Alessia Rastelli, Corriere della Sera 1/08/2009, 1 agosto 2009
SCHIAFFONI AI FIGLI, UN REFERENDUM PER RIAMMETTERLI
«Uno schiaffetto inflitto in un buon contesto familiare non è un abuso ma un atto d’amore. Non appena ho capito quanto la sua mancanza potesse influenzare l’educazione delle mie figlie, ho deciso che dovevo fare qualcosa». Sheryl Savill, 40 anni, madre di due bambine di 10 e 12 anni, è la donna che potrebbe far cambiare le regole della Nuova Zelanda in tema di ceffoni ai bambini.
Nell’arcipelago del Pacifico le punizioni corporali sui figli a scopo educativo sono un reato dal 2007, quando il Parlamento approvò un emendamento a una legge in vigore dal 1961. La signora Savill, però – appoggiata dal politico Larry Baldock e dal suo partito cristiano- conservatore «Kiwi» (fuori dal Parlamento alle ultime elezioni) – ha raccolto 310 mila firme per un referendum che riabiliti la sberla formativa. «Lo scapaccione come elemento di un buon sistema di correzione da parte dei genitori dovrebbe essere un crimine?» recita il quesito sottoposto da ieri agli elettori. Si può votare fino al 21 agosto e i sondaggi prevedono una vittoria del «no», vale a dire del fronte pro sberla. Un risultato che metterebbe il governo di centrodestra in una situazione delicata: il premier John Key ha già fatto sapere che la consultazione non sarà vincolante ma sarebbe difficile ignorarla nel caso i promotori vincano in misura schiacciante. Se Wellington riammettesse i ceffoni di mamma e papà sarebbe un clamoroso passo indietro, almeno dal punto di vista delle organizzazioni in difesa dell’infanzia. Dopo aver già bandito le bacchettate a scuola nel 1990, la Nuova Zelanda è stata infatti, finora, tra le 24 nazioni al mondo cosiddette «buone»: quelle, cioè, che proibiscono il castigo fisico sia in classe che a casa. La prima, nel 1979, fu la Svezia, seguita da Finlandia (1983) e Norvegia (1987). In seguito, il divieto per genitori e insegnanti è stato approvato anche in altri Paesi, soprattutto europei (19 ad oggi il totale) tra cui Germania, Grecia e Ungheria. Quanto all’Italia, niente castigo fisico nelle scuole dopo un percorso iniziato dal Regio decreto 653 del 1925 che vietò le bacchettate negli istituti secondari, fino ad arrivare alla sentenza della Cassazione del ”96 che condannò le punizioni corporali in classe. Ammesso, invece, lo sberlotto dei genitori. «La nostra cultura è diversa da quella dei Paesi anglosassoni, tra i quali rientra la Nuova Zelanda – spiega il presidente di Telefono Azzurro, Ernesto Caffo ”. Sull’arcipelago, come anche in Inghilterra e Australia, il sistema educativo è storicamente più rigido e le campagne contro le punizioni corporali sono iniziate più tardi, una quindicina di anni fa». Con una brusca accelerazione, però, almeno in terra neozelandese. Qui negli anni Ottanta, stando ai racconti degli ex alunni, poteva accadere che il futuro ministro della Pubblica Istruzione, David Benson-Pope – allora insegnante – ficcasse una palla da tennis nella bocca degli allievi «a scopo educativo ». E che, in poco più di un ventennio, si sia trasformato lo scapaccione in un reato anche per mamma e papà e si sia già pronti a fare marcia indietro. «Tipico degli anglosassoni – aggiunge Caffo – è pure l’eccesso punitivo. Servirebbero piuttosto campagne per aiutare i genitori. Non è escluso che la richiesta del referendum in Nuova Zelanda nasca proprio perché madri e padri in difficoltà non sanno trovare alternative alla punizione corporale».