Fabio Cavalera, Corriere della Sera 04/08/2009, 4 agosto 2009
DUELLO IN CUCINA CON LA SCOZIA «HAGGIS UN PIATTO INGLESE»
Breve lezione di cucina. Prendiamo il fegato, il cuore e il polmone della pecora, tagliati a pezzi e tritati, mischiamoli con il grasso di manzo o di montone (a scelta), immergiamo nella farina d’avena, condiamo con la cipolla, il pepe e altre spezie. Infine insacchiamo nello stomaco di pecora e mettiamo a bollire. Risultato: una salsiccia, l’haggis, parola sulla cui etimologia vi sono teorie diverse. C’è chi dice che sia di derivazione francese, chi di derivazione islandese e chi derivazione scandinava. Ciò che conta è altro: fino a un paio di giorni fa era la prelibatezza scozzese, piatto sacro da accompagnare con rape e patate, da gustare sorseggiando un buon whisky.
Pietanza pesantuccia d’accordo, piena di sapore, difficile da digerire e comunque d’obbligo in tavola la sera del 25 gennaio, anniversario della nascita di Robert Burns, figlio di contadini e poeta simbolo della nazione. Quest’anno ricorre il 250˚ anniversario. L’haggis è la tradizione e l’orgoglio di ogni scozzese.
Molto di più che una semplice ricetta. Haggis è sinonimo di Scozia e guai a confondere Scozia con Inghilterra, Edimburgo con Londra. I celti coi sassoni. La croce di Sant’Andrea con la croce di San Giorgio. Peccato che, adesso, a rimescolare le carte della storia e a irritare, se non ferire, i sentimenti di un popolo sempre geloso e custode della sua cultura (compresa l’arte del fornello) sia piombata all’improvviso Catherine Brown, serissima ricercatrice e autrice di libri ultrapremiati, chef professionista, secondo la quale l’haggis non è affatto una salsiccia «made in Scotland». Macché. , piuttosto, una invenzione inglese e lo dimostrerebbe un testo, «La casalinga inglese» appunto, che fu scritto addirittura nel 1616. Ovvero 171 anni prima che Robert Burns componesse un’ode dedicata all’haggis: «Address to haggis».
Catherine Brown, che ha illustrato la sua teoria al Daily Telegraph di Londra, ha colpito al cuore i suoi connazionali (lei è di Glasgow, particolare non secondario) e ha provocato una mezza indigestione collettiva ai cuochi più patriottici, suoi estimatori. Che sono sul piede di guerra: «Qualunque cosa abbia a che fare con la Scozia deve essere patrimonio di tutti. No. Abbiamo cucinato questo piatto per tanti anni ed è sicuramente patrimonio unico degli scozzesi». Sarcastico il commento di James Macsween, un produttore: «Non ho mai sentito parlare di una poesia di Shakespeare sull’argomento ».
Difficile dargli torto. Però, essendo una stimata e specializzata saggista, Catherine Brown va presa sul serio. Tanto che la stessa televisione di Edimburgo se ne sta occupando e manderà in onda un documentario in prima serata.
Che di haggis andassero ghiotti anche gli inglesi, specie nelle contee del Nord, si sapeva. E che circolasse da un po’ di tempo il sospetto accademico secondo cui a insaccare lo stomaco di pecora fossero stati per primi gli stessi inglesi è pure vero. Catherine Brown non ha compiuto chissà quale miracolo, ha scovato questo libro di Gervase Markham, soldato e poeta del Nottinghamshire a cavallo fra il Cinquecento e il Seicento, nel quale vi è un passaggio rimasto congelato nelle memorie. Nella breve opera si sostiene che l’haggis «è molto popolare fra la gente d’Inghilterra». Tesi riproposta, ancora secondo la Brown, nel diciottesimo secolo, dall’esperta di magie culinarie Hannah Glasse in «The art of cookery», una sorta di best-seller dell’epoca dato che fu ristampato in ben venti edizioni.
E allora come sarebbe finito l’haggis nel dna degli scozzesi? Qui la Brown ha lanciato una «provocazione»: noi ce ne siamo appropriati dopo l’Act del 1707 che sancì l’unificazione dei due parlamenti (scozzese e inglese) a Westminster, Londra, con buona pace del grande Robert Burns che forse non sapeva. Una coltellata alla nazione scozzese. Insomma, espropriazione di copyright, di simboli e di icone. Bel giallo culinario. Un po’ come la storia dei cinesi che rivendicano il loro brevetto sulla pasta. Per fortuna non sui cannoli, la polenta e la pizza. Chi ha ragione?