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 2009  luglio 31 Venerdì calendario

MA IL BIOLOGICO FA BENE?


Mangiare cibi biologici o prodotti convenzionali non fa alcuna differenza. I loro contenuti nutritivi, dati alla mano, sono gli stessi. Parola della Food standards agency (Fsa), l´organismo ministeriale incaricato di tutelare la sicurezza alimentare inglese, che con una ricerca-choc su 162 studi dell´ultimo mezzo secolo ha rilanciato su scala planetaria la guerra (scientifica) del bio.
«Il nostro lavoro non riguarda le conseguenze sull´organismo dell´uso di erbicidi o pesticidi» mette le mani avanti Alan Dangour, uno dei curatori del rapporto. Ma i risultati sono lo stesso sorprendenti: ortaggi, cereali e frutta coltivati con metodi naturali (solo letame e concimi organici, niente diserbanti o pesticidi di sintesi) hanno gli stessi "ingredienti" dei cugini tirati su a forza di chimica.

"Non nutrono di più dei prodotti convenzionali". Il risultato della ricerca dell´Fsa, organo inglese per la sicurezza alimentare, riapre la polemica. Provocando la rivolta degli alfieri delle coltivazioni naturali Ecco perché, tra scienza e business, la qualità di quello che arriva in tavola continua a far discutere
Ma gli autori dello studio precisano: "Non riguarda gli effetti dei pesticidi sull´organismo"
Il principale operatore italiano: la scienza un giorno dice una cosa, poi l´opposto

E cioè un contenuto identico di vitamina C, calcio, fosforo, potassio, nitrati, proteine specifiche, carboidrati, betacarotene e zolfo. Lo stesso discorso vale per carne, latte, formaggio e uova. Dove le minime differenze rilevate sui nitrogeni «si possono spiegare con differenti metodi d´allevamento o della qualità del suolo». Morale: «Non ci sono al momento prove scientifiche per dire che un´alimentazione a base di cibi "naturali" sia più salutare di una dieta a base di prodotti organici», conclude tranchant il rapporto redatto dai ricercatori della London School of hygiene & tropical medicine.
Possibile? Gli alfieri del biologico, un business che ormai vale qualcosa come 50 miliardi l´anno, sono scesi ieri - come prevedibile - sul piede di guerra. « una ricerca limitata e un po´ miope - dice Federico Bertazzo di Greeenplanet. net, lo storico "tempio" online dell´alimentazione organica - . I pesticidi, è provato, provocano serie conseguenze a lungo termine come l´Alzheimer e nel breve sono dannosi per i bambini. Di più: i danni ambientali di allevamento e agricoltura convenzionali non sono quantificabili nutrizionalmente. E non vengono quindi calcolati nello studio della Fsa». Che per Ignazio Garrau, direttore delle Città del bio, riporta dati poco credibili: «Mi sembra impossibile che non ci siano differenze - si scalda - . Tutte le ricerche serie, per dire, assicurano che la qualità nutrizionale dei cibi convenzionali di oggi non è più la stessa di vent´anni fa. L´industria li ha depauperati. Figuriamoci a confrontarli con verdura e carne biologici!».
Gli sgambetti inglesi, del resto, non sono una novità nel mondo dell´alimentazione naturale. Pochi anni fa il ministero della salute di Tony Blair aveva già recitato il requiem al settore. «Coltivare un pomodoro bio richiede da due a nove volte più energia che farne crescere uno tradizionale - aveva annunciato urbi et orbi citando un lavoro della Manchester business school - . Un pollo allevato a terra costa il 25% in più del suo simile cresciuto in batteria e produce per via metabolica il doppio dell´anidride carbonica». Certezze che non hanno impedito al mercato biologico britannico di arrivare nel 2008 a oltre 3 miliardi di ricavi, il secondo in Europa dopo i 5 della Germania.
«La scienza un giorno dice una cosa e il giorno dopo sostiene l´opposto - la mette sul pratico, da buon imprenditore, Fabio Brescacin, ad di Ecor NaturaSì, principale operatore italiano con 66 punti vendita "naturali"-. La realtà racconta un´altra storia. Chi comincia a mangiare prodotti bio non torna più indietro. Studi o non studi. Si accorge a livello organolettico della differenza abissale con l´alimentazione convenzionale».
Il cibo "verde" del resto, non è più un giochetto naif per ecologisti nemmeno qui da noi. «Qualche anno fa, quando abbiamo iniziato a occuparci di alimentazione sostenibile eravamo quattro fricchettoni», ricorda Brescacin. Oggi, dice una ricerca Coldiretti-Swg, 8 milioni di italiani provano almeno una volta all´anno un prodotto naturale, l´ex-fricchettone Brescacin fattura 200 milioni e ha aperto negozi persino in Spagna. E una cifra compresa tra l´1 e il 2% del budget alimentare tricolore (circa 1,6 miliardi con una crescita del 5,4% nel 2008) viene spesa ogni anno per comprare piatti "puliti", liberi da erbicidi e prodotti chimici.
La qualità, dicono gli esperti, non si discute. Chi compra sullo scaffale di un supermercato o in un centro specializzato prodotti a marchio «bio» è garantito al 100% («fatti salvi i pochi furbi che una volta scoperti sono stati espulsi dal sistema», assicura Bertazzo). «Il meccanismo di tracciabilità e di certificazioni Ue funziona benissimo - dice Garau - . Noi siamo gli unici che possiamo dire da dove arrivano e che strada fanno tutti i nostri ingredienti». E le vendite in Italia tirano. Va bene l´ortofrutta (+20% nel 2008), corre l´alimentazione per l´infanzia (+16%) ma anche pane, pasta, riso e uova (+14%) crescono a tassi decisamente superiori a quelli dei parenti convenzionali, alla faccia dei gufi della Fsa.
Il problema, naturalmente, resta quello del prezzo. Mettersi nel carrello una patata, un sacchetto di arachidi o un melone naturali costa di più. Spesso molto di più. Più o meno - fatta una media - il doppio, come dimostra la tabella in pagina, frutto di una verifica a campione in alcuni supermercati milanesi.
« inevitabile - spiega Brescacin - . Tutta la filiera è molto più cara. Far crescere la frutta e la verdura senza l´aiuto della chimica è più complicato e la resa è minore. La rete distributiva, per i volumi ancora scarsi, ha tariffe salate. In media direi che alla fine siamo almeno al 50% in più. In ogni caso negli ultimi anni i nostri prezzi si sono allineati verso il basso e comunque non sarà mai possibile far pagare un prodotto bio come uno tradizionale». «Qualità e quantità anche nei campi e negli allevamenti non vanno d´accordo», conferma Garau. Anche se - a voler essere pignoli - un pranzo naturale nel resto d´Europa costa molto meno che qui da noi: in Svezia, dove il mercato è più maturo, il sovrapprezzo bio è assestato oggi attorno a un più modesto +33% rispetto ai parenti figli di agricoltura convenzionale.
Perdere il treno del cibo naturale, però, per un paese come l´Italia sarebbe un peccato imperdonabile. Oggi il Belpaese è il secondo produttore naturale in Europa. «Lungo la penisola ci sono oltre 50mila aziende che curano animali e terra come si faceva una volta, senza pompare bestie e verde con la chimica o la medicina», calcola Garau, che è anche rappresentante in Piemonte dell´Associazione italiana agricoltura biologica. I terreni coltivati così sono oggi pari a oltre 1 milione di ettari e solo la Spagna (1,3 milioni, grazie anche a una politica agricola più incentivante per questa nicchia di mercato) è davanti a noi.
«Se vogliamo uno sviluppo più sostenibile per l´Italia, l´agricoltura deve tornare al centro dell´economia - conclude Garau - . E visto che quella convenzionale, con i prezzi a questi livelli, non garantisce più reddito alle imprese, dobbiamo lavorare sulla qualità, cioè il biologico, e sul legame antico con il territorio». Con buona pace dei soloni della Food standards agency e dei loro impeccabili dati scientifici, del resto, un buon formaggio di malga o una buona mela antica cresciuta senza l´aiuto di diserbanti e pesticidi non saranno mai la stessa cosa (e non solo per il prezzo) dei loro "gemelli diversi" partoriti dalle alchimie e dal doping chimico della produzione all´ingrosso.