destinazione nessuno di noi ripuliva l’auto ». Con le ragazze, poi, ha tentato i rudimenti dell’educazione sessuale. «Ha sempre preteso che nessuno mai dormisse con una fan, perché era una cosa estremamente pericolosa, da non fare assolutamente. Beh, forse qualche regola l’abbiamo sgarrata volentieri ogni tanto...». I Lùnapop si sciolgono, ma Walter Mameli resta (come Ballo, d’altronde, Nicola Balestri, l’amico bassista fidato, presenza dolce e discreta anche qui a Casalecchio). «Oggi è lui la prima persona che chiamo se resto fuori di casa, se mi clonano la carta di credito, se sono uscito senza soldi e devo pagare qualcosa. Chiamerei sempre lui se mi si rompessi una gamba, se mi accadesse un incidente. l’unico giudice delle mie canzoni e un ’bravo’ detto da lui mi stimola a lavorare come un pazzo, al di sopra delle mie possibilità. Oramai abbiamo consolidato una ritualità precisa: gli faccio sentire un pezzo nuovo solo quando è sereno, di buon umore, ben disposto. Come si fa da piccoli, quando si deve chiedere una cosa importante ai genitori». più di un amico, per Cesare. più di un manager e un produttore. Perché questo sardo basso e permaloso, un concentrato di determinazione e cuore, conosce il confine da non oltrepassare. «Non è mai stato un padre per me, non è mai stato una madre. Loro due sono la parte più intima di me, quella più dolce, più autentica e semplice, alla quale più profondamente legato. Walter lo sa». Gli è grato anche di questo».