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 2009  agosto 04 Martedì calendario

Il New York Times scrisse a marzo, quando Michelle piantò il primo orto della Casa Bianca dai tempi di Eleanor Roosevelt: «L’orto ha assunto un profondo significato politico, dopo che Obama è stato per mesi sotto pressione di numerosi gruppi ambientalisti che credono che produrre più cibo locale e organico possa portare a una dieta più salutare per tutti, e a ridurre di conseguenza la domanda per le grandi coltivazioni industriali e il loro uso di petrolio per i trasporti, e di sostanze chimiche per fertilizzare»

Il New York Times scrisse a marzo, quando Michelle piantò il primo orto della Casa Bianca dai tempi di Eleanor Roosevelt: «L’orto ha assunto un profondo significato politico, dopo che Obama è stato per mesi sotto pressione di numerosi gruppi ambientalisti che credono che produrre più cibo locale e organico possa portare a una dieta più salutare per tutti, e a ridurre di conseguenza la domanda per le grandi coltivazioni industriali e il loro uso di petrolio per i trasporti, e di sostanze chimiche per fertilizzare». La fine dell’orto l’abbiamo vista in questi giorni: la Casa Bianca è inquinata, non ha un terreno adatto alla crescita di prodotti organici. Come finirà invece la proposta dell’assistenza medica universale è ancora da vedere. Ma dal dettaglio delle zucchine alla grande rivoluzione medica, si avverte la stessa tensione - il materializzarsi di un progressivo impatto della realtà sulle idee, del realismo sui sogni nel percorso della Presidenza americana. Il Segretario del Tesoro Tim Geithner e il presidente del Consiglio Economico Nazionale Larry Summers hanno dichiarato, domenica, che la riforma sanitaria e il prolungamento del sostegno ai disoccupati rende quasi inevitabili nuove tasse. Il Presidente ha immediatamente fatto sapere che non ci saranno, comunque, aumenti per la classe media, cioè per coloro che guadagnano meno di 250 mila dollari. Ma, insomma, ci siamo. La promessa ripetuta durante la campagna elettorale, «non vedrete nessuna delle vostre tasse crescere nemmeno di dieci centesimi», è nei fatti rotta. Qual è la sorpresa? Le tasse sono il diavolo in corpo della politica, la loro diminuzione è l’inevitabile promessa elettorale e la inevitabile smentita post elettorale per tutti i politici in tutte le democrazie del mondo. Sorpresa è che tocchi anche a Obama, colui che finora è sembrato saper bilanciare tutto e il suo contrario. Ma la forza dei fatti continua a scavare. In questo caso, i fatti sono i numeri. Mentre l’amministrazione pensa a come finanziare il più ambizioso programma sociale mai avviato, la crisi ha svuotato le casse dello Stato. Secondo un’analisi dei dati economici ufficiali, curata dalla Associated Press, la crisi ha tirato giù le entrate delle tasse individuali del 22 per cento e quelle aziendali del 57 per cento. L’ultima volta che il ritorno per il governo è stato così basso era il 1932, nel mezzo della Grande Depressione. L’impatto di questa diminuzione di entrate si avverte già su molti dei programmi sociali esistenti, come la Social Security. In sofferenza anche alcuni investimenti nelle infrastrutture vitali per gli Usa, quali le autostrade e gli aeroporti. La minore attività produttiva ha ridotto i fondi che alimentavano questi progetti. Il Congresso ha dovuto già intervenire, approvando una nuova tranche di finanziamento (8 miliardi di dollari) oltre ai 7 miliardi approvati all’inizio dell’anno e già finiti in agosto. Da dove verranno tutti questi soldi? A dispetto dei segni positivi, il recupero economico dovrebbe essere molto veloce e di grandi proporzioni per evitare il ricorso a nuove tasse. Quali tasse, poi? Per ora si parla di varie ipotesi, dalle tasse sui soft drinks, alle tasse sui ricchi o sulle società, fino alla cancellazione delle esenzioni per i super-ricchi introdotte da Bush. Prospettive che non vengono guardate con alcuna simpatia, specie nella comunità degli affari. Secondo Business Week «azioni di questo tipo incoraggerebbero molte società a registrarsi altrove, spostando le loro sedi e le loro operazioni all’estero». Che resta a un Presidente se non prendere atto? O trovare altre vie che nessuno ha finora immaginato.