Enrico Marro, Corriere della Sera 05/08/2009, 5 agosto 2009
CASE E SERVIZI, NEL MEZZOGIORNO LA VITA COSTA MENO
In pieno dibattito sul Mezzogiorno, la Banca d’Italia è intervenuta ieri con due studi ( Occasional papers ) che da un lato certificano il fallimento delle politiche dell’ultimo decennio per il Sud e dall’altro quantificano la differenza media del costo della vita: il 16,5% in meno nelle regioni meridionali (che si riduce al 10% tenendo conto dei «fitti effettivi »), con punte superiori al 30% per alcune voci, dal taglio dei capelli per uomo alle analisi del sangue alle riparazioni auto e del 40% per gli affitti. Dati immediatamente rilanciati dalla Lega, col ministro Roberto Calderoli (Semplificazione) per chiedere «attenzione alle nostre proposte riguardanti le buste paga parametrate sul reale costo della vita nelle diverse aree del Paese».
Le cosiddette gabbie salariali vengono però bocciate dall’interno dello stesso governo da Gianfranco Rotondi (Programma) e Gianfranco Micciché (sottosegretario alla presidenza del Consiglio) e dai presidenti della Camera, Gianfranco Fini («sarebbe un ritorno al passato»), e del Senato, Roberto Schifani, mentre è noto che il presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, ha più volte espresso la sua contrarietà a ogni intervento «dirigista». Sembra invece avanzare la Banca per il Sud. Progetto del quale in questi giorni il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, è tornato a parlare col premier e che ieri ha rilanciato specificando che «la discussione è in atto con il sistema della Banche di Credito Cooperativo ».
Ma torniamo agli studi della Banca d’Italia. In particolare a quello scritto da Luigi Cannari, Marco Magnani e Guido Pellegrini che esamina le politiche per il Sud nell’ultimo decennio, che hanno puntato soprattutto a responsabilizzare le Regioni. La conclusione è negativa: «I problemi del Mezzogiorno rimangono in buona parte irrisolti ». Nel 2007 il prodotto interno lordo pro capite nel Sud è risultato pari al 57,4% di quello del Centro Nord: negli anni Ottanta era vicino al 65%. Certo, le condizioni economiche e sociali del Mezzogiorno «sono oggi decisamente migliori di quelle di 25-30 ani fa», ma il divario col Nord non è diminuito.
Il sistema produttivo «ha subito in misura maggiore del Centro Nord gli effetti dell’accresciuta concorrenza dei Paesi emergenti». E nonostante un massiccio intervento pubblico i servizi e le infrastrutture lasciano a desiderare. «L’entità delle risorse che affluiscono al Sud per effetto delle politiche nazionali è assai rilevante» spiegano i ricercatori. L’insieme della spesa pubblica (corrente e in conto capitale) «è stato pari nel 2004-06 a circa 200 miliardi di euro in media annua. Il Centro Nord ha beneficiato nello stesso periodo di oltre 400 miliardi. I valori pro capite sono stati pari rispettivamente a circa 9.800 e 10.800 euro». Il cittadino del Centro Nord ha «ricevuto» quindi mille euro in più all’anno. Ma il risultato cambia se si sottraggono alla spesa le tasse pagate: al Sud resta infatti una differenza positiva di 2.700 euro pro capite mentre nel resto d’Italia i cittadini ci rimettono in media 2.200 euro a testa. Emblematico il caso sanità: mentre nel Centro Nord l’Irap e l’addizionale regionale Irpef coprono circa il 50% della spesa, nel Mezzogiorno appena il 20% e in Basilicata, Calabria e Molise solo il 10%. E i servizi sono peggiori. Come nell’istruzione, dove il livello di competenze misurato secondo standard internazionali risulta «inferiore in tutte le materie» rispetto al Centro Nord e questo nonostante i voti di maturità siano mediamente migliori: evidentemente, conclude lo studio, questi non segnalano «la reale preparazione degli studenti».
Che fare? Le politiche regionali servono, ma non bastano se il Sud non viene assunto come una questione nazionale. Lo studio lo spiega così: «Nel disinteresse delle politiche generali, immaginare che la politica regionale possa risolvere, da sola, i problemi del Mezzogiorno, è a dir poco velleitario. Con i fondi comunitari si può certamente organizzare qualche ora di doposcuola per gli studenti meridionali, ma se è la scuola pubblica che non funziona è difficile immaginare che qualche ora nel pomeriggio possa compensare ciò che non si fa in classe ogni mattina».