Lino Jannuzzi, Panorama, 6 agosto 2009, pag. 44, 6 agosto 2009
LINO JANNUZZI PER PANORAMA, 6 AGOSTO 2009
Tre cose andrebbero fatte dopo la scoperta tardiva del fallimento di tutti i processi celebrati per la strage di via d’Amelio, in cui furono uccisi Paolo Borsellino e gli agenti della scorta. Primo, procedere subito alla revisione di quei processi e alla scarcerazione degli innocenti condannati all’ergastolo. Secondo, punire i responsabili di questo clamoroso errore giudiziario, cominciando con l’allontanare dai ranghi della polizia e della magistratura coloro che indussero alla autocalunnia e alla calunnia quel disgraziato, schizofrenico tossicodipendente e fidanzato con i transessuali, che si autoaccusò di aver rubato l’auto imbottita di tritolo e di averla portata in via d’Amelio. Come hanno potuto credere, fior di magistrati anche in sede di appello e di Cassazione, che Cosa nostra avesse potuto affidare a un personaggio di tal fatta il compito di innescare la strage? E come hanno fatto a non credere alla sua ritrattazione e alle accuse documentate della moglie, e a indurlo persino alla ritrattazione della ritrattazione? Non sarebbe male, per l’occasione, allargare l’inchiesta a tutta la gestione dei "pentiti" di questi anni da parte della Dia, la fabbrica dei "pentiti", e delle procure, soprattutto nei processi ai "politici", come richiesto da tre legislature da 110 senatori. Terzo, decidere di riaprire seriamente, dopo 17 anni, l’inchiesta sulla strage di via d’Amelio e cercare innanzitutto di scoprire, come si fa nelle inchieste serie, gli esecutori materiali, cominciando dall’uomo che premette il pulsante per far scoppiare il tritolo e smettendo di rincorrere i fantasmi dei "mandanti occulti" e degli agenti segreti "deviati" e degli "americani" e le fantasie sulla "trattiva" e sul "papello" e sull’"agenda rossa". Sono 17 anni che rincorrono queste fantasie e questi fantasmi, sperando di arrivare prima a Giulio Andreotti tramite Bruno Contrada, poi a Silvio Berlusconi tramite Marcello Dell’Utri e il generale Mario Mori. Siamo arrivati invece al fallimento dell’Antimafia, quiella dei "professionisti" prima, quella dei dilettanti oggi.