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 2009  agosto 04 Martedì calendario

MILANO, UNA MOLLA PRONTA A SCATTARE


Caro direttore, il dibattito sullo stato di salute di Milano soffre di un ecces­so nostalgia. Nostalgia di un suppo­sto tempo d’oro che avremmo alle spalle e che non c’è mai stato. La Mi­lano del Terzo Millennio, quella che abbiamo tut­ti sotto gli occhi, assomiglia ad una molla, a lun­go compressa e trattenuta, che incomincia solo adesso ad esprimere tutta la sua forza straordina­ria, in termini di sviluppo e di modernizzazione.

Milano ha sofferto, in quest’ultimo dopoguer­ra (e soprattutto a partire dai secondi anni Ses­santa) di un sistema ideologico, politico-istitu­zionale e regolamentare arretrato, indisponibile al nuovo. E la sinistra (quella comunista, in parti­colare) è sempre stata a capo dei conservatori dell’esistente. Se non si tiene conto di questi fat­ti, non si riesce nemmeno a misurare il progres­so che è stato fatto (anche dalla sinistra). Ad esempio, quando venne decisa la prima linea del­la metropolitana, il Pci vi si oppose perché, per esso, la metropolitana era un mezzo di trasporto «per i ricchi». Quando venne approvato il proget­to della Tangenziale autostradale di Milano il Pci tentò di bloccarlo dicendo che sarebbe stata fat­ta una «cattedrale nel deserto». Inoltre, quando vennero fatti i primi mini-grattacieli (e cioè Pirel­li, Velasca e Galfa), il Pci ci si oppose ferocemen­te. Il Pci era contro i grattacieli, in nome del «pic­colo è bello» (non a caso gli allora, da esso, abor­riti Usa, di grattacieli ne avevano a bizzeffe; men­tre la, per loro, virtuosa Urss ne era sprovvista).

Il risultato di questi convincimenti vetero-con­servatori contro l’altezza degli edifici è stato che, non essendosi sviluppata anche in verticale, Mi­lano è dilagata come una lava fino a Varese-Luga­no, Como, Lecco, Bergamo, Monza-Brianza e Ma­genta- Vigevano, inglobando e sfigurando tutti i paesi e le aree agricole incontrati lungo la strada del suo sviluppo. E che dire dell’enorme area Ga­ribaldi che, sempre per il freno azionato dai con­servatori di ogni colore politico, è rimasta abban­donata per 50 anni, in balìa di giostrai e transes­suali, pur essendo l’area più infrastrutturata d’Eu­ropa, con due grandi stazioni ferroviarie di testa (la Centrale e la Garibaldi), una linea di metropo­litana e il passante ferroviario? L’ultimo, signifi­cativo, «no» è stato espresso, in anni purtroppo recentissimi, contro i lavori di adeguamento del­la Scala che la minoranza di centro sinistra in Co­mune di Milano ha tentato di bloccare, in ogni modo. Per fortuna, non ci è riuscita. Altrimenti, oggi, non avremmo lo stupendo adeguamento della Scala di Mario Botta né il teatro Arcimbol­di. E che dire, ancora, dei veti incrociati, in consi­glio comunale sulla localizzazione della nuova Fiera di Milano? Veti che hanno impedito, per ben un quarto di secolo, di scegliere l’area, indi­viduandola poi, per sfinimento, sul terreno di una raffineria che, per essere bonificato, ha ri­chiesto più tempo di quello che poi è stato neces­sario per realizzare la Fiera stessa? Lo stesso «no» stava cadendo sull’Istituto Europeo di On­cologia (Ieo) voluto da Umberto Veronesi, al qua­le si voleva negare la variante che ne sta consen­tendo l’ampliamento. Fra le eccellenze di questi ultimi anni che hanno visto la luce c’è la nuova sede della Bocconi con il progetto di due archi­tetti donne, le irlandesi Yvonne Farrell e Shelly McNamara, che ha meritato il premio World Ar­chitecture di Barcellona dello scorso anno.

La Milano di oggi non è certo a corto di gran­di personaggi. Gente che ha una visione e la ca­pacità di realizzarla. Gente che va incentivata e non ostacolata, com’è successo in passato. Perso­ne, per capirci. Come Davide Rampello che, aven­do ereditato una polverosa Triennale di Milano, è stato capace di trasformarla in un punto di rife­rimento internazionale del design. O come don Luigi Maria Verzè che ha realizzato l’Ospedale San Raffaele e il suo centro sul genoma umano, uno dei più attrezzati al mondo; o come Gian Fe­lice Rocca e Nicola Dioguardi che hanno realizza­to l’istituto Clinico Humanitas dove operano 300 scienziati di tutto il mondo o come Giuseppe Ro­telli che con il Policlinico San Donato realizza, ogni anno, il maggior numero di interventi car­diochirurgici in Italia, o come Luigi Roth che, do­po aver completato in un battibaleno la nuova Fiera di Milano, realizzerà anche, in soli tre anni, al Portello, il Centro congressi più importante d’Europa (18 mila persone), o come Luigi Corba­ni che è riuscito nell’avventura impossibile di do­tare Milano di un altro grande teatro sinfonico come l’Auditorium Fondazione Cariplo che ospi­ta l’Orchestra Verdi. O come Franco Cologni che, con la sua Fondazione, ha realizzato la Scuola in­ternazionale dei mestieri d’arte, o come France­sco Micheli che ha inventato Mi-To, la grande stagione musicale tra le due città, o come Bruno Ermolli che ha fatto di Milano l’ombelico delle iniziative pan-mediterranee italiane.

Troppo a lungo ha prevalso, a Milano, l’attitu­dine di bloccare. Oggi, però, è sempre più diffici­le impedire le iniziative che meritano di essere realizzate perché, fortunatamente, sono cambia­te le teste, ed è diverso il mood di fondo di que­sta grande città. Non ho quindi nostalgia per gli adesso celebrati dibattiti che hanno caratterizza­to il trentennio 60-80. Erano quasi sempre dibat­titi fumosi, prevedibili, ombelicali, autoreferenti e spesso ossificati nelle ideologie. Utili come tut­ti i dibattiti, intendiamoci, ma non certo strategi­ci per il futuro della città. La Milano di oggi, an­che se, purtroppo non fa notizia, è invece, ad esempio, la Milano di Amalia Ercoli Finzi, una docente di cui, certo per colpa mia, non avevo mai sentito parlare prima, anche se insegna co­me volare nello spazio, da oltre vent’anni, al Poli­tecnico (giudicato la prima università italiana per qualità). Ho appreso la notizia che la riguarda da un articolo a due colonne del solo Corriere . La professoressa Ercoli Finzi prepara dei giovani che, dice, «dopo la laurea trovano subito lavo­ro ». Nel nostro Dipartimento, aggiunge la docen­te, «scambiamo regolarmente studenti con le università di Cranfield, Monaco, Delft e Ma­drid ». Questa docente, questo Politecnico, que­sto Dipartimento, questi studenti, sono una del­le molte facce sconosciute ma anche potenti ed entusiasmanti di una Milano che è già cambiata. Gente, questa, che non dibatte nei circoli ammuf­fiti di un tempo ma che si confronta con il mon­do intero e lo riporta a Milano assieme a folate di idee nuove. Gente invisibile, purtroppo. Ma in­dispensabile alla Milano del Terzo Millennio.