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 2009  agosto 01 Sabato calendario

Gli ambienta­listi cinesi hanno conseguito una vittoria storica. Hanno costretto il governo di Pechi­no a rinunciare alla costruzio­ne di una gigantesca raffine­ria nella provincia meridiona­le del Guangdong, a soli 37 chilometri da Hong Kong

Gli ambienta­listi cinesi hanno conseguito una vittoria storica. Hanno costretto il governo di Pechi­no a rinunciare alla costruzio­ne di una gigantesca raffine­ria nella provincia meridiona­le del Guangdong, a soli 37 chilometri da Hong Kong. Per realizzarla dovrà essere scelta un’altra sede. La decisione di cedere alle proteste è assolutamente cla­morosa, se si pensa che il pro­getto era stato annunciato un paio di anni fa come un’inizia­tiva fondamentale per le risor­se energetiche della Cina. Ed è anche uno smacco sul pia­no internazionale, perché la raffineria dovrebbe nascere dalla collaborazione fra la compagnia statale cinese Si­nopec e la Kuwait Petroleum Corporation. Con il Kuwait, la Cina aveva raggiunto un ac­cordo, frutto di una laboriosa trattativa, per rifornire di greggio il nuovo impianto. «Noi teniamo in gran con­to l’opinione della gente e consideriamo essenziale pro­teggere l’ambiente in cui vi­viamo », così Wang Yang, da 25 anni segretario del partito comunista della provincia del Guangdong, cerca di giustifi­care la scelta di far sorgere lo stabilimento in una zona di­versa. La verità è che da un anno a questa parte gli abitan­ti contrari alla raffineria han­no inscenato continue mani­festazioni pubbliche. Tanto che i responsabili locali del partito comunista, resisi con­to di non poter in alcun mo­do tenere a freno il crescente malcontento, hanno preso lo­ro stessi l’iniziativa di presen­tare agli esponenti nazionali del partito una mozione per chiedere di rinunciare alla raf­fineria. L’impianto doveva sorgere alla foce del fiume delle Perle, in una località chiamata Nan­sha. L’anno scorso gli abitan­ti dell’area destinata a ospita­re i complicati macchinari dello stabilimento erano stati convinti ad andarsene. Li ave­vano fatti trasferire alla perife­ria di Canton, la capitale della provincia. Non è bastato. Chi è rimasto a vivere nei dintor­ni è spaventato dall’idea di ri­trovarsi una raffineria davan­ti alla porta di casa. Tutti ri­cordano che in uno stabili­mento simile, situato sempre nell’area di Canton, due anni fa avvenne un’esplosione. Le fonti ufficiali non hanno mai voluto commentare l’accadu­to e tantomeno fornire detta­gli sui danni all’impianto. Contro la raffineria si sono ribellati anche gli abitanti del­la vicina Hong Kong, che era­no già insorti perché tutta la zona intorno ha subito uno sviluppo industriale selvag­gio, cosa che ha provocato un drammatico inquinamento dell’aria e delle acque fluviali. Gli ambientalisti aggiungono come giustificazione della lo­ro guerra allo stabilimento pe­trolchimico la presenza nella zona di una riserva naturale che accoglie schiere di uccelli migratori. «Lo so – dice il vecchio se­gretario del partito, Wang Yang – l’idea di far sorgere la raffineria a Nansha è stata criticata anche da illustri spe­cialisti. E noi dopo averci ri­flettuto a lungo abbiamo deci­so di dare ascolto alle criti­che ». Un cedimento che po­trebbe incoraggiare i gruppi ambientalisti cinesi finora te­nuti a bada dal regime. Non è chiaro dove sarà spo­stato l’impianto. Vengono prese in considerazione le lo­calità portuali di Zhanjiang e Maoming, sempre lungo la costa del Guangdong, da do­ve passa un terzo delle espor­tazioni cinesi. La raffineria sa­rà la più grande di tutta la Ci­na, costerà 8 miliardi di dolla­ri e quando sarà pronta, do­vrebbe lavorare 15 milioni di tonnellate di greggio all’anno e produrre carburante e 800 mila tonnellate di etilene, da cui si ricava materiale plasti­co.