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 2009  agosto 05 Mercoledì calendario

«VOLEVO ESSERE NUTI E NON PENSARE AI SOLDI»


I registi di cinema ad agosto lavora­no. Città vuote, sole fino a tardi. Condi­zioni ideali per girare. Giovanni Vero­nesi, uno dei re della nuova commedia all’italiana (Manuale d’amore, Italians) si prepara al primo ciak del prossimo film. Intanto fa gli ultimi provini. La candidata, una incantevole figliola te­desco- napoletana, entra nello studio. Comincia il provino.

Veronesi: «Conosci un certo Sergio Rubini?».
Ragazza (copione in mano, colta alla sprovvista): «Rubini... Rubini... ah...».
Veronesi (incalzante): «Conosci un certo Stefano Accorsi?».
Ragazza (sbigottita): «Mi sembra uno che...».
Veronesi (sempre più incalzante): «Conosci una certa Laura Morante?». Ragazza: «Sì, mi pare di sì». «Conosci un certo Pupi Avati?». «Pupi Avati?». Veronesi: «Ti faresti rifare il seno? E il naso?». Ragazza: «No, sono contraria». «E tua madre si è fatta rifare qualco­sa?». «No, nemmeno lei».
Veronesi sorride: «Basta così». Ra­gazza: «Finito?». «Sì, io i provini li fac­cio così». Ragazza: «Ma è un interroga­torio! ». Veronesi: «Caso mai una inter­rogazione ». Capirete che dopo aver assistito a un provino simile, la prima domanda del­l’intervista non può che essere: cono­sci un certo Giovanni Veronesi?. Sarà anche l’unica. Perché la risposta è lun­ga e complessa ed è (deformazione pro­fessionale) una sceneggiatura perfetta. Prima scena. Interno giorno, Prato, via 24 Maggio. «In una casa dal pavi­mento di marmo liscissimo, mio fratel­lo Sandro, futuro scrittore allora setten­ne (io quattrenne), mi trascina dentro uno scatolone di cartone per tutta la ca­sa facendomi fare delle curve pericolo­sissime rasentando gli stipiti delle por­te. Ridiamo come pazzi. Ma in uno di questi spigoli ci lascio un pezzo di cor­na perché picchio la fronte. POMM! Ho ancora la cicatrice. Lì ho scoperto che la vita può essere crudele, che ti può far passare in un attimo dall’estrema ri­sata al pianto improvviso».

Interno sera, Prato, via 24 Maggio. «Ho 16 anni, rientro tutto graffiato. Va­do da mia madre e la rassicuro: ’Mam­ma, son cascato dal motorino, ma non mi sono fatto niente di particolare’. Lei, guardandomi: ’Io ti voglio bene an­che quando sei stupido e questo per me è un grande svantaggio’. E io lì son rimasto. Perché mi stava dicendo: ’Sei stato un cretino a cascare dalla moto. Però anche quando caschi e ti fai le abrasioni sul braccio, anche in questo momento che sei completamente defi­ciente, io ti voglio bene lo stesso’».

Nota per il casting e i truccatori del film (da fare) «Conosci un certo Gio­vanni Veronesi?»: la mamma di Verone­si somigliava ad Audrey Hepburn. Op­pure, se si preferisce un’attrice contem­poranea, a Demi Moore in «Ghost».

Esterno pomeriggio, la montagnetta di Giolica, una specie di belvedere so­pra Prato. «Sono con la mia prima ra­gazza e ci scambiamo dei regalini e io mi rendo conto che l’amore per questa ragazza non è una cosa data, tipo l’amo­re materno o paterno, ma una cosa da ottenere ogni giorno. Allora capisco che sta succedendo qualcosa di irrime­diabilmente feroce, spietato, dentro di me. Quando ti innamori di qualcuno punti la tua arma su quella persona. Quel pomeriggio ho capito che io e quella ragazza eravamo ormai collusi con la vita, che l’adolescenza (l’età più bella per me) era finita».

Esterno notte, sulla barca a vela Po­priscin in rotta verso le Eolie. Al timo­ne Giovanni, 19enne, e il padre. Il pa­dre, un ingegnere, ha un sogno. Che i due figli facciano gli archi­tetti. Ma ha già capi­to che il maggiore ha deciso di fare lo scrit­tore. Ora cerca di capire le intenzioni dell’altro figlio. Padre: «Ma tu che vuoi fare? Dimmi la verità». Giovanni: «Pa­pà, voglio andare a fare il cinema a Ro­ma ». Padre: «E l’architetto no?». Gio­vanni: «L’architetto no». «Però l’uni­versità la finisci». «Non ti prometto nemmeno questo». « incredibile. Due su due. Non pensavo che il mio desti­no sarebbe stato questo. Due figli su due che vogliono fare tra i mestieri più difficili e pericolosi che ci possono es­sere. Ma non è possibile che vi vada be­ne a tutt’e due, lo capisci?». «Papà, può darsi che tu abbia ragione. Può darsi di no».

(Nota per casting e truccatori: il pa­dre di Veronesi somigliava a Gian Ma­ria Volonté ma anche a Robert Mi­tchum).

Esterno notte, Capannina di Casti­glione della Pescaia dove vanno in sce­na i Giancattivi. «La vita sono gli incon­tri che fai. L’incontro che ha cambiato la mia è quello con Francesco Nuti (che allora faceva parte dei Giancattivi) da­vanti alla Capannina. Avevo 19 anni. Nuti cominciò a spopolare nel cinema, un successo pazzesco. Io collaboravo con lui. Francesco mi ha cambiato la vi­ta non tanto perché ho capito che avrei fatto questo mestiere, ma perché ho ca­pito come mi sarebbe piaciuto essere. Come lui. Il suo modo di sorridere, il suo modo di essere un po’ guascone. Mi piaceva il modo in cui non si curava dei soldi. Si curava solo del suo talento. Mi ha insegnato che questo mestiere non si fa per soldi. Però bisogna essere molto ben pagati perché gli altri pensano che tu lo faccia per soldi. Ed è bene che gli al­tri lo pensino ma tu non lo devi pensa­re mai. Mi ha insegnato la formula del­la Coca-Cola per la comicità. Qual è? Non si può dire, è un segreto che ci si tramanda di generazione in generazio­ne... Francesco sta attraversando un momento difficile, è stato in coma tre mesi. Adesso fa ginnastica, logopedia, si sta rimettendo». (Nota per casting e truccatori: Giovanni Veronesi somi­glia, contemporaneamente, a Gianni Versace, Sean Penn, Kenneth Branagh, Beppe Grillo e Roberto Donadoni).