Mauro Bottarelli, il Riformista 31/7/2009, 31 luglio 2009
STORIA DI DEBBIE CHE HA SFIDATO LA LEGGE PER NON MORIRE DA SOLA
Londra. Una sentenza destinata a fare storia. Ma, soprattutto, giurisprudenza. quella emessa ieri dai Law Lords di Londra che ha sancito come la legge riguardo la punibilità di chi assiste qualcuno in caso di suicidio volontario dovuto a malattia terminale - formalmente condannabile fino a 14 anni di prigione nel Regno Unito - sia poco chiara e quindi vada approfondita dal Director of Public Prosecutions, per capire se questo potenziale reato penale verrà davvero perseguito o meno. A creare un vulnus legislativo, che per molti sarà il cavallo di Troia per una legge inglese sul suicidio assistito, è stata Debbie Purdy, 46enne di Bradford e malata di sclerosi multipla, che ha combattuto fino al massimo livello legislativo britannico per essere certa che il marito, il violinista cubano Omar Puente, non verrà perseguito una volta tornato in Gran Bretagna dalla Svizzera, dove la donna intende porre fine alle sue sofferenze.
Unica arma in mano al fronte contrario alla legalizzazione del suicidio assistito è il fatto che quella odierna è stata l’ultima seduta dei Law Lords prima dell’istituzione della Corte Suprema del Regno Unito, antefatto che infatti ha portato i giudici a specificare nel verdetto che la loro decisione «non presuppone la necessità di una lege al riguardo, ma solo il chiarimento riguardo all’applicazione della norma vigente». Comunque sia, un qualcosa che il paese si attendeva dopo che la scorsa settimana il Times aveva pubblicato in prima pagina un sondaggio in base al quale il 74 per cento dei britannici è favorevole alla possibilità di interruzione volontaria della vita di malati terminali e persone cui la malattia ha ormai reso l’esistenza qualcosa di non degno di essere vissuto.
Ma Debbie Purdy ha incassato anche un’altra vittoria dopo le due sconfitte legali patite all’Alta Corte e alla Corte d’Appello, ovvero il riconoscimento dei Law Lords rispetto al suo diritto di decidere come morire, sancito dall’articolo 8 della Convezione europea dei diritti umani. Insomma, il 22 ottobre, quando i deputati si degneranno di tornare a Westminster dalla vacanze, si sa già quale sarà l’argomento principale di discussione. Anche perchè, al di là della sentenza giunta dai Lords, l’Inghilterra si sarebbe comunque trovata di fronte a un bivio il prossimo autunno, visto che il parlamento autonomo scozzese sarà chiamato dopo l’estate a dibattere come prima materia calendarizzata una proposta di legge per la legalizzazione del suicidio assistito in Scozia, dopo che la deputata Margo MacDonald, malata di sclerosi multipla, ha ottenuto il supporto bipartisan di 21 colleghi alla sua bozza di legge che prevede la possibilità per i medici di aiutare a morire pazienti in fase terminale o cui la malattia non consente più di vivere una vita dignitosa e accettabile.
Avendo ottenuto un consenso trasversale, esclusi i Conservatori, pare chiaro che la proposta potrebbe ottenere il via libera dall’assise di Holyrood e quindi creare un vulnus pericoloso: la Scozia, infatti, potrebbe diventare meta di potenziali suicidi da tutto il Regno. Immediatamente la Chiesa anglicana e le associazioni pro-life ma anche la British Medical Association hanno bollato come inaccettabile quanto proposto e si sono detti pronti a dare battaglia in tutte le sedi competenti. Una cosa è chiara: l’aver ottenuto quei 21 voti di supporto consente alla proposta di legge di passare prima nelle commissioni competenti e poi di ottenere una discussione approfondita in aula. Giorni e giorni che offriranno ai giornali spunti polemici infiniti.
Inoltre, colpisce il fatto che la decisione della Camera dei Lords sia giunta proprio nel giorno in cui il 30enne del Buckinghamshire Guy Button è stato dichiarato colpevole di sei capi d’imputazione - si attende ancora il vedrdetto definitivo riguardo all’entità della pena - per aver portato in ospedale al padre, il 63enne malato terminale Ian Button, la pistola con cui quest’ultimo si è sparato di fronte agli occhi agghiacciati di pazienti e medici. L’impossibilità di guarire, unita ai sempre maggiori dolori che la malattia gli stava causando sarebbe stata alla radice del gesto. Insomma, una materia che non permette ulteriore perdita di tempo in un Paese che sta vedendo crescere a dismisura i casi di "suicidi fatti in casa" come questi e quelli di "turismo della morte" verso la clinica Dignitas in Svizzera. Associazioni mediche e Chiesa anglicana sono pronte alla mobilitazione di massa ma di fronte, oltre alla sentenza dei Law Lords, si troveranno anche il 74 per cento dell’opinione pubblica britannica. Un brutto cliente davvero.