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 2009  agosto 01 Sabato calendario

LA NOSTALGIA AL POSTO DELLA MEMORIA


La conferma arriva, come sem­pre, dalla televisione: quan­do qualche cosa funziona (leggi: si può «vendere») allora puoi star certo che la tivù allunga le proprie antenne. E siccome la no­stalgia è diventata un vero e pro­prio prodotto di consumo, ecco im­mancabili aprirsi nuovo «centri di consumo» specializzati: l’ultimo si inaugura proprio oggi, sabato pri­mo agosto, su Sky, con il canale Fox Retro, specializzato in serie tv degli anni Settanta, Ottanta e No­vanta.

Il cinico di turno potrebbe fare notare che è un modo elegante e piuttosto furbo per riciclare vecchi fondi di magazzino sfruttando le mode retrò e riproponendo tele­film visti e stravisti come Miami Vi­ce, Love Boat, Starsky & Hutch, Charlie’s Angels. Ma dietro l’opera­zione commerciale c’è qualche co­sa di più complesso e più interes­sante, che chiama in causa il nostro modo di metterci in relazione con il passato (almeno quello prossi­mo) e di «consumare» ricordi e me­morie. quello che Emiliano Mor­reale chiama «l’invenzione della no­stalgia » e a cui ha dedicato un sag­gio uscito da poco da Donzelli con lo stesso titolo (pagg. 296, euro 27).

Il sottotitolo delimita il campo della ricerca («Il vintage nel cine­ma italiano e dintorni») ma Morrea­le affronta, con ricchezza di docu­mentazione e chiarezza di esposi­zione, una ben più larga fetta di produzione culturale, che include oltre ai film anche la musica, la tele­visione, l’editoria (almeno quella dei «giovani» romanzieri) e la mo­da. In tutti questi campi, a partire soprattutto dagli anni Sessanta, si è cominciato a «riflettere» – o forse sarebbe meglio dire a «ri-creare» – sul passato più vicino, diciamo di quindici, vent’anni prima, e a produrne un’immagine diversa, tra­sfigurata. Un’immagine non più de­bitrice del ricordo e della memoria, ma piuttosto della nostalgia, con tutto quello di ambiguo e di com­plesso che questo termine compor­ta.

Scrive Morreale: «Una buona par­te dei prodotti culturali che ci cir­condano trae spesso la sua forza di risonanza dal suscitare sentimenti di nostalgia, di rimpianto del passa­to; o semplicemente rimanda, in maniera ironica o dolceamara, ad altre immagini e altre merci» e lo fa, a ben guardare, secondo delle modalità sempre più astratte, slega­te dai dati reali, emotive più che concrete. E sostanzialmente debitri­ci dell’influenza che i mass media hanno nella vita culturale del no­stro Paese. Come dice bene, ad esempio, l’espressione «l’Italia in bianco e nero» che serve per indica­re un passato vagamente pre-mo­derno e contadino anche quando sta a indicare l’Italia degli anni Cin­quanta già col sentore del Boom, ma che subisce l’influenza, a livello di mediazione culturale, del cine­ma e della fotografia di quegli anni, portati a «garanzia» dell’autenticità e della veridicità di quella espres­sione.

Naturalmente nessuno pensa davvero che l’Italia di allora non avesse i suoi colori, ma un’espres­sione così – «in bianco e nero» – permette di immaginare un passa­to diverso, forse meno crudele e drammatico, sicuramente più levi­gato ed elegante, come erano ap­punto le inquadrature dei film e del­le fotografie che ci hanno traman­dato quel passato. E che non a caso hanno incominciato ad imporsi quando il neorealismo ha perso la sua capacità di incidere sulla realtà (quei film raccontavano il Presente e il pubblico voleva che lo facesse­ro) e hanno cominciato a farsi lar­go altre caratteristiche: il rimpian­to, l’elegia per il tempo passato, il ricordo struggente. La nostalgia, ap­punto, ma non di qualche cosa che si è perso (come è il significato let­terale del termine, messo a punto nel 1688 da Johannes Hofer nella sua Dissertazio Medica : «la tristez­za ingenerata dall’ardente brama di tornare in patria»), piuttosto di qualche cosa che ha finito per di­ventare un surrogato della realtà. Ecco il vero nodo che spiega il tito­lo del libro («l’invenzione della no­stalgia ») e ci avvicina ai nostri tem­pi: sostituendo il ricordo e la me­moria con la nostalgia si ottiene da una parte di favorire quei processi psicologici legati alla necessità di affrontare le paure e i disagi del pre­sente (coltivando un qualche tipo di apprezzamento per il nostro pas­sato e «schermando» quanto c’è di spiacevole e vergognoso nella me­moria, la nostalgia favorisce l’auto­conservazione dell’individuo). E dall’altra di creare una serie di og­getti o di modi di comportamento che possono surrogare il processo psicologico permettendo una più diffusa e più facile fruizione (e con­sumo) della nostalgia.

E così questo passato «rivisita­to » e a volte alleggerito anche da un sorriso, che negli anni Sessanta aveva trovato forme ancora poco o niente elegiache (in film come «La lunga notte» del ”43 di Vancini, «La ragazza di Bube» di Comencini, «Una vita difficile» di Risi o «Un’estate violenta» di Zurlini) e che negli anni Settanta aveva fatto i conti con toni più malinconici e contemplativi («Allonsanfan» dei fratelli Taviani, «Una giornata parti­colare » di Scola, «Cristo si è ferma­to a Eboli» di Rosi, «L’albero degli zoccoli» di Olmi, dove il passato è raccontato quasi dimenticando l’og­gi) oppure più decisamente «com­memorativi » (l’ultimo Visconti, «Amarcord» di Fellini) e «cinefili» (Bertolucci), finisce per diventare negli anni Ottanta una vera e pro­pria «materia di consumo» che so­stituisce le memorie concorrenti (di classe, geografiche, storiche) a vantaggio di una percezione tutta mediata dalle immagini cinemato­grafiche, televisive e musicali.

Sono gli anni in cui il passato di­venta soprattutto una fonte di cita­zioni, sia che si tratti di una canzo­netta, di una pettinatura o di un ve­stito (come dimostrano i vari «Sa­pore di mare» dei fratelli Vanzina), ma anche quelli in cui la nostalgia supera i confini del prodotto cultu­rale o di consumo per diventare una nuova categoria della politica e della vita sociale. Capace magari di «far dimenticare» quanto di brutto o tragico ha accompagnato il passa­to, come scriveva Walter Veltroni introducendo (nel 1981) «Il sogno degli anni ”60». Un decennio da non dimenticare nei ricordi di 46 giovani di allora, dove «il ricordo e la nostalgia personale diventano la tentazione di una rivalutazione sto­rica di un decennio mortificato, stretto come immagine tra il cen­tro- sinistra e il Sessantotto, antipa­tico a sinistra, ridotto a caricatura di se stesso».

Finendo però in questo modo per creare altre «caricature», che si tratti della famosa semifinale tra Italia e Germania a Città del Messi­co o delle prodezze erotiche di «quel gran pezzo dell’Ubalda», del­le sigle dei cartoni animati giappo­nesi o delle canzoni che hanno ac­compagnato le varie estati, apren­do così le porte al culto del camp e del trash. E soprattutto tagliando ra­dicalmente i rapporti tra memoria e nostalgia per dare l’illusione che un qualsiasi prodotto d’antan sia capace di far tornare i tempi (più dorati, ça va sans dire ) in cui tutto era più bello e più consolatorio. An­che se cantavamo «nano nano, la tua mano / nano nano, apri piano» e ridevamo per un marziano che muoveva le dita a due a due.