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 2009  agosto 05 Mercoledì calendario

CASE E SERVIZI, NEL MEZZOGIORNO LA VITA COSTA MENO


In pieno dibattito sul Mezzogiorno, la Banca d’Ita­lia è intervenuta ieri con due studi ( Occasional papers ) che da un lato certificano il falli­mento delle politiche dell’ulti­mo decennio per il Sud e dall’al­tro quantificano la differenza media del costo della vita: il 16,5% in meno nelle regioni me­ridionali (che si riduce al 10% tenendo conto dei «fitti effetti­vi »), con punte superiori al 30% per alcune voci, dal taglio dei capelli per uomo alle analisi del sangue alle riparazioni auto e del 40% per gli affitti. Dati im­mediatamente rilanciati dalla Lega, col ministro Roberto Cal­deroli (Semplificazione) per chiedere «attenzione alle no­stre proposte riguardanti le bu­ste paga parametrate sul reale costo della vita nelle diverse aree del Paese».

Le cosiddette gabbie salariali vengono però bocciate dall’in­terno dello stesso governo da Gianfranco Rotondi (Program­ma) e Gianfranco Micciché (sot­tosegretario alla presidenza del Consiglio) e dai presidenti del­la Camera, Gianfranco Fini («sa­rebbe un ritorno al passato»), e del Senato, Roberto Schifani, mentre è noto che il presidente della Confindustria, Emma Mar­cegaglia, ha più volte espresso la sua contrarietà a ogni inter­vento «dirigista». Sembra invece avanzare la Banca per il Sud. Progetto del quale in questi giorni il mini­stro dell’Economia, Giulio Tre­monti, è tornato a parlare col premier e che ieri ha rilanciato specificando che «la discussio­ne è in atto con il sistema della Banche di Credito Cooperati­vo ».

Ma torniamo agli studi della Banca d’Italia. In particolare a quello scritto da Luigi Cannari, Marco Magnani e Guido Pelle­grini che esamina le politiche per il Sud nell’ultimo decennio, che hanno puntato soprattutto a responsabilizzare le Regioni. La conclusione è negativa: «I problemi del Mezzogiorno ri­mangono in buona parte irrisol­ti ». Nel 2007 il prodotto inter­no lordo pro capite nel Sud è ri­sultato pari al 57,4% di quello del Centro Nord: negli anni Ot­tanta era vicino al 65%. Certo, le condizioni economiche e socia­li del Mezzogiorno «sono oggi decisamente migliori di quelle di 25-30 ani fa», ma il divario col Nord non è diminuito.

Il sistema produttivo «ha su­bito in misura maggiore del Centro Nord gli effetti dell’ac­cresciuta concorrenza dei Paesi emergenti». E nonostante un massiccio intervento pubblico i servizi e le infrastrutture lascia­no a desiderare. «L’entità delle risorse che affluiscono al Sud per effetto delle politiche nazio­nali è assai rilevante» spiegano i ricercatori. L’insieme della spe­sa pubblica (corrente e in conto capitale) «è stato pari nel 2004-06 a circa 200 miliardi di euro in media annua. Il Centro Nord ha beneficiato nello stes­so periodo di oltre 400 miliardi. I valori pro capite sono stati pa­ri rispettivamente a circa 9.800 e 10.800 euro». Il cittadino del Centro Nord ha «ricevuto» quindi mille euro in più all’an­no. Ma il risultato cambia se si sottraggono alla spesa le tasse pagate: al Sud resta infatti una differenza positiva di 2.700 eu­ro pro capite mentre nel resto d’Italia i cittadini ci rimettono in media 2.200 euro a testa. Em­blematico il caso sanità: men­tre nel Centro Nord l’Irap e l’ad­dizionale regionale Irpef copro­no circa il 50% della spesa, nel Mezzogiorno appena il 20% e in Basilicata, Calabria e Molise so­lo il 10%. E i servizi sono peggio­ri. Come nell’istruzione, dove il livello di competenze misurato secondo standard internaziona­li risulta «inferiore in tutte le materie» rispetto al Centro Nord e questo nonostante i voti di maturità siano mediamente migliori: evidentemente, con­clude lo studio, questi non se­gnalano «la reale preparazione degli studenti».

Che fare? Le politiche regio­nali servono, ma non bastano se il Sud non viene assunto co­me una questione nazionale. Lo studio lo spiega così: «Nel disin­teresse delle politiche generali, immaginare che la politica re­gionale possa risolvere, da sola, i problemi del Mezzogiorno, è a dir poco velleitario. Con i fondi comunitari si può certamente organizzare qualche ora di do­poscuola per gli studenti meri­dionali, ma se è la scuola pub­blica che non funziona è diffici­le immaginare che qualche ora nel pomeriggio possa compen­sare ciò che non si fa in classe ogni mattina».