Sergio Romano, Corriere della Sera 1/08/2009, 1 agosto 2009
IL GOVERNO E LE SUE SPINE
L’ottimismo e il compiacimento con cui il presidente del Consiglio descriverà nei prossimi giorni i primi quattordici mesi del suo governo sono scontati e per certi aspetti comprensibili. Ma non possono oscurare il fatto che siano bastate poche settimane perché il quadro della politica nazionale si rovesciasse. Il maggiore problema all’ordine del giorno non è più la crisi del Pd (di cui continueremo verosimilmente a occuparci ancora per parecchio tempo). La questione maggiore è lo stato di salute della maggioranza, oggi divisa da dissensi più gravi per la governabilità del Paese di quanto siano i travagli dell’opposizione. Colpa degli scandali che hanno fatto di Berlusconi, per qualche settimana, il bersaglio preferito di una buona parte della stampa internazionale? Credo piuttosto che gli scandali siano stati in questa vicenda soprattutto un’occasione e un’aggravante.
All’origine dei dissensi vi è il patto che Berlusconi aveva stretto, prima delle elezioni, con il Nord di Bossi e il Sud, vale a dire in particolare la Sicilia di Lombardo. Conoscevamo il prezzo di Bossi. Sapevamo che il leader della Lega avrebbe sostenuto Berlusconi per ottenere finalmente il federalismo fiscale. Ma non era chiaro quale fosse il prezzo di Lombardo. E non era chiaro soprattutto se l’obiettivo di Bossi fosse compatibile con le condizioni del Sud e le ambizioni della sua classe dirigente. Il federalismo avrà un senso soltanto se sarà fiscale, vale a dire se consentirà alle singole regioni di trattenere per sé, con le imposte di cui disporranno, una parte maggiore del reddito prodotto dai loro elettori. Occorrerà naturalmente un fondo di solidarietà per le regioni meno fortunate, ma questo fondo sarà sufficiente ed efficace soltanto se il Nord sarà generoso e il Sud capace di affrontare con un diverso stile di governo il problema del proprio sviluppo. Su questa seconda condizione era lecito avere molti dubbi.
Quando celebreremo, fra un anno e mezzo, il 150˚ anniversario dell’Unità, non potremo fare a meno di costatare che il Mezzogiorno rimane, nonostante molti tentativi, il grande problema irrisolto dell’Unità nazionale. Sin dal momento in cui il Parlamento approvò la legge sul federalismo potevamo quindi immaginare che il diavolo, come al solito, si nascondesse nei dettagli e che le contraddizioni della maggioranza sarebbero diventate, prima o dopo, evidenti.
E’ questa probabilmente la ragione per cui Lombardo ha deciso di anticipare i tempi e di minacciare la costituzione di un partito del sud. Considerato in un’ottica meridionale il denaro non serve soltanto a creare migliori condizioni di sviluppo. Serve anche, e forse soprattutto, a rafforzare quel piedistallo di clientele e di favori che permettono alla classe dirigente di conservare e consolidare il potere.
E’ possibile che Berlusconi riesca ancora una volta a superare queste difficoltà. Lo farà probabilmente secondo il suo stile di governo, vale a dire dando qualche soddisfazione a ciascuno dei questuanti. E sono certo che darà prova anche in questo caso di molta abilità. Ma Tremonti sarà costretto a ricordargli che i conti si fanno anche con Bruxelles e Francoforte. E altri dovranno ricordargli che non si può continuare a parlare di federalismo fiscale senza affrontare contemporaneamente il problema del Sud, vale a dire del denaro di cui ha bisogno e del modo in cui dovrebbe spenderlo.
Gli scandali e la recessione hanno bruscamente accelerato questo processo. Gli scandali hanno indebolito Berlusconi e lo hanno costretto a combattere in difesa. Il Nord di Bossi e il Sud di Lombardo gli sono fedeli perché non volevano il collasso della maggioranza, ma hanno colto l’occasione per sottolineare le loro differenze (penso alle dichiarazioni di Bossi sull’Afghanistan) o per parlare più schiettamente della ripartizione del denaro pubblico. La recessione, d’altro canto, ha costretto Tremonti a stringere i cordoni della borsa.
Se il prodotto interno lordo diminuisce e il gettito fiscale si contrae, il ministro dell’Economia di un membro dell’eurozona (i Paesi che fanno parte del mercato unico e, soprattutto, hanno adottato la moneta unica) deve essere «nazionale», non «regionale », deve togliere denaro, non darlo.