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 2009  agosto 01 Sabato calendario

IL GOVERNO E LE SUE SPINE


L’ottimismo e il compiacimen­to con cui il presidente del Consiglio descriverà nei prossimi giorni i primi quattordici mesi del suo governo sono scontati e per certi aspetti compren­sibili. Ma non possono oscurare il fatto che siano bastate poche settimane perché il quadro della poli­tica nazionale si rovescias­se. Il maggiore problema all’ordine del giorno non è più la crisi del Pd (di cui continueremo verosimil­mente a occuparci ancora per parecchio tempo). La questione maggiore è lo stato di salute della mag­gioranza, oggi divisa da dissensi più gravi per la go­vernabilità del Paese di quanto siano i travagli del­l’opposizione. Colpa degli scandali che hanno fatto di Berlusconi, per qualche settimana, il bersaglio pre­ferito di una buona parte della stampa internaziona­le? Credo piuttosto che gli scandali siano stati in que­sta vicenda soprattutto un’occasione e un’aggra­vante.

All’origine dei dissensi vi è il patto che Berlusconi aveva stretto, prima delle elezioni, con il Nord di Bossi e il Sud, vale a dire in particolare la Sicilia di Lombardo. Conoscevamo il prezzo di Bossi. Sapeva­mo che il leader della Lega avrebbe sostenuto Berlu­sconi per ottenere final­mente il federalismo fisca­le. Ma non era chiaro qua­le fosse il prezzo di Lom­bardo. E non era chiaro so­prattutto se l’obiettivo di Bossi fosse compatibile con le condizioni del Sud e le ambizioni della sua classe dirigente. Il federali­smo avrà un senso soltan­to se sarà fiscale, vale a di­re se consentirà alle singo­le regioni di trattenere per sé, con le imposte di cui di­sporranno, una parte mag­giore del reddito prodotto dai loro elettori. Occorrerà naturalmente un fondo di solidarietà per le regioni meno fortunate, ma que­sto fondo sarà sufficiente ed efficace soltanto se il Nord sarà generoso e il Sud capace di affrontare con un diverso stile di go­verno il problema del pro­prio sviluppo. Su questa seconda condizione era le­cito avere molti dubbi.

Quando celebreremo, fra un anno e mezzo, il 150˚ anniversario dell’Unità, non potremo fare a meno di costatare che il Mezzo­giorno rimane, nonostan­te molti tentativi, il grande problema irrisolto dell’Uni­tà nazionale. Sin dal mo­mento in cui il Parlamen­to approvò la legge sul fe­deralismo potevamo quin­di immaginare che il dia­volo, come al solito, si na­scondesse nei dettagli e che le contraddizioni della maggioranza sarebbero di­ventate, prima o dopo, evi­denti.
E’ questa probabilmente la ragione per cui Lombardo ha deciso di anticipare i tempi e di minacciare la costituzione di un partito del sud. Considerato in un’ottica meridionale il denaro non serve soltanto a creare migliori condizioni di sviluppo. Serve anche, e forse soprattutto, a rafforzare quel piedistallo di clientele e di favori che permettono alla classe dirigente di conservare e consolidare il potere.

E’ possibile che Berlusconi riesca ancora una volta a superare queste difficoltà. Lo farà probabilmente secondo il suo stile di governo, vale a dire dando qualche soddisfazione a ciascuno dei questuanti. E sono certo che darà prova anche in questo caso di molta abilità. Ma Tremonti sarà costretto a ricordargli che i conti si fanno anche con Bruxelles e Francoforte. E altri dovranno ricordargli che non si può continuare a parlare di federalismo fiscale senza affrontare contemporaneamente il problema del Sud, vale a dire del denaro di cui ha bisogno e del modo in cui dovrebbe spenderlo.

Gli scandali e la reces­sione hanno bruscamente accelerato questo proces­so. Gli scandali hanno in­debolito Berlusconi e lo hanno costretto a combat­tere in difesa. Il Nord di Bossi e il Sud di Lombardo gli sono fedeli perché non volevano il collasso della maggioranza, ma hanno colto l’occasione per sotto­lineare le loro differenze (penso alle dichiarazioni di Bossi sull’Afghanistan) o per parlare più schietta­mente della ripartizione del denaro pubblico. La re­cessione, d’altro canto, ha costretto Tremonti a strin­gere i cordoni della borsa.

Se il prodotto interno lor­do diminuisce e il gettito fiscale si contrae, il mini­stro dell’Economia di un membro dell’eurozona (i Paesi che fanno parte del mercato unico e, soprattut­to, hanno adottato la mo­neta unica) deve essere «nazionale», non «regio­nale », deve togliere dena­ro, non darlo.